La capra è anche un messaggio politico che ci propone il recupero urgente della montagna

Prima o poi spero di incontrare Ivo e la sua famiglia, per adesso ringrazio il mondo virtuale che ci ha mesi in contatto. Qualche tempo fa mi ha scritto, mandandomi il suo contributo per illustrarmi la sua storia, la sua realtà. Una bella storia, ma leggendo tra le righe possiamo anche intuire le fatiche e i sacrifici che permettono a questa azienda di esistere, affrontati grazie alla passione, alla forza della famiglia, alle idee e agli ideali.

(foto I.Boggione)

In mezzo all’attesa dei parti ho partorito anch’io una paginetta sulla mia esperienza con le capre, anche se magari non ti servirà un granché perché immagino che siano cose che un po’ tutti ti dicono delle capre…. comunque mi fa piacere condividere e confrontarci. Mi chiamo Ivo e vivo a San Benedetto Belbo, nel Sud del Piemonte, in Alta Langa, precisamente in Alta Valle Belbo.

(foto I.Boggione)

Le capre sono parte ormai della mia famiglia, del mio tempo, della mia vita… Addirittura credo che siano una proposta furba per il lavoro e per il futuro per tutti, nella direzione di un ritorno alla terra e alla famiglia contadina, e nella ricerca di un’armonia tra allevamento e agricoltura e di uno stile di vita sobrio e rispettoso. La mia attività principale è l’apicoltura, ma fin da ragazzo ho accresciuto l’interesse per l’allevamento e la pastorizia, ed in particolare per le capre. Al momento devo anche lavorare qualche ora fuori per motivi economici. Riesco a seguire un centinaio di alveari e, per ora, 20 capre. Non da solo ovviamente, ma con l’aiuto di mia moglie, che è davvero speciale… Sarà per le sue origini montane, infatti viene dalla Valle Varaita, o perché semplicemente essendo una donna ha una sensibilità, una cura ed una marcia in più a favore di tutto ciò che è vita, bellezza, semplicità e bontà. E poi le capre hanno bisogno di una famiglia più che di una stalla! E i miei bimbi sono forse i loro amici preferiti.

(foto I.Boggione)

Ivo scrive su facebook che, al momento, per i formaggi occorre ancora attendere, dato che il latte lo stanno mangiando i capretti... “Alleviamo capre meticce, incroci di alpina comune e camosciata; sono capre molto rustiche, che si adattano al pascolo estensivo integrale da Pasqua ai Natale, e che negli altri mesi riescono a tirare avanti con un buon fieno. Quando partoriscono, solitamente tra gennaio e febbraio, i capretti rimangono con le madri e imparano da loro. Ne vengono fuori delle capre piuttosto selvatiche, ma che crescono sane e robuste e soprattutto molto rustiche e capaci di adattarsi alle giornate di pascolo nei boschi.

(foto I.Boggione)

Da casa nostra in cima al paese, fino alla cima della collina verso Mombarcaro, da 20 anni ormai i terreni della valle sono stati abbandonati, essendo ripidi e terrazzati, ma sono il luogo ideale per le capre. Dobbiamo ringraziare tutta la gente del nostro paesello, che è contenta di vedere rivivere quei pendii sui quali avevano lavorato, sudato, cantato e pregato i loro nonni… e quante storie ci raccontano del passato… quando ci fermiamo dalla stradone a guardare la collina e i muri e i “ciabot” di pietra e i “crutin” che piano piano riemergono dai rovi e dalla boscaglia. Le capre così sono maestre di storia e ci danno una mano a farci rivedere il nostro passato; e credo che oggi ci diano una lezione sulla sobrietà dei nostri antenati e che ci invitino a fare come loro: ad accontentarci di poco, ad inerpicarci ostinati sulle difficoltà del cammino in salita, senza paura, e a portarci dietro con occhio vigile e premuroso i nostri piccoli, nella boscaglia, nella vita dura e vera. La capra è anche un messaggio politico che ci propone il recupero urgente della montagna e che grida il dovere di rispettare l’equilibrio e le regole della natura. La capra non consuma gasolio, ma produce e dà da mangiare. Ci dà un buon latte e ottimi formaggi, e anche un buon letame per concimare i terreni più comodi da coltivare per il grano, le verdure e la frutta.

I prodotti dell’azienda Bôgiôn cit li trovate presso di loro a San Benedetto Belbo o ai mercatini ai quali partecipano. Seguiteli su Facebook per maggiori informazioni.

Si sta perdendo il buon contadino che fa i buoni prodotti

Ancora a Roccaverano. Dopo aver pranzato (ed assaggiato anche una robiola), quel giorno mi sono spostata in una seconda azienda, la Cooperativa La Masca, dove ho incontrato Beatrice, Fabrizio e Marco. Sarà Fabrizio a curare le pubbliche relazioni e raccontarmi un po’ la loro storia.

