Cosa ne pensate delle piste?

Il post di oggi nasce sotto lo stimolo delle riflessioni di alcuni amici che, casualmente e senza conoscersi tra di loro, mi hanno scritto chiedendomi sia il mio punto di vista sia, più ampiamente, quello delle persone che, come loro, seguono questo blog (allevatori, appassionati di montagna, curiosi). L’argomento è quello delle piste agro-silvo-pastorali, in particolare quelle che raggiungono gli alpeggi. Forse ne ho già parlato in passato, ma riprendo volentieri la questione e vi sottoporrò anche un sondaggio.

(Val di Susa)

Avendo io frequentato la montagna sotto diversi aspetti (come semplice turista/escursionista/ciclista, ma avendo anche vissuto la vita d’alpeggio), proverò a dirvi cosa ne penso. In linea di massima sono favorevole alle piste che raggiungono gli alpeggi. Però… c’è una serie di considerazioni da fare, perché il discorso non può essere semplicemente liquidato con un sì o un no.

(Val Pellice)

(Val Pellice)

Prima di continuare con il mio punto di vista, vi inviterei a leggere, sul blog dei Camoscibianchi, la posizione di Werner Bätzing, un’analisi approfondita sulla situazione nelle Valli di Lanzo. “Per una gestione moderna e durevole delle Valli di Lanzo è necessario e irrinunciabile che frazioni, alpeggi e boschi siano raggiungibili con autoveicoli e piste, ma ciò non significa che, per questo motivo, ogni nuova pista agrosilvopastorale debba per forza essere costruita.” Condivido questo punto di vista, perché è inutile realizzare opere faraoniche, spesso anche mal fatte, laddove non ve ne sia la necessità o dove queste piste servono solo per “depredare” il territorio, senza portare alcun beneficio.

(Bassa Engadina)

(Bassa Engadina)

Non è detto che la pista debba per forza deturpare l’ambiente. Ovviamente, nel momento della sua realizzazione questa sarà una “ferita” nel paesaggio, ma occorre distinguere tra lavori ben fatti e scempi che permangono anche a distanza di anni. Il lavoro deve prevedere non soltanto la tracciatura del percorso, ma anche la manutenzione e la rinaturalizzazione del territorio circostante, con apposite opere.

(Madonna di Campiglio)

(Madonna di Campiglio)

Inutile tracciare delle “autostrade”: una pista che sale ad un alpeggio non sarà una strada trafficata. Anzi, a mio parere queste opere devono essere chiuse ai non aventi diritto (come peraltro già accade nella maggior parte dei casi). La pista serve a chi deve recarsi in alpeggio per lavoro, per portare o andare a prendere materiali, ecc. Verrà utilizzata anche dagli escursionisti a piedi e da chi pratica la mountain-bike. Nella documento che vi ho indicato prima, si parla della perdita/distruzione degli antichi percorsi preesistenti nel momento in cui vengono realizzate le piste.

(Val Pellice)

(Val Pellice)

E’ vero, questo talvolta accade, anche perchè è inevitabile intersecare sentieri e mulattiere, però altre volte le antiche e le nuove vie hanno esigenze diverse di raggio e di pendenza, quindi si possono mantenere anche gli antichi percorsi. Sta poi al pubblico degli escursionisti scegliere quale seguire. Mi è già successo di vedere che, nel momento in cui c’è la pista, il sentiero viene quasi totalmente abbandonato, anche qualora sia stato mantenuto intatto.

(Engadina)

(Engadina)

Le piste “si vedono da lontano”. E’ vero, anche se ben fatte, specialmente nel primi anni, il loro tracciato può essere individuato anche a distanza. Lo ripeto, bisogna farle bene, senza che siano degli squarci nella montagna. Poi anche una strada asfaltata può divenire parte del paesaggio alpino. Non mi dite che non siete mai saliti in auto ad uno dei tanti passi alpini che ci permettono di passare in Francia, o non sognate guardando in TV i tornanti su cui si inerpicano i ciclisti durante il Giro d’Italia o il Tour de France.

(Val d'Aosta)

(Val d’Aosta)

Certo, potreste anche dire che quelle strade ormai ci sono e non occorre aprirne altre. Che i valloni “incontaminati” devono restare tali. Vero? Falso? Pensate all’ambiente o pensate a voi stessi quando fate un’affermazione di questo tipo? Salite sempre a piedi in montagna, o dove c’è una strada percorribile la utilizzate per avvicinarvi il più possibile alla partenza per la vostra meta?

(Valli di Lanzo)

(Valli di Lanzo)

Riporto ora la testimonianza di una delle persone che mi hanno stimolato queste riflessioni. Così scrive Gianni: “Avendo io vissuto l’infanzia in una frazione di montagna dove portavo gli zoccoli, per andare all’asilo ed a scuola mi facevo più di mezz’ora di mulattiera ripida, per lavarmi la faccia dovevo andare a prendere l’acqua alla fontana con i secchielli agganciati sul bastone a spalla, con la gerla portavo legna, erba, fieno e letame, sapevo mungere la mucca e le pecore ed ero molto in difficoltà con i miei compagni che giù in paese già andavano tranquillamente in bicicletta, mentre io sempre a piedi e quando finalmente dopo tante traversie anche alla mia frazione è giunta una pista, la nostra vita è decisamente cambiata in meglio. La pista era stata fatta bene e con i dovuti criteri poiché se non era così i montanari (cervello fino) non avrebbero mai accettato lavori improvvisati.
Trovo pertanto poco democratico il no assoluto ed intransigente contro le iniziative di miglioramento, avanzato da chi vorrebbe quelle zone destinate solo ed esclusivamente alla contemplazione ambientale, quale sfogo saltuario di evasione dalla città.

(Val Pellice)

(Val Pellice)

Sì alle piste fatte bene, piste fatte seguendo criteri ben precisi, piste utili, piste realizzate e utilizzate con buon senso. Potreste anche obiettare che le priorità sono altre, che vi sono migliaia di persone che abitano in luoghi dove la viabilità è danneggiata, strade a rischio di frane, strade crivellate dalle buche, che vengono percorse quotidianamente, mentre una pista per un alpeggio serve al massimo un paio di famiglie per pochi mesi all’anno. E’ vero, ma secondo me entrambe le cose sono necessarie, una non deve annullare l’altra. Prima di chiedervi il vostro punto di vista con un sondaggio, voglio ancora farvi riflettere su alcuni aspetti della vita d’alpeggio.

(Val Pellice)

(Val Pellice)

Non possiamo pretendere che nelle “terre alte”, molto alte in questo caso, si debba per forza continuare a vivere come uno o due secoli fa. Il mondo è cambiato, chi siamo noi per decidere che qualcuno invece debba rimanere indietro perché a noi non piacciono le piste? E poi comunque sono cambiate anche le esigenze e le modalità lavorative anche di chi pratica questo antico mestiere.

