Quel ritardo che paghi per tutta la stagione

La scorsa settimana sono andata a trovare il Pastore. Da quando è salito, ogni tanto mi aggiorna sulla situazione, ma la “musica” è sempre la stessa. Erba troppo alta, dura, vecchia, e le pecore mangiano male. Si sa che pastori, agricoltori, sono tutte “razze” che si lamentano spesso e volentieri, ma in questo caso non posso dargli torto.

Quando arrivo, i pastori stanno faticosamente cercando di far scendere il gregge. Per qualche giorno aveva pascolato in alto, per mangiare erba buona almeno lì, per non farla invecchiare anche lassù, ma adesso bisognava tornare indietro. Gli animali non sono stupidi, così non hanno voglia di lasciare l’erba bassa e tenera che si pascolava in quota.

In questa stagione non si dovrebbe scendere, si dovrebbe salire!! Così questo spostamento è estremamente faticoso: chiama, fischia, fai abbaiare i cani, è necessario un paio d’ore per avviare il gregge e portarlo fin giù alla strada asfaltata. Oltretutto il sole splende implacabile, ma c’è una bell’arietta fresca.

Finalmente il gregge passa il primo impluvio e la fila si allunga. Sembra davvero un controsenso dover scendere. Non ho ancora visto il Pastore, è lui a chiudere la fila, con i cani che abbaiano a tutta forza cercando di radunare il gregge che continua ad allargarsi per pascolare lassù, sopra alle rocce, tra i larici.

Non è facile, questo spostamento. Non si possono lasciar andare le pecore ovunque, il pendio qui è ripido, potrebbero rotolare delle pietre. Non si può passare troppo in fretta il secondo impluvio, perchè i pascoli intorno alla strada verranno pascolati più avanti da un altro pastore. Sembra semplice, la vita d’alpeggio!

Finalmente giù per la strada! Bisogna far avanzare velocemente il gregge, dietro ci sono alcuni agnelli piccoli, il Pastore ha l’ultimo nato nello zaino. Lo spostamento non è lungo, il peggio ormai è passato, ma si è trattata di una discesa davvero faticosa. E per cosa poi? Per andare a tribolare giù in basso, dove le pecore pascoleranno malamente. Ma tutta la stagione è partita nel modo sbagliato e continuerà così…

Il gregge viene fatto salire nel bosco, dovrebbe esserci erba più fresca, ma il Pastore scuote la testa. Andiamo a prendere le macchine, con una viene fatto il giro per portare le reti a destinazione, per fortuna c’è una pista sterrata che arriva fin dove verrà fatto il recinto per la sera. Le pecore si spostano avanti e indietro, evidentemente non sono soddisfatte del pascolo.

Escono dal bosco e si gettano nel pascolo, sparendo letteralmente nell’erba altissima. Tutto questo non va bene, ma al gregge è stato impedito di monticare prima, quando sarebbe stato il momento giusto. Non si possono stabilire date per queste cose, o meglio, bisognerebbe farlo lasciando poi un margine di discrezione. Non tutte le annate sono uguali, quest’anno il clima sempre più anomalo ha fatto sì che l’erba sia cresciuta presto, poi è tornato il freddo, si è bloccata ed è invecchiata rapidamente.

Insomma, salendo una quindicina di giorni prima, il gregge avrebbe trovato erba più corta, avrebbe iniziato a pascolare andando di seguito, il Pastore avrebbe faticato meno, l’erba sarebbe stata pascolata meglio, con beneficia sia per gli animali, sia per il pascolo stesso. Adesso il gregge resterà in questa zona per qualche giorno, poi si prevede di tornare nel vallone che era stato pascolato all’inizio, nel mese di maggio: “…ma l’hanno mangiata male già allora, quindi sarà uno schifo e io continuo a tribolare! Mi avessero lasciato salire prima, la mangiavano bene, pulivano tutto, e io la pascolavo tre volte come si deve.