Salgo e scendo sulle colline per raggiungere La Masca. “Abbiamo iniziato nel 2001, con le produzioni nel 2002. Non dovevamo “cambiare vita”, perché eravamo ventenni che dovevano iniziare. All’inizio eravamo in quattro, una ragazza però si è tolta. Il nostro nasce come progetto di agricoltura collettiva sostenibile in territori che si prestassero a queste attività. Poi abbiamo iniziato a ragionare sull’allevamento e abbiamo scelto le capre. Mio papà era originario di Roccaverano, io sto a Monastero Bormida. C’era il prodotto da valorizzare, in quegli anni si tornava a parlare di prodotto artigianale, la Robiola di Roccaverano è uno dei primi Presidi SlowFood.
La cooperativa è un’attività collettiva di agricoltura sostenibile legata al territorio. Marco educa asini per la trazione animale, poi abbiamo messo alberi da frutta. Io faccio parte dell’ARI, Associazione Rurale Italiana. L’obiettivo è lavorare sul territorio, per il territorio e avere prodotti legati alla sostenibilità. Lo stipendio è magrissimo, questo è un problema. I costi sono sempre più elevati, abbiamo fatto investimenti, ma soprattutto i costi burocratici e amministrativi sono un peso.

Fino al 1996 per la Robiola non c’era un disciplinare stretto come oggi. Quando siamo partiti, erano 25-30 che facevano la DOP, ma all’epoca era diverso, i bollini te li regalava la Comunità Montana. Come consorzio abbiamo poi deciso di rifare il disciplinare. Abbiamo lasciato che potesse essere un formaggio a latte misto, perché tradizionalmente nelle aziende si faceva con latte di capra, pecora e anche vacca. Abbiamo differenziato il “pura capra” e il “misto” (dove però deve esserci almeno il 50% di capra). Abbiamo scritto che le razze possono essere camosciate e roccaverano. Avessimo messo solo la Roccaverano, facevamo la fine del Murazzano, che per essere stati rigidi sulla pecora delle Langhe, adesso rischia di scomparire come formaggio.

Oltre al pascolo diamo granaglie, un mix che ci facciamo noi, granaglie intere OGM free. Il disciplinare del Roccaverano è ogm free. Il fieno lo prendiamo da un allevatore di pecore qui vicino.
Siamo partiti da 20 caprette, abbiamo allevato, abbiamo comprato da un’azienda che smetteva. I becchi li cambiamo dopo 3 anni. Non destagionalizziamo e lasciamo il capretto sotto la madre, facciamo monta naturale e non fecondazione artificiale.

Ci alterniamo nei lavori, tutti sanno fare tutto, anche se poi ciascuno ha il suo compito principale: Beatrice è segretaria d’azienda, quindi la contabilità la segue soprattutto lei, ma si occupa anche del caseificio. Marco si occupa molto della stalla, io delle vendite e dei rapporti con le amministrazioni. Al pascolo ci alterniamo, andiamo tutti. Andiamo fin quando si può, da Pasqua a novembre in maniera continuativa, poi come adesso che non c’è neve le facciamo comunque uscire un po’. C’è stata tanta siccità… poi piantano noccioli ovunque e diventa difficile trovare dove pascolare.

A me piace occuparmi di politiche agricole, perché si sta avendo una “desertificazione contadina”: aumentano le grandi produzioni, ma si perde il buon contadino che fa i buoni prodotti. Va bene il “custode del paesaggio”, ma non voglio essere stipendiato per fare il giardiniere. Io devo produrre un prodotto che mi venga pagato al suo giusto prezzo, poi con quello ti garantisco di gestire il paesaggio grazie al mio lavoro e ai miei animali. Portiamo noi i formaggi ai negozi. Il problema è soprattutto la carne. Il capretto è una carne buona, magra, saporita. Cerchiamo di valorizzare il progetto Capretto della Langa Astigiana, allevato a latte materno. Questa è la garanzia di qualità e anche del benessere dell’animale.
Siamo clienti di un macello, andiamo là, ci macella l’animale e poi noi possiamo tagliare la carne e preparare i pacchi, il privato così viene e si prende la carne, oppure il ristorante.  Adesso sono 3 anni che portiamo capre e qualche caprettone a far trasformare al salumificio di Moretta. Si ottengono prodotti ottimi, è una carne poco conosciuta. Li piazziamo con i gruppi di acquisto, perché se la gente non li assaggia prima, sono prodotti difficili da collocare.

Qui le capre venivano… “mandate a spasso”

C’era ancora almeno un luogo che non potevo non andare a visitare, parlando di capre. Così la scorsa settimana ho preso la strada per Roccaverano, un paese della Langa Astigiana.

Quando costeggiavo il fiume Bormida ho visto le tracce, ancora ben evidenti, dell’alluvione di fine novembre. Tanta pioggia in quei giorni, poi una lunga siccità. Si vedeva ancora un po’ di neve sulle colline, verso le quali stavo per dirigermi, ma era comunque meno di quanto la stagione avrebbe richiesto.

Non è stato semplicissimo orientarmi tra quelle colline, ma alla fine eccomi guardare Roccaverano dall’alto, grazie ad un amico che si è trasferito qui proprio per allevare capre e che mi ha accompagnata in cima alla torre. Purtroppo non è una giornata delle più limpide, quindi non vediamo le Alpi.