(Val Pellice)

(Val Pellice)

Non si può più scendere con il mulo, le tome e il burro nelle gerle come un tempo, l’asl avrebbe qualcosa da ridire in proposito! Asini e muli si usano ancora dove la strada non c’è per il giorno della transumanza, ma capirete anche voi che non possono sostituire completamente il bagagliaio di un fuoristrada. Poi oggigiorno anche il margaro o il pastore in alpeggio devono poter scendere in giornata, vuoi per motivi burocratici, vuoi per altre incombenze che cento anni fa non esistevano.

(Val Pellice)

(Val Pellice)

Può essere pittoresca una scena del genere, ma i diretti interessati ne farebbero anche a meno, se possibile. Pensate poi se quella transumanza avesse dovuto aver luogo in un giorno di maltempo! Le cose da portare in alpeggio e da riportare a valle a fine stagione sono molte, legate al mestiere e alla vita quotidiana dell’allevatore e della sua famiglia.

(Val Chiusella)

(Val Chiusella)

Già, la famiglia… Un tempo si saliva ad inizio stagione e si scendeva in autunno, uomini e bestie, tutti insieme. Oggi ci sono allevatori con mogli che fanno un altro mestiere e che raggiungono i mariti solo nel fine settimana. Salgono portando viveri freschi, vestiti puliti, le auto stipate di tutto quel che serve. Se non si può fare diversamente, ci si adatta e ci si sacrifica, ma ben venga la possibilità di fare una vita un leggermente migliore. Se si hanno dei figli giovani, magari hanno anche voglia di scendere una sera e incontrare gli amici, una volta terminati i lavori. Non pensiate che chi fa l’allevatore sia solo un sognatore filosofo votato alla solitudine, che tragga soddisfazioni sufficienti dallo stare con gli animali e dagli splendidi scenari che l’alpeggio offre!

(Val Chiusella)

(Val Chiusella)

Le piste servono a portare le attrezzature di cui non si può fare a meno: fili, picchetti e batterie, reti per le pecore, sale, cibo per i cani. Una volta come si faceva? Una volta c’erano meno animali, più gente e si lavorava diversamente. Provate a pensare che, al posto del filo e dei picchetti, c’erano anche bambini piccoli che andavano da soli al pascolo degli animali con un tozzo di pane duro in tasca o una fetta di polenta da far durare fino a sera.

(Val d'Aosta)

(Val d’Aosta)

Ci saranno alpeggi dove probabilmente mai verrà costruita una strada: perchè utilizzati per poche settimane all’anno, perchè lassù non si munge e caseifica, perchè tanto non c’è una famiglia, ma solo un operaio che sorveglia gli animali. Certi alpeggi verranno abbandonati, perchè non c’è la strada. E’ già successo: nei valloni più impervi, alle quote maggiori, vi sarà capitato di vedere alpeggi crollati e pascoli non più utilizzati.

(Valle Stura)

(Valle Stura)

Oppure, mancando una pista, quelle montagne verranno caricate con animali in asciutta, manze, vacche con vitelli lasciati incustoditi o soggetti a sorveglianza saltuaria da parte dell’allevatore o di un suo incaricato. Certamente, se viene realizzata una pista di servizio per l’alpeggio e se questo è comunale, il Comune può mettere nei regolamenti clausole ben precise, per esempio riguardo la manutenzione dei pascoli, il loro utilizzo, l’attività di caseificazione e così via. Insomma, richiedere che la montagna venga gestita opportunamente, sia una risorsa di cui può beneficiare anche il turista.

(Val d'Aosta)

(Val d’Aosta)

Ci saranno irriducibili che continueranno ad alpeggiare anche laddove non ci sono le strade, specialmente con greggi, come si è sempre fatto. Non che loro non abbiano esigenze, ma si sacrificheranno. Magari c’è anche qualche allevatore che preferisce così, quindi in quel caso il problema non si pone  e saranno tutti contenti, gli ambientalisti, i turisti, i pastori. Ma quanti ne conosciamo, di questi casi?

Ecco infine il sondaggio, potete dare risposte multiple. E’ solo un modo per capire come la pensate, poi ovviamente potete commentare sotto l’articolo per esprimere in maniera più approfondita le vostre opinioni.

Manca la pioggia

Dove non ha piovuto la situazione si sta facendo davvero critica e, probabilmente, ci saranno allevatori costretti a scendere dall’alpeggio con qualche settimana di anticipo. Dove ha fatto qualche temporale va già subito meglio, ma… in generale la situazione è critica.

Facciamo una carrellata tra le valli. Qui siamo in Val Germanasca (TO) ai Tredici Laghi. I pochi bovini presenti, lasciati liberi di spostarsi a piacimento, vanno dove l’erba è ancora un po’ più verde e fresca.

Ma sui costoni, tutto dove le rocce sono più superficiali, dove manca quel po’ di umidità dei laghi (anch’essi molto bassi di livello), l’erba è gialla, rossa, completamente secca. Il sole splende implacabile, caldo, ogni tanto si unisce il vento ad asciugare ancora di più il terreno.

Gli effetti della siccità sono ancora più visibili in basso, in alcuni prati che, non so per quale motivo, non sono nemmeno stati pascolati. Gialle distese che paiono campi di grano… e siamo solo a fine agosto, non ad ottobre! Un tempo da queste parti si vedevano più animali, invece oggi gli alpeggi paiono sotto utilizzati, con il bosco che avanza.

Cambiamo vallate: Vallone dell’Arma in Valle Stura (CN), zone già normalmente più aride e meno piovose. La mandria è sparpagliata sul ripido pendio, a pulire tutto quello che resta.

Anche più in alto ci sono altre mandrie, laddove ormai quasi tutto è stato pascolato. E’ normale, a questa stagione. Si finiscono i pascoli alti, poi si scende. Il problema è che, più in basso, le alte temperature e la siccità non hanno fatto ricrescere l’erba già pascolata ad inizio stagione, o hanno fatto seccare quella che c’era.

Se solo avesse piovuto almeno un po’… Qui siamo ai Tornetti in Val di Viù (TO), dove invece ci sono stati dei temporali, alcuni anche violenti e con grandine. Mi dicevano che la grandine ha addirittura schiacciato l’erba. Però almeno qui di erba verde ne ho vista, i colori erano quelli giusti per la stagione, per l’inizio di settembre a questa quota.

Val d’Aosta, Vallone di Saint Barthelemy, Tsa de Fontaney. Non c’è più niente, l’erba è stata totalmente pascolata, nei prati sottostanti è stato già sparso il liquame, ma la terra è dura, non vede pioggia da settimane.

La mandria sta pascolando molto più in alto, quasi sotto al colle, accanto un laghetto, dove ancora c’è un po’ di verde. Lungo il ruscello, salendo quassù, era l’unica zona dove si vedeva quel colore. Non ha ancora fatto molto freddo, anzi… le temperature sono spesso ben superiori, il suolo è ancora caldo, con la pioggia l’erba ci sarebbe ancora.