Le pecore continuano ad andare avanti e indietro, bisogna fermarle continuamente con i cani, non si fermano nemmeno per ruminare nelle ore centrali. “Domani le chiudo nel recinto, che stiano lì, altrimenti non ci lasciano nemmeno fare pranzo!! Così pascolano meglio al mattino e poi al pomeriggio/sera.” Adesso è tutto verde e non si nota, ma quanta erba non pascolata resterà indietro, schiacciata a terra?

Ecco l’ultimo nato, un po’ in ritardo rispetto alle “previsioni”. Non deve più partorire nessuna pecora per tutta la parte centrale della stagione, soprattutto quando il gregge sarà nei pascoli più alti, o ci sarà troppo da faticare per i pastori.

Verso sera le pecore non hanno ancora trovato un pascolo che le soddisfi. Mangiare hanno mangiato, ma hanno anche pestato tanta erba e nei prossimi giorni sarà sempre più difficile tenerle a pascolare da queste parti. Non è solo il Pastore a lamentarsi per l’erba alta schiacciata al suolo, anche altri amici mi raccontano situazioni simili, in altre vallate.

Mentre scendo, attraverso uno dei pascoli che il gregge aveva utilizzato nelle settimane precedenti. Non è questo l’aspetto, il colore che dovrebbe avere. Tutta quell’erba secca complicherà il pascolamento successivo. Ha proprio ragione il pastore, continuerà a faticare per tutto il corso della stagione. E pensare che sarebbe stato sufficiente dargli il permesso di salire una quindicina di giorni prima!

Usare la montagna

Sembra di ripetere sempre gli stessi discorsi, ma in ogni valle ritrovi le medesime situazioni. Sarò solo io a chiedermi a che punto dobbiamo arrivare affinché cambi qualcosa? Quello che sta mutando è il clima (e anche lì è un po’ colpa nostra), con temporali che paiono uragani, due o tre ore di pioggia e le terre appena un po’ in pendenza franano, si spostano, colano… I torrenti straripano, trascinano, erodono.

In pianura si subiscono le alluvioni, ma la gran parte di queste nasce in montagna. La stagione d’alpeggio è in pieno svolgimento. Quest’anno non c’è per ora il problema della siccità, piuttosto sono le giornate di nebbia, di pioggia, il freddo, l’umidità, la pioggia e il fango a preoccupare. Addirittura pare che possa arrivare neve a quote relativamente basse nei prossimi giorni. Qua e là la grandine ha massacrato non solo la pianura con i frutteti, le coltivazioni, ma anche i pascoli in quota. Gli animali (e i loro sorveglianti) prendono sulla schiena quel che viene, ma il territorio a volte “si lascia andare” sotto la violenza delle precipitazioni. E’ vero che ultimamente ci troviamo spesso di fronte a fenomeni estremi, precipitazioni di violenza ed intensità inusuale, concentrate su di un territorio abbastanza circoscritto, ma è anche vero che la montagna non è più quella di una volta.

A me fa impressione incontrare mandrie immense, nuvole bianche composte da centinaia di bovini in un unico gruppo. Certo, ci sono “montagne” (cioè alpeggi) in grado di sostenere anche carichi elevati grazie alla morfologia del territorio e la ricchezza della vegetazione, però mi sembra che stiamo esagerando. Da un lato troviamo montagne abbandonate che si ricoprono di vegetazione arbustiva, baite che crollano, dall’altro montagne sfruttate eccessivamente.

Anni fa da queste parti avevo scattato immagini che testimoniavano quanto era stata brucata la vegetazione in un anno siccitoso. Terra bruciata, polvere, camminamenti degli animali. Quest’anno il pascolamento è stato ugualmente estremo e, alla polvere, si è sostituito il fango. Gli animali comunque insistono eccessivamente su questo terreno e, stagione dopo stagione, lo rovineranno.