Le colline hanno la loro veste invernale, con ancora un po’ di neve. Non c’è quasi nessuno in giro e anche molte delle case sono disabitate, parecchie cascine sono abbandonate. Verrebbe da dire che è proprio un posto da capre! Ma qual è la realtà da queste parti? Visiterò due allevamenti: le due stalle dei soci Enrico e Simone, poi nel pomeriggio invece mi sposterò a vedere una realtà molto diversa.

Enrico mi fa visitare l’azienda, ma mi dice che l’intervista la farò al suo socio. Lui è una “vecchia conoscenza”, anche se l’avevo incontrato molto lontano di qui, nella sua Val d’Aosta, in transumanza verso l’alpeggio. Poi nuovamente in montagna la scorsa estate. Il suo cuore è là, sui monti… ma la sua passione è comunque con le capre. Una passione che esiste fin da quando era bambino, ma che si è concretizzata solo quando ha letteralmente cambiato vita ed è passato dall’albergo di famiglia a questa stalla sulle colline.

Le capre in stalla, il ritmo quotidiano, la mungitura, l’alimentazione degli animali, la pulizia della stalla, poi qualche altro animale di contorno a completare la sua passione. Ma quello con cui devo parlare per saperne di più di Roccaverano e della tradizione caprina è Simone, il suo socio, con il quale porta avanti l’attività. Due stalle abbastanza vicine, collaborazione reciproca. Così ci spostiamo un po’ più giù sulla collina, per raggiungere la stalla della stazione sperimentale caprina, creata dalla Comunità Montana.

Questa stalla è nata come centro per ripopolamento delle capre. Voleva essere un’azienda pilota. Il Centro Sperimentale di selezione caprina “G. Bertonasco” ha come obiettivo l’allevamento di capi di alta genealogia, esenti da malattie quali l’Artrite Encefalite Caprina (CAEV) e con standard produttivi elevati. Il caseificio invece era nato come cooperativa per rilanciare la Robiola di Roccaverano. Noi adesso per il latte abbiamo tre clienti principali, il Caseificio, il caseificio di Vesime (che è di Eataly) e un altro. Il latte si vende bene, ce lo pagano un euro al litro.

Qui una volta le capre venivano “mandate a scò”, mandate a spasso. Erano le donne e i bambini che le curavano, l’allevamento della capra non era l’attività principale. Le cascine avevano varie attività e le capre dovevano mangiare dove non si poteva usare la terra in altro modo. I “pascoli” non ci sono mai stati. C’era chi faceva la “bergeria”, chi aveva il maschio. Quando era il periodo, gli altri portavano lì le loro capre per la monta. La “robiola del bec” si faceva con il latte di queste capre che venivano munte nel periodo che erano in calore. Aveva un sapore particolare, più forte.
Una volta tutti avevano capre, adesso siamo meno, ma ciascuno con più animali. C‘era più gente ed erano più attivi i mercati dei paesi, quindi si andava a vendere il formaggio. Il più diffuso era misto capra, pecora e vacca perché c’erano tutti i tipi di animale in ogni casa.

Simone è stato chiamato per dirigere questa stalla/stazione sperimentale quand’è stata creata. “Questa azienda nasce nel 2002, mi hanno cercato per gestirla. Io sono un perito elettrotecnico e mia moglie un architetto. Avevamo già un’azienda in un paese vicino, avevo vigneto e capre, avevo iniziato nel 1995. Vengono spesso persone a visitarci perché vogliono allevare capre, io distruggo i loro sogni, non bisogna essere troppo romantici. Per fare davvero un’attività bisogna sedersi prima e fare due conti. Un conto è farlo per passione, che se va male non importa, ma se lo fai per vivere deve rendere! È un’attività che si sostiene e così deve essere. I piccoli produttori si rivolgono più al mercato locale. I grossi vanno sulla grande distribuzione dove devi assicurare il prodotto ed essere sempre presente.

Due (tristi) storie di Natale

Chissà perchè, ma sotto Natale tutti gli anni mi tocca raccontare delle storie per niente belle. L’anno scorso c’erano le capre che pascolavano ancora fuori, visto che non nevicava, e i lupi le avevano disperse… Quest’anno invece i lupi hanno due gambe, si chiamano burocrazia, ottusità, mancanza di buon senso… trovate voi altre definizioni.

(foto S. De Bettini)

(foto S. De Bettini)

Ho due storie da raccontarvi: la prima è una richiesta di aiuto da parte di amici di vecchia data, che mi raccontano cosa si trovano a vivere da un mese a questa parte, cioè da quando l’alluvione di fine novembre ha colpito duramente la strada che porta alla loro casa/azienda agricola.

(foto S.De Bettini)

(foto S.De Bettini)

Così mi scrive Sasha: “Ti contatto a seguito di grossi problemi che abbiamo inerenti ai danni che abbiamo avuto in seguito all’alluvione, la nostra situazione è critica e stiamo cercando perlomeno di farci sentire, se per caso tu avessi voglia di scrivere qualcosa…” Su queste pagine la porta è sempre aperta per tutti. Non posso aiutare concretamente, ma almeno dar voce ad amici allevatori, quello sì, sempre volentieri!