Su di un altro versante, in un vallone laterale, le vacche sono puntini scuri sparsi in una zona più verde… ma vengono i brividi a vedere la pendenza di quel pascolo, forse più adatto a pecore e capre. Probabilmente, in un’annata normale, non sarebbero state mandate a pascolare lassù, ma per prolungare la stagione, si coglie tutto quello che c’è, dove c’è.

Altro alpeggio, anche qui pare che non ci sia più da mangiare per molti giorni. La desarpa sarà anticipata per molti, quando non c’è più niente, le bestie torneranno giù.

Più in basso c’è un pastore con il suo gregge, per pecore e capre si trova ancora sempre qualcosa in più, dato che si pascola ovunque sui pendii, sotto agli alberi, tra i cespugli. Il gregge poi è piccolo, sono animali affidati al pastore solo per la stagione estiva.

Il recinto è nella versione “massima sicurezza”, più alto della media e con un giro di reti “normali” intorno. Qui i lupi ci sono, sono già stati visti e fotografati quando ancora c’era la neve. “Di solito dormo qui nella roulotte, ma se capita di scendere la sera, voglio essere tranquillo!

Il pastore si chiama Remo, ci conoscevamo a vicenda, ma solo di nome… Sapevo che era stato a lungo nel Nord Est a fare il pastore da quelle parti, ma adesso è tornato nella sua regione d’origine dopo aver venduto il gregge che conduceva al pascolo da quelle parti.

Mi piacerebbe riuscire a fare un gregge solo di pecore Rosset, in alpeggio. Qui adesso ci sono delle Biellesi e delle Rosset. Oppure mi piacerebbe prendere delle pecore Lacone, farle partorire in primavera, salire e mungere, fare formaggio di pecora.

Anche se in Val d’Aosta soffia il vento, oltre a non piovere, la fortuna è avere almeno tutto un valido sistema di irrigazione a mezza quota e in bassa valle. Dove sono stati tagliati i fieni, poi si bagna e, quando scenderanno gli animali, potranno esser messi al pascolo. Ma, dove l’acqua non c’è, qualcuno ha già addirittura problemi a far bere mandrie e greggi, su negli alpeggi.

Una transumanza a fine luglio

Ultimo giorno di luglio, ma al mattino il tempo era tutt’altro che estivo. Qualche goccia, aria fredda. “Se vieni domenica è perfetto, – mi aveva detto Camillo al telefono – saliamo all’alpeggio alto!“. Una transumanza di sole capre non l’avevo ancora mai seguita. Il gregge lo incontriamo per la strada, ancora sull’asfalto, c’è tutto il tempo per superarlo, andare a bere qualcosa di caldo, mettere gli scarponi, chiudere lo zaino e prepararsi alla salita.

Quando il gregge arriva, il tempo è già migliorato. La speranza è quella di riuscire ad arrivare a destinazione senza prendere pioggia. Non si fa sosta qui nella piana, si va avanti, c’è ancora un lungo tratto impegnativo da affrontare prima di arrivare a destinazione.

Nei mesi precedenti il gregge ha pascolato altrove, ma il cuore della stagione sarà lassù, alle quote maggiori. Si farà tappa nel fondovalle solo in autunno. Nonostante il tempo incerto e l’aria fredda, c‘è un buon numero di turisti e molti vengono a fotografare le capre.

Ci sono animali di sei diversi proprietari, la maggior parte sono di razza valdostana, alcuni capi sono davvero notevoli. Il valore di queste capre sta nella loro bellezza, nella passione che i proprietari hanno per questa razza, e nella tradizione della “battaglia delle capre”. I dialoghi di chi accompagna la transumanza sono spesso incentrati sugli animali: se ne ricostruisce la genealogia… Non soltanto l’albero genealogico della capra, ma anche il nome del proprietario del padre o della madre!!

Dove finisce la strada sterrata si scaricano dal furgone alcune capre e capretti che avevano avuto difficoltà nel seguire la transumanza su asfalto. Di lì in poi, tutti a piedi! Qualcuno è già andato avanti per preparare le reti intorno alle baite e… il pranzo di fine transumanza!

Dalla cartina già si vedeva che ci aspettava un bel sentiero tortuoso per arrivare a superare la bastionata rocciosa e salire in quota. L’aria è fresca, saranno gli animali a fare il passo, si procede abbastanza velocemente. Uno davanti, gli altri dietro a controllare che nessun animale si attardi, specialmente i capretti più piccoli.

Il sentiero è ben battuto, molto frequentato. Le capre conoscono la strada, vengono qui da anni, e potrebbero quasi essere lasciate sole, sarebbero in grado di arrivare a destinazione senza problemi.

Per un po’ si sale nel bosco di larici. Si cammina a passo sostenuto, nonostante la salita gli animali in testa non accennano a rallentare, mentre gli ultimi fanno un po’ più fatica e, ogni tanto, occorre incitarli.

Il gregge raggiunge alcuni escursionisti, altri ancora raggiungono e superano il gregge. E’ un percorso davvero molto frequentato, ci sono alpinisti da tutto il mondo, salgono al rifugio per prepararsi ad affrontare la scalata al Gran Paradiso o alle altre cime che presto ci appariranno davanti.

I larici finiscono, iniziano i pascoli, inframmezzati da moltissime rocce. Siamo ad alta quota, non c’è tantissima erba, ma è quel che ci vuole, a questa stagione, per le capre. Un tempo venivano lasciate libere e sapevano loro andarsi a scegliere i pascoli migliori. Da alcuni anni, con la ricomparsa del lupo, è dovuta cambiare radicalmente la gestione. Anche questo gregge, in passato, è stato vittima di pesanti attacchi.

Si devia dal sentiero principale seguendo una traccia meno marcata, dovremmo quasi essere in vista dell’alpeggio. Dove potrà essere, quassù, un alpeggio? Siamo ad oltre 2400m di quota. Si passa tra i blocchi di roccia staccatisi dalla parete sovrastante. Le capre si muovono agilmente su qualsiasi terreno, anzi! Le rocce sono un piacevole diversivo su cui salire!

C’è un ponticello in legno per superare il ruscello, è un buon punto per ammirare la sfilata degli animali. I pastori continuano a ripetere che siamo arrivati (e intanto commentano questa o quella capra!).

Moncorvè è lì, in quella che potrebbe essere definita una piccola conca. Molto piccola, quasi una specie di balcone sul salto di rocce sottostante. Due vecchie baite, una cascata, un torrente che attraversa il “piano”. Arriviamo con il sole, ma il maltempo è in agguato.

Bisogna tirare le reti per impedire che le capre si allontanino troppo in quelle prime ore. Erba ce n’è in abbondanza e avranno tempo per pascolarla man mano nei giorni e nelle settimane successive.