Un buon pascolo, per mantenersi, deve essere utilizzato adeguatamente. A seconda della quota, un pascolo perde progressivamente le sue caratteristiche quando viene sfruttato erroneamente. Non è solo l’abbandono a far sì che via sia un’involuzione verso la perdita del pascolo (erbe cattive, cespugli, bosco), ma anche un eccesso di pascolamento/calpestamento rovina le praterie. Pascolamento per mantenere la biodiversità vegetale (e di conseguenza animale), ma come in tutte le cose… ci va il giusto mezzo!

Dove mancano le strade, la montagna spesso va all’abbandono. Vengono al massimo messe su bestie in asciutta, talvolta senza un sorvegliante. Dove bene o male si arriva con dei mezzi, è anche più facile che vengano risistemate le strutture. Non serve una reggia… Giusto un posto dove dormire, mangiare, accendere un fuoco per scaldarsi, far asciugare vestiti e scarponi, cucinare. Altro elemento essenziale, un bagno. Se nell’alpeggio si caseifica, allora occorrono i locali idonei. Un alpeggio ben sistemato è anche una buona immagine in generale, sia per la montagna, sia per chi vi lavora.

Vi ricordate quando cercavo scatti di abbeveratoi? Credo di aver raggiunto il nuovo record con questa sfilata di vasche (per fortuna realizzate appositamente e non vasche da bagno riciclate). E’ vero che l’importante è che gli animali si dissetino ed abbiano acqua pulita a volontà… Ma anche in questo caso l’occhio vuole la sua parte.

La montagna di oggi è diversa da quella di ieri. Qui un tempo si abitava tutto l’anno, ma poi iniziò l’abbandono. Siamo a Seytes, in Val Troncea. Il villaggio venne bruciato dai Tedeschi come rappresaglia contro i partigiani, ma da una ventina d’anni non era già più abitato. L’utilizzo era limitato alla stagione d’alpeggio.

Ecco un estratto dalla bacheca illustrativa che racconta la storia di questo luogo.

Da più di vent’anni ormai qui solo i pascoli vengono utilizzati dagli animali di un altro alpeggio limitrofo. Questa stalla, vera e propria opera d’arte, è vuota. Siamo partiti dalle alluvioni per arrivare all’architettura delle antiche borgate alpine, ma c’è un sottile collegamento. Perché quando qui si abitava tutto l’anno, ogni piccola cosa veniva sistemata. Il territorio era sfalciato, pascolato, coltivato. La legna veniva raccolta. Si facevano muretti, si tracciavano canali, i sentieri e le mulattiere erano percorsi quotidianamente. Forse queste piccole cose non bastano contro le “bombe d’acqua”, alluvioni ce n’erano anche nei tempi passati, ma questa montagna abbandonata di oggi assorbe sempre meno acqua, lascia che i torrenti trascinino giù il legname che via via si accumula, i muretti crollano e la terra frana.

E’ bella la montagna in un giorno di sole, ma l’uomo qui non deve solo essere turista. La bella montagna c’è quando l’uomo la vive, la cura. Oggi ho saputo di amici che hanno pagato un duro prezzo alla montagna, vuoi per la grandine, vuoi per frane e fango, ma sono soli a lottare con l’abbandono che li circonda. E’ facile riempirsi la bocca di “ritorno alla montagna”, ma poi ci si ricorda di quelle persone solo per chiedere tasse ed esigere il rispetto millimetrico di norme che ti soffocano lentamente. Non è possibile equiparare chi resiste lassù con le grandi aziende di pianura… Se si vuol far rivivere la montagna, bisogna studiare qualcosa di apposito! E smetterla di far sì che sia solo una terra di conquista per speculatori dell’edilizia, del turismo, ma anche dell’agricoltura di carta, giocata su ettari, numero di animali e contributi a pioggia.