(foto S.De Bettini)

(foto S.De Bettini)

La situazione è la seguente: la nostra strada è pista agrosilvopastorale, non comunale, gestita da consorzio. È franata malamente, soprattutto in un punto. Abbiamo rappezzato un minimo, a spese nostre, giusto per poter passare. Ieri mio papà, presidente del consorzio, ha ricevuto una lettera dal Comune in cui gli si dice che ha 7 giorni di tempo per provvedere alla messa in sicurezza (fatta come viene richiesta da loro, sono circa 50.000 euro di lavoro), in caso contrario la strada deve venir chiusa con transenna e divieto e se qualcuno subisce danni mio papà ne è responsabile in prima persona.

(foto S.De Bettini)

(foto S.De Bettini)

Questo significa che non si può togliere la neve, portare su cibo per gli animali e quant’altro. Lungo questa strada risiedono 7 nuclei familiari, ci sono sei bimbi in età scolare, mio fratello ha mucche capre e un cavallo, i nostri vicini tra tutti hanno 10 cavalli (quindi immagina quanto fieno). Ovviamente siamo tutti arrabbiati e molto amareggiati, si fa tanto parlare di ripopolare la montagna, ma poi nella criticità ci si trova soli… Ti allego le foto della frana peggiore!“. Siamo a Torre Pellice, in via degli Armand, per la precisione. Cosa succederà ora? Cosa potranno fare??

(foto Cascina Soffietti)

Problemi di altro tipo, ma forse ancora maggiori, li ha Fabrizio. Allevatore e veterinario, residente a Murazzano, molti di voi lo conosceranno per le sue consulenze in ambito ovicaprino (era anche stato docente in un corso dedicato appunto agli ovicaprini, che avevamo organizzato in provincia di Torino e Cuneo). Murazzano, terra di formaggi! E la Cascina Soffietti ne produce eccome.

(foto Cascina Soffietti)

(foto Cascina Soffietti)

Purtroppo però le recenti abbondanti nevicate e la pioggia successiva hanno portato al crollo della stalla. Ho letto la notizia qui. Per fortuna il numero di capi deceduti è stato relativamente basso, ma Fabrizio lancia un grido di disperazione dalla sua pagina Facebook. “…che situazione! Ho un buon prodotto, una buona organizzazione, sono l’unico che a Murazzano riesce a tenere una produzione decente anche in inverno con una buona percentuale di latte ovino… un allevamento di pecore delle Langhe di quasi 250 capi in pochi anni… eppure mi vedo costretto ad chiudere la mia attività perché le amministrazioni che da 20 sono a Murazzano mi continuano a fare solo promesse…

(foto Cascina Soffietti)

Fabrizio mi spiega che i terreni li avrebbe, ma il Comune gli nega l’autorizzazione per edificare una stalla. “Mi trovo costretto a… o chiudere, o trasferirmi. Esiste qualche altro Comune che vuole un’azienda come la mia e mi dia la possibilità di sviluppare l’allevamento ovino? …ed avere inoltre un veterinario sul proprio territorio??!!! Datemi una mano!!! A Murazzano non posso più vivere!

(foto R.Ferraris)

(foto R.Ferraris)

In questa immagine vediamo Fabrizio insieme al suo gregge durante un’attività di promozione del territorio. E’ paradossale che ciò avvenga in un Comune territorio di una delle DOP piemontesi. “Io ho personale e svolgo una professione…“, sottolinea, per evidenziare la dimensione reale della situazione.

(foto Cascina Soffietti)

(foto Cascina Soffietti)

Fabrizio cerca quindi un luogo dove trasferirsi al più presto, lui ed i suoi animali: 265 ovini, 50 caprini e 10 bovini. Se qualcuno potesse/volesse aiutarlo, contattatelo su Facebook (Fabrizio Veterinario Barbero) o attraverso il sito della sua azienda Cascina Soffietti. Spero, molto prima del prossimo Natale, di avere modo di raccontarvi il lieto fine di queste due tristi storie.

PS del 23/12/16. Dopo numerose segnalazioni di miei lettori sulla seconda delle due storie, per correttezza vi invito a leggere questo articolo dove viene presentato anche il punto di vista del Comune.

Dal punto di vista economico non rifarei questa scelta

Era un giorno torrido di settembre quando sono andata a trovare Marco. Si parte in direzione della pianura, per attraversare poi le colline astigiane, costeggiare la città di Asti e puntare verso altre colline ancora. La meta è in provincia di Alessandria.

Un paese di 145 residenti: “…ma metà sono di comodo!“. La casa di Marco è vicino al “centro” del paese, un pugno di case sulla sommità della collina. Dal balcone si vedono gli orti sottostanti, i piccoli frutti, più lontano altre colline e vigneti. “Nel 1992 ho comprato tre pecore a Sanremo, lavoravo là in Comune come giardiniere. Le ho prese per passione, non avevo ancora idea di fare questo. Poi nel 1995 sono tornato a casa, ho riaperto l’azienda di mio papà che aveva le api e i vigneti.

Prima di vedere gli animali e sentire la storia di Marco, ci si siede a tavola. Il rischio è quello di non riuscire poi a rialzarsi per un po’. Gli gnocchi sono freschi, li abbiamo visti preparare, e verranno conditi con due sughi, entrambi con i formaggi di produzione propria a far da base per questi condimenti.