Meritava venire fin quassù anche solo per scattare una serie di immagini del gregge con i ghiacciai sullo sfondo. Bisogna fare in fretta anche con le foto, perchè il tempo sta cambiando rapidamente.

Volevo immortalare anche tutto il gruppo che ha accompagnato le capre, ma sembra impossibile riunirli per uno scatto! C’è chi sta facendo scaldare il pranzo, ci apparecchia tavola, chi ha tirato fuori i teli da mettere sulla baita. Proprio mentre si cercherà di tirarli ed assicurarli con le corde, inizierà a piovere. Si mettono tutti gli zaini al riparo e si finisce di legare le corde, poi tutti a tavola per un ricco pranzo.

Passano le nuvole, soffia di nuovo il vento. Le capre hanno trovato il posto dove stare. A tavola si parla di lupi, delle pecore che in valle sono sparite, nessuno più le alleva, di iniziative per aiutare gli allevatori di montagna, si raccontano aneddoti delle passate stagioni… Purtroppo però è arrivata l’ora di scendere a valle. Entro sera se ne andranno quasi tutti, solo uno resterà a pascolare e sorvegliare il gregge fino alla fine della stagione.

La salita al seguito del gregge non era stata dura, scendere in “solitudine” invece rende più l’idea del percorso compiuto lungo il tracciato. A Pont la fienagione è stata interrotta dalla pioggia, ma il bel tempo arriverà nei giorni successivi.

Capre (e non solo) in alpeggio

Mentre ero in Val d’Aosta, oltre ad intervistare aziende in cui si alleva e si caseifica, sono anche andata a cercare capre in alpeggio. La prima “gita” mi ha riportata su sentieri che avevo già percorso in passato con una transumanza. Il gregge era sicuramente su, avevo visto foto su facebook pochi giorni prima.

E’ una bella giornata di sole, nel fondovalle si irrigano i prati con le girandole e le vacche sono al pascolo. Sul sentiero si incontrano numerosi turisti, è sabato e questo è un percorso molto frequentato, sia per le escursioni, sia per l’alpinismo.

La fienagione è in corso, sono previste piogge per l’indomani, quindi è meglio affrettarsi a ritirare tutto il fieno già secco. Il sentiero intanto sale tornante dopo tornante, questa è un’antica mulattiera, siamo nel Parco del Gran Paradiso. Ogni tanto qualche traccia, un po’ di lana attaccata alle spine o sulla corteccia di un larice.

Nei primi pascoli che si incontrano dopo il bosco, l’erba non è quasi stata mangiata. Finalmente le pecore le vediamo molto più su, sul versante, proprio dove passa il sentiero. Così la marcia continua fino a raggiungere il gregge: pecore biellesi e capre valdostane. E’ lo stesso gregge che già avevo accompagnato due anni fa.

Anche il pastore lo conosco, è Davide, che in passato mandava quassù gli animali in guardia, ma adesso è lui a sorvegliarli in prima persona. “Sono sette anni che le mando qui… Le capre stanno sempre insieme alle pecore, anche giù d’inverno quando giro. Oggi ho sbagliato a venire a pascolare qui, c’è troppa gente sul sentiero!” E il gregge, sotto il sole, si ferma “a mucchio”, andando ad invadere proprio un tratto di sentiero. La gente si ferma, guarda, fa foto, commenta in tutte le lingue.

Anche nel Biellese c’è la passione per le capre di razza valdostana, i territori non sono così lontani e poi, per l’appunto, capita che si venga a passare l’estate sulle montagne della vallèe. Nel Biellese però queste vengono allevate soprattutto per bellezza e per passione, senza che vengano portate alle battaglie come invece accade in altre zone del Piemonte.

Lentamente il gregge si sposta e finirà poi per pascolare sopra all’alpeggio. Il tempo cambia, arrivano le prime nuvole, i turisti cominciano a scendere. C’è invece qualcuno che sale con gli asini… arriva anche Enrico, così posso andare a salutarlo e scambiare quattro chiacchiere. Mi racconta della sua avventura che prosegue con le capre camosciate nelle colline di Roccaverano, di progetti per il futuro anche per l’alpeggio, sempre con capre, ma razze più rustiche della camosciata.

Sarebbe davvero bello che questo alpeggio, collocato in un luogo meraviglioso, potesse tornare anche a produrre formaggi. La posizione è perfetta, con il sovrastante rifugio e il flusso continuo di turisti. Salutiamo Davide ed Enrico, è ora di rientrare, qualche goccia di pioggia cadrà sulla via del ritorno… La speranza era quella di avere bel tempo per il giorno successivo, altro alpeggio, altre capre…

Razze in via di estinzione

Oggi ero stata invitata in un luogo che conosco bene, il Rifugio Barbara al fondo della Comba dei Carbonieri, in Val Pellice. L’occasione era la presentazione di un progetto da parte della Coldiretti. Se n’era già parlato anche su “La Stampa” l’altro giorno… Questa doveva essere la conferenza stampa di presentazione del progetto. Sui siti stanno già uscendo gli articoli dei giornalisti presenti (ANSA, poi qui, qui…), ma io che sono la pecora nera, le cose le ho viste un po’ in un altro modo.

Era una bellissima giornata, forse fin troppo bella per parlare di montagna, alpeggi, pastorizia e dei relativi problemi. Come al solito “immagini da cartolina” che potrebbero far dire: “Si lamentano, ma guardate un po’ in che posti vivono e lavorano!!!“. C’è da lamentarsi? Per la questione lupo… sì, di sicuro. Continuano gli attacchi, anche con il pastore presente. Il fenomeno si estende anche in aree dove prima si registravano solo predazioni sporadiche. Non ho più scritto post parlando dell’argomento, perchè non c’è niente di nuovo da dire…

Subiscono attacchi quelli che, in zone dove non era ancora mai successo niente, non usano ancora le recinzioni per il ricovero notturno e/o i cani da guardiania. Continuano a subire attacchi quelli che cercano di applicare tutti i metodi cosiddetti di prevenzione. “Vengono sempre più vicino, attaccano anche quando ci siamo noi, sono corso incontro gridando, ho tirato il bastone, non se ne andava“, racconta Giuseppe, il giovane pastore di questo gregge.

La Coldiretti, per attirare l’attenzione sull’argomento, ha organizzato questo incontro per lanciare un “progetto innovativo”. Una campagna di crowfounding per sostenere i pastori. “Ami il lupo? Adotta un pastore”. Sono andata per sentire cosa sarebbe stato detto. Le mie perplessità però erano non poche. E’ vero che il pastore sta già quasi diventando una razza in via di estinzione, ma è questa la strada da seguire?