Per difendere la biodiversità

Per sentir dire al di fuori dei convegni specifici che pastoralismo significa difesa della biodiversità, mantenimento della biodiversità, basta passare il confine. In Francia il pastoralismo, l’allevamento ovino è tradizione, è economia, è paesaggio e, giustamente è biodiversità, appunto.

Non c’è nemmeno da spiegarlo, fa parte della tradizione, della cultura. In Italia invece sono discorsi “di nicchia” che difficilmente escono dalle aule universitarie o dalle sale dei convegni. Ripetiamolo ancora una volta: un gregge in montagna svolge molteplici funzioni. I pastori conducono in quota le greggi per sfamarle durante la stagione in cui i prati di fondovalle sono destinati alla fienagione. E’ così che è nata la pratica dell’alpeggio e della transumanza alpina. C’è chi ne ricava carne (vendendo agnelli, agnelloni…), chi munge e produce anche latticini. Ma gli animali pascolano, “puliscono” i versanti, mantengono la vegetazione erbacea o, addirittura, la migliorano laddove si incontrano situazioni di abbandono.

Pascolamento è biodiversità vegetale. Dove diminuisce o cessa l’azione di pulizia del gregge, si diffondono i cespugli. Invece di centinaia di specie vegetali, troviamo distese quasi monospecifiche di rododendro, ginepro, mirtilli, cespugli di ontano. Servono anche queste specie, certo, ma la biodiversità è avere tante specie e tanti ambienti. In un pascolo troviamo più vegetali, fioriture più evidenti e, di conseguenza, più insetti, più predatori di questi insetti e così via. Occorrono anni per recuperare un pascolo abbandonato.

In Italia si fanno tante parole… In Italia occorre essere schierato, per ogni cosa c’è il PRO e il CONTRO. Sapete bene su che toni spesso si sposta il “dibattito” sulla questione lupo… Troppo spesso si grida invece di ragionare, ma a volte anche il più moderato perde le staffe di fronte a certi “ragionamenti” di chi non vuole nemmeno sentire le parole e le ragioni dei pastori. In Francia invece, pur essendo anche lì il dibattito molto acceso, di sicuro la questione è sentita e non solo nel ristretto ambito addetti del settore zootecnico / ambientalisti. E’ di questi giorni la notizia che il Parco Nazionale delle Cévennes abbia fatto domanda per rivedere la legge nazionale in materia di protezione del lupo, chiedendo l’autorizzazione a “tiri di difesa” contro il lupo. Qui l’articolo, significativa la frase “L’agropastoralisme produit de la biodiversité. Nos systèmes d’élevage produisent de la biodiversité. La présence du loup remettrait en cause cette biodiversité. Nous avons fait notre choix.“, pronunciata dal Presidente del Parco. In altri articoli sul web (qui) si trova poi quest’altra dichiarazione: “Les instances du Parc ont donc décidé de “porter un message. Nous demandons aussi à être relayés par les parlementaires, pour obtenir une révision rapide du Plan loup. Une manière de mettre l’État devant ses responsabilités“.” Ci si appella allo stato, affinchè vengano prese decisioni a livello nazionale.

E il lupo non preda solo ovini, anche in Piemonte sta aumentando il numero di bovini vittime di attacchi (direttamente  o indirettamente, perchè messi in fuga e poi precipitati o feriti). Qui, sul bel sito francese Eleveures et Montagnes, si trovano tante informazioni sulla situazione in Francia. Solo nell’area PACA (Provenza, Alpi, Costa Azzurra), nel 2012 si sono avuti 1138 attacchi (+22%) con 3873 capi uccisi (+26%). Sono numeri che non hanno bisogno di ulteriori commenti, eppure sappiamo che in Francia da anni hanno adottato e mettono in pratica i vari strumenti per prevenire le predazioni.