Ho iniziato con fragole e frutti di bosco, pochi capi di pecore e facevo formaggi per uso famigliare. Nel 2000 ho preso le prime tre capre. Le pecore sono la mia passione, ma le capre mi danno da vivere. Vado al pascolo quasi tutto l’anno, ma bisogna sempre integrare con fieno. Adesso è tutto secco, quindi do solo fieno, come quando c’è la neve.

Adesso prendo anche i contributi per la capra di Roccaverano, ma di pure ce ne sono ormai ben poche, sono quasi tutte meticciate. La razza stava scomparendo totalmente. Io preferisco le pecore perchè se ne metti una nuova nel gregge, le altre la annusano e poi è finita. Le capre si picchiano, io sono pacifico e mi da fastidio che si picchino! Una volta una me l’hanno ammazzata a forza di picchiarla!

Richiesta di formaggio di capra ce n’è. Per fare la robiola più buona, che era il formaggio tipico che si faceva qui una volta, i vecchi dicevano che ci voleva una pecora e sette capre. Il caseificio autorizzato ce l’ho dal 2013. Faccio soprattutto formaggi puri, o pecora, o capra, la gente cerca di più quelli di capra.” Una scelta di vita e di lavoro, quella di Marco. “Dal punto di vista economico… non la rifarei! E lo dico con la morte nel cuore! Soddisfazioni ce n’è, ma una volta lo stipendio al 27 sapevi che c’era. Adesso hai il nulla, certi mesi non sai come fare per le spese di casa.

Marco ha anche due vitelli, i maiali che consumano il siero della caseificazione, innumerevoli conigli, galline, anatre… La passione è quella per l’allevamento in generale. “Potessi farlo… terrei un “arsenale” di pecore! Due per tipo, tutte di razze da latte. Qualche capra, ma molte meno. Adesso ho una cinquantina di capre e venti pecore.

Filmare le protagoniste della pastorizia

Il mondo virtuale fa sì che ci si incontri più facilmente. Così succede che ci si conosca da una parte all’altra dell’Italia, quando si è legati da qualcosa in comune. Mi ha contattata Anna Kauber, architetto del paesaggio e film-maker, così viene definita negli articoli in rete. Già autrice di documentari sull’agricoltura, in particolare riguardanti le donne e l’agricoltura, attualmente è alle prese con un nuovo progetto che riguarda sempre le donne… ma che si occupano di allevamento, di pastorizia nello specifico: capre e pecore.

Dopo essere venuta da me a sentir raccontare la mia storia di… narratrice della pastorizia, con Anna ci siamo messe sulle tracce del pascolo vagante. Ovviamente donne e pascolo vagante! Così gira e gira per le colline, con un po’ di nebbia a ricordare che l’autunno era alla fine e l’inverno alle porte. Anna mi aveva chiesto com’erano stati i miei incontri con i pastori: quel giorno l’avrebbe forse iniziato a capire anche lei, pur con una facilitazione iniziale nell’avere la sottoscritta a far sia da navigatore, sia da intermediario! Le indicazioni che avevamo avuto comunque erano abbastanza precise poi, vista la pista delle pecore sull’asfalto… eccoci arrivate al gregge.

Lì abbiamo incontrato quella che sarebbe stata la protagonista della giornata, cioè Maria Pia, la mia amica pastora. Quest’anno lavora come aiutante, ha unito i suoi animali al gregge ed è nel Monferrato. Già in passato mi aveva detto quanto le mancassero le pecore e la vita del pascolo vagante, in quegli inverni in cui invece era rimasta a casa con le sue capre e le poche pecore. Inoltre, dove sta lei, tanto quanto è un posto da capre, ma d’inverno le pecore vanno tenute in stalla a fieno. Un costo e… non il massimo per animali abituati a stare sempre all’aperto a mangiare erba.

Per la prima volta ho anche visto il “nuovo acquisto” di Maria Pia. le due vitelle di razza Galloway, Edith e Liu, che seguono il gregge e… ricevono qualche vizio in più, come l’opportunità di uscire al pascolo ancor prima che le pecore vengano aperte dal recinto. “Mi piaceva quella razza, l’avevo sempre solo vista in foto, poi le ho prese e le ho allevate con il latte di capra“.

Avevo già spiegato ad Anna cosa fosse il pascolo vagante. Prima i pastori mangiano pranzo, verso le 10:30-11:00, poi aprono il recinto e partono con il gregge. Scene a cui ovviamente ormai sono abituata, ma che entusiasmano chi le vede per la prima volta. Intanto la nebbia si è alzata e il sole è tiepido.

Ho passato numerosi inverni seguendo il gregge in queste zone, anche mentre guidavo riconoscevo i posti, le strade dove avevo camminato insieme con le pecore o lungo le quali avevo spostato fuoristrada e rimorchio. Ricordo i giorni in cui si temeva la neve, quando l’erba era scarsa, ma quest’anno la situazione è totalmente diversa.

C’è erba ovunque, è tutto così verde, prati, stoppie e pioppeti sono tutti pascoli disponibili. Anche le temperature sono elevate, niente a che vedere con il freddo patito da queste parti in certe giornate d’inverno! I pastori fanno fermare il gregge in questo appezzamento, poi lentamente lo chiamano per spostarsi.