E’ vero che la montagna vuole vivere, ma… non sono altri i problemi? Permettetemi lo sfogo… Non è che il lupo non sia un problema, ma (come dico spesso) è la classica goccia che fa traboccare un vaso sempre più colmo. Cosa si pensa di fare con una raccolta fondi? Va bene parlare di valorizzazione dei prodotti, di comunicazione sulla figura e sul ruolo degli allevatori di montagna, ma ci sono tante cose concrete da fare. Non saranno le piccole donazioni (di chi? i margari e pastori presenti mi dicevano che quest’anno si vende poco in alpeggio, la gente non ha più soldi, si muove poco, compra poco) a far sì che vengano realizzati ricoveri in tutti gli alpeggi dove questi sono carenti o mancanti…

Un po’ tutti i presenti sono stati intervistati prima della presentazione del progetto. Ma chi avrà veramente detto tutti i problemi che ci sono? Chiacchierando con uno e con l’altro, il clima che ho respirato è di sfiducia: “Per il lupo, l’unica cosa è che ci lascino difendere le nostre bestie, ma di quello nessuno ne parla, dicono solo che dobbiamo convivere…”. “Gente non ne passa, si vende poco…”. “C’è il divieto, ma vengono a parcheggiare la macchina fin davanti alla stalla. Gli dici qualcosa e ancora ti rispondono male. Ho dovuto raccogliere un mucchio di immondizia lasciata dai turisti stamattina…”. “Abbiamo i premi della PAC bloccati…“.  E’ stato mostrato questo video realizzato recentemente intervistando alcuni allevatori. Certo, servirà a far promozione, servirà a far conoscere il mondo degli allevatori in questa nostra era distorta dove l’allevatore è spesso criminalizzato… Ma basterà?

A parte le (giustissime) parole sul fatto che gli allevatori di montagna sono un presidio per il territorio (quello pascolato, quello sfalciato…), sulla loro scomparsa che rappresenterebbe un disastro per tutto ciò che sparirebbe insieme a loro (conoscenze, esperienze, prodotti, razze animali…), quando è stato presentato il progetto, io concretamente ho capito ben poco. E’ stata usata una terminologia che non appartiene a questo mondo, ma a quello a cui forse dovrebbe rivolgersi. Ma se lo scopo è proprio far comunicazione, non bisognerebbe proprio far sì che i due mondi di comprendano, visto che si sono già allontanati anche troppo? Siamo al punto che occorre spiegare da dove viene il latte… Ma dobbiamo anche far sì che i pastori non si sentano gli abitanti di una tribù a cui viene fatto indossare il gonnellino di foglie e la collana di perline per la visita dei turisti!!

Siamo sicuri che il messaggio “Ami i lupi? Adotta un pastore” sia quello giusto? Io, se fossi ancora attivamente tra le pecore in alpeggio, non vorrei essere adottata da nessuno. Vorrei poter lavorare in pace, vorrei poter vendere i prodotti al loro giusto prezzo. Magari anche attraverso la vendita on-line, perchè no, se oggi il mondo si evolve, bisogna evolversi. Ma senza essere adottata. Vorrei camminare a testa alta, vorrei che i sindacati agricoli facessero delle campagne per contrastare i messaggi sbagliati che circolano sempre più prepotentemente proprio on-line. Se si raccolgono dei soldi, che servano a fare delle campagne per il consumo corretto di carne di agnello e capretto a Pasqua, Natale e in tutto l’anno, ma che abbiano la stessa forza e presenza di quelle che invece fanno credere che si macellano agnelli di pochi giorni di vita…

E i Sindacati agricoli facciano davvero qualcosa per gli alpeggi per esempio contribuendo ad eliminare la piaga delle speculazioni sugli alpeggi… “Speriamo serva a qualcosa, l’importante è che se ne parli, altrimenti nessuno sa quello che succede“, commentava qualcuno prima che iniziasse l’incontro. Io credo che, dei problemi, se ne sia già parlato molto, fino a diventare una cosa quasi scontata e fastidiosa. Servono fatti concreti. I soldi la gente di montagna li deve guadagnare dal proprio lavoro. Non servono contributi, a me pare che i contributi abbiano già snaturato e danneggiato fin troppo questa realtà.

Mentre scendevo riflettendo su quando ascoltato e visto, ho incontrato un gregge di capre che risaliva verso un alpeggio collocato a mezza quota nella parte centrale della Comba dei Carbonieri.

Dopo le capre venivano i bovini. Auto di gente che scendeva dal Rifugio Barbara (turisti o partecipanti al convegno?), invece di fermarsi, sono passate tra gli animali, continuando la discesa. Forse la prima cosa da fare sarebbe tornare ad insegnare il rispetto. Questo è un lavoro come un altro, ma avviene all’aria aperta in un territorio che per molti è solo luogo di svago. Nessuno, più a valle, si sarebbe sognato di passare mentre i mezzi spostavano tronchi nel cantiere forestale.

E che dire dell’allevatore che seguiva, a passo lento, gli animali? Aveva raccolto anche un po’ di legna secca, lassù si accende il fuoco anche in queste giornate che in pianura sono torride. Vi sembra “uno da adottare”? Io penso che lui voglia solo poter continuare a vivere e lavorare lassù, anno dopo anno, con i suoi animali. E’ vero che oggi si vive molto di immagine, sono io la prima che ripete costantemente che è necessario fare comunicazione per far conoscere questo mondo. Però bisogna mostrare la realtà con tutti le sue luci e ombre. Il progetto diventerà operativo con la presentazione ufficiale a Terra Madre. Attendo di capire come concretamente aiuterà i pastori. Per il discorso lupo, la mia idea resta una sola: diamo loro la possibilità di difendere il gregge. Per tutto il resto… non se ne parla se non tra addetti ai lavori. Anno dopo anno ci sono alpeggi che cadono nelle mani degli speculatori, anno dopo anno nessuno fa i ricoveri in quota per chi deve stare lassù per sorvegliare i propri animali. Chi adotta un pastore che è rimasto “senza montagna”?

Le “regole” per gestire i pascoli

Sono stata in Trentino a presentare i miei libri in occasione della festa annuale delle Regole di Spinale e Manez. Già sapevo che esistevano forme di gestione del territorio (pascoli, foreste…) diverse dalla proprietà pubblica/privata o consortile che abbiamo noi qui in Piemonte, ma in questa occasione ho avuto modo di capire davvero cosa significhi.

Sono arrivata il giorno prima della festa, in una giornata, ahimè, di pioggia, che non mi ha consentito di apprezzare lo splendido panorama che mi circondava. Ho comunque sfidato la sorte e il meteo (e ho avuto ragione!). Sono salita a Malga Vallesinella, fiancheggiando le famose cascate che si possono ammirare da queste parti. Il cielo non si è mai aperto completamente, così non sono riuscita ad ammirare le Dolomiti di Brenta.