C’è da passare su di un ponte abbastanza stretto e bisogna fare attenzione, con un numero di animali così elevato. L’autunno comunque è stato ottimo. Da queste parti c’è quella terra che, con la più lieve parvenza di umidità, si incolla alle scarpe, alle ruote, alle unghie delle pecore, rendendo impossibile entrare in certi prati quando piove o dopo che ha piovuto. Per non parlare poi di cosa accade quando il gregge esce dal prato su di una strada asfaltata, come in questo caso.

La giornata per fortuna è abbastanza tranquilla, quindi Maria Pia riesce a rispondere alle domande di Anna. Non sto lì ad ascoltare, lascio che chiacchierino loro, ma sarà molto interessante, alla fine, vedere cosa verrà fuori da interviste realizzate in tutta Italia. Se Anna saprà guadagnare la loro fiducia e se le donne avranno voglia di aprirsi, di raccontare davvero, sicuramente usciranno dei gran ritratti di vita, lavoro, passione.

Dal pioppeto, il gregge viene fatto spostare verso un prato adiacente. Siamo in collina, le pecore si spargono a far boccate di erba. Qui gli appezzamenti sono grossi, in grado di ospitare greggi con un alto numero di animali, come in questo caso. Le pecore abbassano la testa e mangiano tutta l’abbondanza che queste strane stagioni stanno offrendo loro.

Come ti sembrano le pecore?“, mi chiede il pastore. E’ una domanda quasi inutile. Già in questo gregge si sa che gli animali sono belli e ben tenuti. Con tutta l’erba di quest’anno ovviamente sono in ottima forma. Le immagini parlano da sole. “Fino ad adesso nessuno ci ha mandato via da nessun prato…“. Un autunno di quelli da farci la firma, tutt’altra cosa rispetto allo scorso anno in cui non si poteva nemmeno pensare di entrare in un prato intriso di acqua, con quella terra fangosa che c’è da queste parti.

Il prato accanto è invaso da infestanti della famiglia dei cavoli e delle rape, grosse foglie che gli animali mangiano sì avidamente, ma che possono anche essere pericolose, dal momento che fanno gonfiare e potrebbero addirittura provocare indigestioni letali. Così il pastore lascia che gli animali bruchino solo per un certo tempo, poi li fa tornare indietro dove hanno mangiato prima.

Anna ci raggiunge, credo che ormai abbia avuto la risposta al “come ti accoglievano i pastori”. Si chiacchiera, si ride e si scherza al suon di battute. “Posso fermarmi con voi fino a questa sera?“. Il pascolo vagante, per capirlo, bisogna viverlo… Così la saluto e mi avvio verso casa, mentre lei proseguirà la sua esperienza e la sua raccolta di testimonianze fatta di immagini e di parole.

Il gregge è sparso in tutto il prato. Di lì avanzeranno ancora, a pascolare altri pezzi. Chissà se sarà anche un inverno felice per i pastori vaganti, dopo un autunno davvero facile? Ogni giorno che passa, la neve fa poi meno paura, perchè le temperature comunque non sono basse e di erba ce n’è. Non è come quegli anni in cui c’è già poco foraggio e una nevicata può subito costringere a fermare le pecore.

Un po’ di fango

Dopo quel giorno di forte pioggia era ritornato il sole e il cielo limpido. Sembrava che il mondo fosse stato “lavato” e brillasse di nuova luce.

Per molte persone, quelle che non devono lavorare all’aperto, era semplicemente tornato il bel tempo. Il Pastore invece al mattino aveva mandato il gregge a pascolare nel bosco, perchè sarebbe stato inutile “dare il pezzo” nel prato. Erba alta e bagnata, gli animali l’avrebbero pestata senza pascolarla a dovere. Solo nella tarda mattinata gli animali vengono fatti entrare tra le reti e si spera che bruchino in modo da pulire il prato e da saziarsi.

Più tardi ci si sposta. Lassù, sulla montagna, le pietre luccicano ancora. Mi è sempre stato detto di guardare quelle pietre per capire le evoluzioni meteo: quando brillano dopo una pioggia, le precipitazioni non sono finite e il maltempo tornerà a breve.

Dopo il passaggio del gregge, la pista nel bosco è viscida di fango. Il terreno non ha ancora assorbito tutta l’acqua caduta il giorno prima. L’avanzata degli animali è lenta, attardata dalle condizioni della strada. Inutile anche far abbaiare il cane, le pecore si fermano, gli agnelli cercano vie alternative.

Il primo pezzo che si pensava di pascolare è letteralmente allagato, anche se in pendenza. L’acqua scorre come una specie di pellicola, gli scarponi sprofondano, è inutile fermarsi lì. Si pascola velocemente tra alberi e depositi di legname, ma anche qui gli animali mangiano male e malvolentieri. Il Pastore decide di tornare indietro, il prato abbandonato dove ha deciso di far dormire il gregge ha erba a sufficienza per sfamare il gregge, per quella sera.

Rientrare per la stessa strada dell’andata è davvero un problema: per due volte le pecore si fermano e il gregge si divide. Una parte, con le capre, arriva nel prato, dietro non c’è verso di farle avanzare in alcun modo. Il Pastore torna indietro, le chiama, ma passa “lungo” tempo prima che finalmente la situazione si sblocchi e tutti gli animali riprendano a camminare. L’indomani bisognerà ancora una volta percorrere quel tratto nel bosco, poi si cambierà totalmente zona di pascolo.