Boschi e pascoli, abeti, radure e corsi d’acqua spumeggianti. Una rete di sentieri ben segnalata. Tra i cartelli, all’imbocco dei veri percorsi, la segnalazione della presenza dell’orso e le regole da osservare in caso di incontro. Più tardi, mentre camminavo in totale solitudine nel bosco, riflettevo sulle possibili reazioni nell’eventualità che il plantigrado si materializzasse davanti al mio cammino…

La mandria intorno a Vallesinella era composta da bovini di una razza che non avevo mai visto. Dal momento che ero in Val Rendena, mi è venuto in mente che questa potesse essere l’omonima razza. Ho poi chiesto conferma alle guardiane degli animali, che mi hanno confermato che si trattava proprio di vacche Rendena. Non immaginavo di ritrovare la stessa mandria il giorno successivo nella malga dove si sarebbe tenuta la festa…

La festa quest’anno si teneva a Malga Fevri. Ho chiesto di poter salire a piedi, per guardarmi intorno e vedere un po’ di panorama. Fortunatamente quel giorno in tempo era migliore. Le montagne giocavano a nascondino con le nuvole, ma i pascoli erano al meglio del loro splendore. Non era solo merito del sole, ma la qualità dell’erba da queste parti è davvero eccellente. Mentre salivamo, mi sono fatta spiegare in cosa consistono le “regole”. Sul sito della comunità di Spinale e Manez queste parole ben riassumono il concetto: “Un rapporto inscindibile tra una popolazione e il suo territorio, una partecipazione condivisa alla gestione del patrimonio comune, un uso necessariamente equilibrato e regolato delle risorse naturali, essenziali per la vita della comunità.

Le malghe vanno all’asta come accade altrove per gli alpeggi di proprietà pubblica, ma si sono introdotte clausole (come quello degli animali di razza Rendena) che fa sì che siano allevatori locali ad aggiudicarsele. A Malga Fevri ci sono manze, sulle altre malghe incontro anche vacche da latte. Le strutture sono belle, ben tenute, con tutto ciò che serve per far sì che la vita in alpeggio sia decorosa.

La gestione di tutto ciò che c’è sui territori delle Regole fa sì che vi siano fondi disponibili per tutte questi interventi. Non sono tanto le malghe a dare grossi frutti, quanto piuttosto le attività turistiche presenti, come i locali collocati all’arrivo delle funivie. E qui il turismo non manca. Mi spiegano che tutto viene reinvestito sul territorio: anche la struttura dove ho pernottato io (Pra de la casa) è un patrimonio delle Regole. Si trattava del vecchio vivaio forestale, che è stato riconvertito in attività recettiva, data in gestione ad una famiglia.

Questo sistema fa sì che tutte le attività di montagna siano ben gestite e non vadano a perdere: ne beneficia il territorio, l’economia, il paesaggio, il turismo… Insomma, ecco uno dei motivi per cui “da quelle parti” sembra un altro mondo rispetto a situazioni con problemi di gestione che si incontrano invece in altre regioni delle Alpi. Le Regole risalgono al XIII secolo… una storia secolare di corretta amministrazione del patrimonio montano, dove le tradizioni (attività agro-silvo-pastorali) si sono mantenute accanto all’evoluzione di nuove necessità/risorse come il turismo.

In quella giornata di sole un gruppo di giovani malgari sorveglia la mandria di vacche da latte, conversando con i tanti turisti di passaggio. Moltissimi regolieri erano saliti con la funivia al monte Spinale, poi scendevano a piedi o con le navette a Malga Fevri per la festa. Ogni anno questa si teneva in una delle diverse sedi delle proprietà delle Regole.

E così lo spazio intorno alla malga si affollava sempre più, la polenta cuoceva, la banda suonava… e le manze ruminavano pacifiche accanto alla stalla. Erano salite in quei verdi pascoli fioriti solo quella mattina, per trascorrere là le successive settimane d’alpeggio.

Dopo il pranzo, chi è interessato entra nell’enorme “stallone”, dove si potevano legare 150 bestie. Quel giorno invece entra la tecnologia, con microfono, computer e videoproiettore. Si raccontano storie di alpeggi e allevatori, di ieri e di oggi, poi viene per tutti il momento del rientro. Inizio ad essere “pratica” del territorio, così rifiuto i vari passaggi in auto, dato che i sentieri che scendono dalla malga mi ricondurranno esattamente a Pra della Casa. Mi auguro che questo sistema così antico di gestione del territorio possa sopravvivere ad ogni mutamento e che questi paesaggi unici continuino a vedere malghe vive, abitate, con pascoli utilizzati, produzioni casearie di pregio e razze locali a consumare l’erba.

Ogni animale rispecchia il carattere di chi lo alleva

Da quanti anni non salivo alla Vagliotta? Più di dieci… mi sa proprio che l’ultima volta era stata per nel 2015, quando giravo a far interviste per “Vita d’Alpeggio”. Non è per me così vicina la Valle Gesso. E’ quasi più lungo il viaggio in auto che la salita a piedi all’alpeggio.

Il sentiero è uno di quelli che ti portano in quota quasi senza accorgertene. Un motivo c’è e vale per la maggior parte dei sentieri da queste parti: qui venivano a caccia i reali e bisognava portarli su con tutto il loro seguito, quindi bisognava tracciare dei percorsi agevoli. Per chi volesse conoscere meglio questo aspetto storico, vi rimando alla pagina del Parco. In quel giorno io salivo, ancora all’ombra e al fresco, inebriata dal profumo dei maggiociondoli in fiore.

Non c’era silenzio, l’aria, oltre al profumo dolce, portava il fragore del torrente gonfio di acqua. Tutto molto bello, romantico e pittoresco per un’escursione, ma immaginate doverlo fare molte molte volte, a piedi, nel corso di tutta l’estate? Anno dopo anno… mentre gli anni passano, appunto. Viveri e materiali arrivano su ad inizio stagione con l’elicottero. “Sono venticinque anni che saliamo qui, anche se è da un po’ che vorremmo cambiare… Il figlio Nicolò sta giù, lui è più trattorista. Fossimo da un’altra parte dove si può andare e venire magari verrebbe anche lui, ma non so se starebbe qui fisso cinque mesi.

Prima di arrivare all’alpeggio, incontro il gregge che scende verso il pascolo, dopo la mungitura del mattino. Pecore roaschine e capre. “Doveva esserci Marilena… lei ti ha detto di venire su, ma io… io sono più per le pecore, è lei quella delle capre, anche all’inizio eravamo partiti uno con le pecore e uno con le capre. E’ anche questione di carattere, ogni animale rispetta il carattere di chi li alleva!

Con Aldo inizia una lunga chiacchierata sui temi più vari. Ci si conosce da anni ed è capitato più e più volte di incontrarsi un situazioni e contesti differenti. Prima di parlare di capre, ci raccontiamo mille cose, spaziando dal tema delle speculazioni sugli alpeggi, al lupo, alla figlia veterinaria in Francia e molto altro ancora. “Volevamo andar via di qui, ma non è facile trovare altri alpeggi, sai bene come funzionano le cose in questi anni… preferisco essere qui che altrove per conto di altri. Il gias sopra non l’hanno fatto aggiustare perchè noi parlavamo di andarcene. Ma, se anche fosse stato così, poteva venire qualcun altro e sarebbe servito comunque, no?

Aldo si dice contento del progetto del mio nuovo libro: “Vita d’alpeggio, quello sì che era stato bello. Gli altri sui pastori… sai, questi grandi pastori, a me non piacciono. Te l’avevo già raccontato, quando era arrivato uno di loro con il suo gregge e ci aveva pascolato i prati che a noi servivano per lungo tempo, lui è passato senza rispettare niente…“. Mentre il sole inonda i magri pascoli della Vagliotta, ci mettiamo a parlare di capre: “Prima del lupo stavano meglio, le mungevi, le aprivi, loro facevano il loro giro e tornavano alla sera.

Adesso sono costrette a pascolare con le pecore, ma mettono meno latte, il pascolo della capra e della pecora sono differenti. Rispetto ai pastori che allevano solo per la carne, chi munge ha un altro rapporto con gli animali. Poi ne ha anche di meno. Adesso abbiamo tante capre bionde. Per caso abbiamo preso una Toggenburg, abbiamo visto che anche stando fuori pativa meno e aveva tanto latte.

Il gregge è da poco in alpeggio, ma di formaggi ce ne sono già: quelli freschi degli ultimi giorni, le ricotte del mattino e formaggi stagionati prodotti nelle settimane precedenti: “Si vende qualcosa anche qui, ma soprattutto agli stranieri. Noi facciamo bio da sempre, è stata una scelta, una filosofia, un modo di differenziarci. Andiamo a fare mercatini, anche lontano, soprattutto in Francia, là la gente capisce di più.

Il gregge è poco lontano dalle baite, così i cuccioli di Pastore di Pirenei sono partiti con gli animali, ma poi sono rientrati a casa. Qui non ci sono problemi con i cani dei turisti, dato che si è nel parco ed è vietato introdurre cani, anche al guinzaglio. I pastori dei Pirenei con questo gregge (gli adulti) hanno correttamente segnalato la mia presenza sul sentiero, poi mi sono venuti incontro scodinzolando e cercando qualche carezza.

Quando ridiscendo il gregge è sopra al sentiero: le pecore stanno andando a cercare ombra. Non è facile fare i pastori quassù, sicuramente è servita tanta passione, tenacia, spirito di sacrificio per tornare, anno dopo anno, per 25 stagioni. Sono pascoli difficili, pascoli da pecore, chissà cosa succederà quando Aldo e Marilena troveranno un’altra montagna o, semplicemente, smetteranno di affrontare questa salita?

Il sole adesso scalda i fiori del maggiociondolo, ancora più profumati. Qualche anno fa Aldo aveva avuto problemi alle ginocchia, è quasi un miracolo che possa ancora camminare in montagna, soprattutto su di qui. Lui però non è tanto da pascolo: “Preferisco fare tutte le altre cose, se sono al pascolo mi viene da pensare, mentre sono lì fermi, a tutto quello che c’è da fare…

Altri panorami

Sono appena tornata dal Trentino, ma ho ancora immagini delle settimane scorse da mostrarvi, quando invece ero stata in Veneto.

A Vicenza per un convegno, il mattino dopo mi sono alzata con una splendida giornata di sole. Che fare? Dove andare? Rientrare immediatamente a casa significava sprecare un’opportunità. Così, cartina alla mano, decido che l’Altopiano di Asiago potrebbe essere una buona meta. C’ero stata molti anni fa. A dire il vero proprio ad Asiago erano iniziate tante cose. Avevo partecipato ad un convegno sulle transumanze. Era forse il 2004, credo… In quell’occasione avevo presentato i miei primi passi nel mondo dei pastori vaganti ed avevo incontrato i contatti giusti che mi hanno aiutato per la pubblicazione di “Dove vai pastore?”.

Questa volta però sono lì solo di passaggio. La stagione è un’altra e non ho impegni ufficiali. Posso guardarmi attorno, un rapido giro prima di mettermi sulla (lunga) strada del rientro. La segnaletica è perfetta, così scelgo un itinerario ad anello che, in poco più di un’ora, dovrebbe consentirmi di vedere un po’ del paesaggio rurale intorno ad Asiago. 

Parlare di Asiago significa storia, la guerra, ma significa anche allevamento, formaggio. Questo paesaggio c’è grazie alle attività agricole. Gli spazi sono ampi, l’altopiano tiene fede al suo nome, così i prati si estendono a perdita d’occhio, inframmezzati da villaggi, stradine come questa, alberi da frutta solitari. Più in alto, i fitti boschi di conifere. Sarebbe ora di far fieno, ma le condizioni meteo instabili hanno rallentato la fienagione anche da queste parti.

Ci sono anche animali al pascolo. Si vedono stalle qua e là, non so se alle quote maggiori ci siano delle malghe, immagino di sì. Nel mio breve giro ho visto queste Frisone, vacche che solitamente non siamo abituati a veder pascolare all’aperto, tanto più in “montagna”, ma qui il territorio è molto diverso da quello alpino.

Accanto ad una cascina, un altro recinto con altre vacche da latte di razze differenti, tutte ad alta produttività. Non mi sono fermata a comprare l’Asiago al caseificio, non è il genere di formaggio che cerco, preferisco quelli di alpeggio, quelli non “industrializzati”. Però il gelato che ho assaggiato in centro ad Asiago, con latte di azienda agricola locale, aveva un sapore davvero buono e genuino.

Decido di proseguire scendendo verso il Trentino. Come dicevo, il tempo era ancora molto instabile, così una serie di violenti temporali, inframmezzati anche da grandinate, abbassano drasticamente la temperatura. Mi fermo per lasciar passare la parte più intensa della precipitazione, poi la strada mi porta, dopo chilometri di foresta, al passo di Vézzena, tra ampi pascoli e malghe appena ai lati della strada asfaltata.

Nonostante il freddo, il vento e i tuoni in lontananza, c’è comunque un discreto via vai di turisti in visita alle malghe. Leggo che, oltre all’acquisto dei prodotti, qui è possibile svolgere alcune attività ricreative e consumare pranzi e merende. Stiamo parlando di realtà molto diverse dalla maggior parte degli alpeggi delle Alpi Occidentali. Sarebbe sicuramente bello poter visitare meglio questi posti, ma le ore di viaggio per rientrare sono tante e così abbandono l’aria frizzante per sprofondare nella calura della Pianura Padana…

Un giro in Valle Orco

La meta non era quella. Ma poi al mattino il tempo sembrava davvero pessimo. Giù in pianura non ne parliamo, quindi più che provare a risalire una valle e sperare… Alla fine, come si dice, la fortuna premia gli audaci. Mentre nel fondovalle le nuvole stagnavano, compatte, contro le montagne, man mano che si saliva sembrava esserci qualche spiraglio.