Quando le pecore spaventano i cani (?)

A volte uno pensa di averle sentire già un po’ tutte… Ma c’è sempre qualcosa o qualcuno che riesce a stupirti. E purtroppo non sempre in positivo.

Pascolando ci si sposta sempre avanti, a mano a mano che l’erba è finita. Tutto dove vai, specie se sei in collina e non in aperta campagna, si incontra gente. Chi si ferma a guardare, chi scambia quattro chiacchiere, chi viene a chiedere se interessa pascolare un pezzo, chi vuole saperne di più sulle pecore, sul mestiere del pastore.

Certe borgate sembrano abbandonate, passi in pieno giorno e non vedi nessuno, solo qualche cane abbaia rabbioso dietro ai cancelli o da sui balconi. La gente lavora via, qui si torna solo la sera per dormire. Alcune case sono state ben ristrutturate, altre sono protette da reti arancioni che dovrebbe tenere lontano i passanti, per evitare incidenti in caso di crolli e cadute di materiali dall’alto.

Un nuovo prato, i padroni non abitano nemmeno qui, ma in un altro paese. Anno dopo anno però acconsentono sempre al passaggio del gregge. Mentre le pecore mangiano quella buona erba non troppo alta, c’è tempo per tornare indietro a prendere l’auto, raccogliere le reti rimaste tirate qua e là a proteggere dei fiori lungo la strada, un orto… Sembrava una tranquilla giornata senza problemi in cui, una volta spostate le pecore, non ci fosse più da preoccuparsi.

E invece, da una casa vicina, ad un certo punto un uomo inizia a sbraitare a gran forza contro le pecore e il pastore. Dice che non è possibile una cosa così e, a suon di parolacce, continua ad inveire. E’ infastidito dalla presenza del gregge oltre la cancellata della sua proprietà, tutti gli anni devono esserci le pecore (un giorno all’anno, pensate un po’!!), non sa nemmeno che gli animali arrivano lì dopo il consenso dei proprietari, evidentemente. Qual è il maggior disturbo che gli arrecano? …spaventano i suoi cani!!! Grossi esemplari di una nota razza di cani molossoidi che difficilmente si intimoriscono… L’uomo continua la sua invettiva minacciando anche l’intervento delle forze dell’ordine.

Alle parole non fa seguito alcun fatto e il gregge, il pomeriggio successivo, lascia anche quegli appezzamenti per raggiungerne altri. In questi anni ne ho sentite tante contro le pecore (puzzano, portano le mosche, le zecche, sporcano la strada, ecc ecc ecc), ma lo “spaventare i cani” è veramente una novità.

Fa molto caldo e una sosta al torrente è quello che ci vuole, sia per pascolare un po’ all’ombra, sia per l’abbeverata. Per fortuna in ogni valloncello c’è un corso d’acqua, torrenti più grossi o semplici rigagnoli. Con queste temperature, l’erba dei prati già dura, gli animali hanno bisogno di bere quotidianamente.

Si risale verso un’altra borgata, sperando di trovare gente più amichevole e ben disposta verso animali e pastori. Il giorno prima, andando a fare un giro esplorativo, avevamo incontrato un anziano che si era mostrato molto contento alla notizia che il gregge stava per arrivare. Un altro aveva interrotto il suo lavoro: meglio rimettere il decespugliatore in garage e lasciare che fossero le pecore a ripulire tutto intorno alle case.

E così il gregge per quella sera si sarebbe fermato proprio lì. Prima gli animali pascolano liberi, un po’ nell’erba, un po’ vicino al bosco, tra i rovi. Di notte il recinto sarebbe stato fatto proprio in quell’erba alta e dura, ma al mattino non restava poi più niente, con grande soddisfazione della gente che, senza dover faticare e spendere, si è trovato il prato ripulito alla perfezione.

Andavamo a tagliare l’erba e il fieno fin su verso la montagna

Girando con un gregge tra le borgate del mio paese, ho incontrato persone e ho ascoltato storie che altrimenti mai avrei conosciuto.

Quel giorno il gregge stava uscendo da un prato che nessuno utilizza più. Nemmeno chi viene a tagliare il fieno “tanto per far pulito” ha portato via le balle, lo scorso anno. Almeno le pecore passano e mangiano l’erba, il risultato finale è un senso di pulizia, di ordine, di “territorio vivo”.

Ci si sposta appena sopra, tra due borgate. Dove un tempo c’erano forse frutteti, forse vigneti, campi, chissà… Oggi solo erba alta, fin troppo alta affinchè le pecore la bruchino. Dalle case si affaccia un anziano e chiede di non venire fin su proprio sotto al cortile: “…tanto vecchia così non la mangiano e la schiacciano solo, devi poi passare il decespugliatore e fatico meno se è in piedi.