Lungo la strada, ad un certo punto, ecco un gregge di capre con il loro anziano pastore. L’erba è bagnata, il cane abbaia perchè due capre stanno facendo battaglia. Due parole su questa stagione dal tempo ballerino, poi si prosegue, dopo aver avuto alcune indicazioni su altri allevatori presenti in zona.

Il secondo incontro, sempre casuale, di giornata, è con un altro gregge di capre vicino ad un alpeggio. Sono bellissime capre e non occorre molto tempo per capire chi sia il padrone. Simone dice di essere più un margaro che un capraio, ma la qualità dei suoi animali è risaputa. “Le abbiamo da vent’anni, non abbiamo mai comprato, sempre allevato le caprette.

Ci sono anche alcuni bovini davanti all’alpeggio. “Ho anche la passione delle mucche nere, le reine. Sono andato a scuola, ho fatto due anni di meccanico, quando ho avuto 16 anni mi sono messo a lavorare in stalla, una volta avevamo solo 4-5 mucche. Quest’anno è il quarto anno che vengo in alpeggio.

Adesso sono appena salito. Sono da solo, mio papà lavora in fabbrica, poi sta giù a fare il fieno. Mia mamma veniva su con me, poi si è ammalata, è mancata lo scorso anno. Faccio formaggi, qui sulla strada si vendono bene. Faccio solo tome. Mi sono messo a posto per lavorare il latte anche giù in cascina. Le capre non le mungo, poi per fare i formaggi di capra richiederebbero un altro locale separato!

Una volta le portavo alle battaglie, mi piaceva, ma poi ho smesso per le troppe polemiche. Adesso ci godo di più a vederle tranquille nel prato a pascolare.”

Tanti turisti le prendono per stambecchi, uno mi ha chiesto se facevo la toma, di stambecco! Faccio anche una lavorazione come quella della fontina, ma ovviamente non posso chiamarla così. L’ho chiamata Ceresolina. Grazie al nome, la gente la compra di più della toma normale! Ormai però non comprano più la toma intera.

Salutato Simone, il viaggio prosegue. Poco sopra, a Ceresole, appena prima della diga, c’è un gregge che sta per andare al pascolo. In questo inizio di stagione è facile fare incontri così, lungo la strada, perchè la maggior parte degli allevatori sta salendo. O meglio, sale chi può pascolare nel fondovalle, visto che agli alpeggi c’è ancora ben poco, quando non addirittura la neve!

Il gregge è quello di Ettore, appena arrivato quassù con la sua transumanza. Il pastore non si scompone per il tempo, è abituato a prendere quello che viene. Si lamenta per le pecore zoppe, quest’anno il clima purtroppo sta favorendo la zoppina, cosa che ho già riscontrato anche presso altri pastori.

E’ ora di andare al pascolo, così il pastore chiama il gregge, che si sposta poco sotto a pascolare altri prati. Non conosco quale sarà il suo tragitto, ma guardando verso l’alta valle mi sa che dovrà far durare l’erba quaggiù, in attesa che la neve sciolga.

Pensavo di non incontrare più animali, di lì in poi, invece ecco ancora qualche mucca, alcune capre e un’agnella che pascolano di fianco al Lago di Ceresole. Forse sono appena arrivati dalla pianura. Il cielo intanto si sta aprendo sempre di più ed esce il sole. Così si prosegue verso l’alta valle.

Veramente di lì in poi non ci sono più altre mandrie e greggi, arriveranno solo più avanti. Siamo nel Parco del Gran Paradiso e gli stambecchi sono abbastanza facili da vedere. Questo branco di più di 20 animali è ben mimetizzato tra le rocce, ma si lascia avvicinare senza troppi problemi. Ovviamente bisogna rispettarli, muoversi piano e non far rumore, poi si può stare a lungo ad osservarli.

Mi viene da sorridere nel pensare che, si trattasse di un gregge di capre lasciate libere ed incustodite, sarebbe molto più difficile avvicinarle così. Ci sono animali di diverse età, tra cui alcuni maschi molto vecchi, a giudicare dal palco. Riposano, si godono il sole, mangiucchiano…

Più in alto ancora, alla diga del Serrù, la primavera e l’estate sono ancora lontane. La strada è aperta fin qui, più oltre bisogna proseguire a piedi, il Colle del Nivolet è ancora chiuso. Quassù non è ancora stagione di alpeggio, almeno per qualche settimana. Fa anche freddo, quindi è meglio ridiscendere.

Ancora un’immagine in cui ben si coglie cosa vuol dire, a queste quote, l’avanzare delle stagioni, dell’erba, delle fioriture. Buon alpeggio a tutti quelli che trascorreranno l’estate in Valle Orco. E intanto, giù nel fondovalle e nella pianura, si scatenava l’ennesimo temporale…

Chi è salito presto

Il Pastore lo scorso anno si lamentava per l’erba vecchia che aveva trovato quando era salito in montagna. Quest’anno invece la situazione è sicuramente diversa…

Sono andata a trovarlo nel vallone della Rho, in una delle tante giornate di tempo instabile di questa fine di primavera. Da quelle parti piove meno che altrove, la testata della valle è abbastanza asciutta, ma comunque qualche temporale c’era stato, e neve fresca sulle cime, e aria fredda.

Gli animali stavano bene, proprio quel giorno dovevano partorire le ultime due pecore gravide, poi per qualche mese, mentre il gregge avrebbe pascolato in alto, non sarebbero più nati agnelli. Meno problemi e meno rischi. Dopo aver sbrigato i vari lavori di routine, il gregge viene aperto dal recinto e messo al pascolo.

Erba verde ce n’è, ma non tutta è di gradimento degli animali. Il keirel, la Festuca paniculata, ormai è troppo duro perchè le pecore la bruchino. Le pecore partono a tutta velocità e sembrano non volersi fermare. Il Pastore deve mandare il cane più volte per farle pascolare lì, senza che salgano fino in cima alla montagna.

Il gregge è grosso, il pastore ed il suo aiutante devono pascolare in modo attento per non sprecare pascoli, la stagione è lunga e non si può sbagliare, anche perchè non si sa come procederà dal punto di vista meteorologico. In alto continua a fare freddo e l’erba non cresce. Poi forse ha anche patito il caldo anomalo e la siccità dell’inverno passato.

Il Pastore sorveglia il gregge, ogni tanto fischia ai cani affinchè vadano a “fermare” le pecore, intanto racconta le vicende di quelle prime settimane di alpeggio. In cielo intanto sole e nuvole non hanno ancora deciso chi avrà la meglio, per quel giorno.

In Piemonte ormai la maggior parte delle greggi è ormai salito, ma appena oltreconfine la transumanza avverrà solo tra qualche settimana. A Nevache infatti le pecore saliranno il 14 giugno e, per l’occasione, sarà festa anche con i turisti. Qui sul sito dell’ufficio turistico il programma della manifestazione, per chi fosse interessato a partecipare.