Qualcuno sa ancora come “funzionano” le cose. Altri invece pretenderebbero che le pecore fossero delle macchine tosaerba, anzi, veri e propri decespugliatori che rasano a zero anche i rovi. A volte qualcuno si offende quando rifiuti un pascolo, ma non è semplice, non basta “metter lì” gli animali. Se l’erba non piace, alzano la testa e brucano il melo, la siepe, i fiori… e le erbacce sgradite restano lì. Meglio andare in spazi ampi quasi invasi dal bosco, dove l’erba è più bassa, più fresca, più tenera.

Questa vecchia baita ha il sapore della montagna. In zona non ci sono quasi più case così, sono state ristrutturate, modificate, stravolte. Fin quando ci sarà qualcuno che terrà pulito questo prato, impedendo al bosco di avanzare, avvolgendo questa casa e riducendola ad un cumulo di sassi?

Il gregge scende nuovamente ai prati sottostanti, per il pasto della sera. Qui in zona ormai animali non ce ne sono più. C’è magari ancora qualcuno che, spinto dalla passione, da un impeto di “ritorno alla terra”, tiene due capre, o un asino, ma non per viverci. Le cose un tempo erano molto differenti.

Nella borgata le case sono state quasi tutte ristrutturate, resta ben poco di quello che era l’aspetto originario. L’anziano mi racconta di quando qui c’erano le bestie, quando era bambino lui. “C’erano 7-8 vacche qui, poi un po’ di capre. Non era come adesso che l’erba è un problema… Si partiva ad andare a tagliare erba fin su verso la montagna, per dare da mangiare alle bestie. Adesso è tutto bosco, tutti alberi e rovi.

E così le porte delle vecchie stalle sono chiuse. Chissà da quanto non gira la chiave nella toppa. Polvere, ragnatele… E nessuno rastrella più le foglie da usare come lettiera. L’erba è talmente un problema che si impiegano anche i disseccanti per tenerla indietro. Come sono cambiate le cose in 60, 70 anni…

E l’erba cresce sempre di più

Sono rimasta un po’ indietro con le vicende del gregge qui nel mio paese. Iniziano le prime transumanze e io vi devo ancora raccontare tante cose. Vedrò di fare un riassunto e “riportarmi alla pari”.

Un giorno, per esempio, il gregge è stato invitato in una villa. Con una certa soggezione si va a perlustrare prima di entrare con gli animali. Erba ce n’è, bisognerà proteggere gli arbusti ornamentali e… non sarà un problema sporcare il viale di accesso? Assolutamente no! E così ecco le pecore che salgono nel giardino.

Tanto tutta quest’era dovrà essere trinciata… E allora ben vengano le pecore. Ci sono diversi pezzi di prato intorno alla villa sulla collina e, per fortuna, si riesce anche ad uscire senza dover ripassare nel viale. I padroni sono felicissimi, si godono lo spettacolo e offrono il caffè al pastore…

Il gregge poi si sposta in frazioni più a monte. Con belle giornate di sole e aria limpida, sembra già quasi di essere in montagna! Le montagne sono sullo sfondo e la neve sta scomparendo, “mangiata” dal sole, dall’aria. Però c’è ancora da aspettare prima di poter salire.

In questa stagione, a bassa quota, giorno per giorno l’erba cresce e si fa dura. Le pecore pascolano male, soprattutto dove le graminacee sono già spigate. In certi prati sarebbe quasi meglio nemmeno entrare, perchè il rischio è quello di pestare l’erba e… lasciarla lì, schiacciata al suolo!

Alcuni lo sanno e capiscono, specie se anziani (che, nella loro vita, qualche animali al pascolo l’hanno visto), altri sognano pecore come decespugliatori, che fanno tabula rasa di tutto, erba, rovi, infestanti, qualunque cosa!!

Si cambia zona e si sale ancora. Il sole scalda, ma il tratto di asfalto da percorrere è breve, poi si attraverseranno i boschi. Non c’è molto movimento nelle borgate, la maggior parte della gente lavora via, c’è solo qualche muratore che sistema degli edifici.

Sotto gli alberi si trova anche da pascolare, poi le pecore scendono al fiume per bere. Il cammino prosegue, per la sera si raggiungeranno dei prati da pascolare nei giorni successivi. Il sottobosco è verde e gli animali pascolano più volentieri queste erbe che non quelle dei prati.

Per fortuna questo prato, più fresco rispetto ad altri, viene ancora ben brucato dal gregge. Giorno per giorno diventerà sempre più difficile sfamare gli animali. Quest’anno non ci si è mai lamentati d’inverno perchè “non c’era erba”, ma ci si lamenta ora per l’erba troppo dura.

L’indomani mattina infatti si pascola qualche ora sotto le piante, dove c’è una bella erbetta fresca, verde, un po’ di foglie, e solo dopo il gregge verrà portato nell’altro pezzo di prato. Non di rado capita che un animale bela… e tutti gli altri iniziano un coro di fastidiosi belati. Non è solo che “chiamino il sale”, è proprio che vorrebbero cambiare pascolo, perchè non soddisfatti.

Per il pomeriggio e la sera però c’è ancora erba a sufficienza in questo bel pianoro. Tutti prati non più utilizzati, i padroni cercano chi glieli pulisca, prima pascolando (come nel caso del gregge), poi tagliando il fieno d’estate. Giorno dopo giorno, continua il cammino del gregge, e l’erba cresce…