In Piemonte non siamo ben messi. L’autunno ha registrato numerosi attacchi, ma in tutta la stagione le segnalazioni si sono susseguite, anche in aree di espansione, dove prima il predatore non era ancora mai stato segnalato o dove aveva fatto solo sporadiche apparizioni. Lì il bilancio è stato ancora più grave, perchè come sempre accade, ha trovato animali ancora liberi, non sorvegliati costantemente e senza la presenza dei cani da guardiania. Mi domando quando anche da noi si potrà pensare di fare concretamente qualcosa senza essere accusati di voler sterminare i lupi! Dare al pastore la possibilità di difendere il suo gregge, indurre i predatori a temere l’uomo, così da allontanarli e far sì che tornino a rivolgersi maggiormente alle prede “selvatiche”, come fanno quando gli alpeggi sono vuoti e greggi e mandrie si trovano altrove.

L’erba del vicino non sempre è più verde

Solo ieri parlavo di come la pioggia fosse stata una benedizione su pascoli che cominciavano a mostrare chiazze di ingiallimento. Poi però mi è capitato, poche ore dopo, di essere in Val Maira ed ho toccato con mano la situazione in una delle valli in cui invece la siccità è già un drammatico problema.

Vedere scene del genere salendo lungo il Vallone di Marmora è impressionante. Finchè era l’erba gialla lungo la strada nel fondovalle, sulle rocce dove c’è poco suolo ed il vento soffia spesso, può essere ancora normale, a fine luglio. Ma poi salendo lungo i valloni laterali fa male al cuore scorgere simili panorami, specie quando si hanno in mente i verdi pascoli ricchi di fioriture di questi luoghi.

Le considerazioni da fare riguardo la siccità sono molte. Da una parte quelle sul clima, che troppo spesso sono solo parole… C’è chi dice: “L’ha sempre fatto, annate buone ed annate cattive, caldo e freddo, alluvioni e siccità!“. Vero, certo, ma gli esperti ci parlano di clima che cambia, innalzamento delle temperature (medie), eventi sproporzionati (brevi precipitazioni intense, anzichè distribuite, con conseguenze spesso drammatiche).

Poi qui possiamo riflettere su cosa la siccità voglia dire per il mondo degli alpeggi. Non ricacciano i pascoli già utilizzati, ma anche altrove l’erba è poca, era già poca quando si è saliti. Anzi, qualcuno è arrivato su che quasi non c’era niente da mangiare. Come si farà ad arrivare alla fine della stagione? Ma non sanno, gli allevatori, cos’è meglio per i loro animali? Ed ecco che entrano in gioco le leggi e… i soliti contributi. Cosa centrano? Centrano eccome! Per percepire alcuni di questi premi, bisogna fare un minimo di giorni di pascolamento (in questo caso in alpeggio), se si scende prima, niente soldi. Ovviamente le Associazioni di rappresentanza stanno già segnalando il problema alle Autorità, ma perchè dev’essere sempre tutto così complicato? Certo, per evitare i furbi, quelli che altrimenti prenderebbero i soldi senza pascolare davvero.

Le vacche della foto precedente erano state spostate da poco, prima avevano pascolato qui… La foto si commenta da sola. La Val Maira è terra di margari, la Val Maira è ricca di pascoli e di alpeggi, alpeggi che negli anni hanno visto carichi di bestiame sempre più imponenti. Maledetti contributi, anche qui la colpa è loro? Non so, però sentir parlare di 300, 400 vacche su di un alpeggio… Certo, magari la portata massima negli anni migliori può anche essere quella, però in annate così cosa succederà? Il danno su quelle montagne sarà doppio, da una parte quello “naturale” della carenza di acqua, dall’altra il sovrapascolamento e calpestamento di un cotico già sofferente. Le conseguenze le si vedranno negli anni a venire e non sarà facile porvi rimedio.

Alle quote maggiori solo apparentemente le cose vanno meglio. Si vede sì del verde, ma l’erba è molto bassa, i fiori sono già secchi, gli steli delle graminacee corti ed ingialliti. Qualcuno ha tardato a salire, fino alla seconda settimana di luglio, addirittura. Altrimenti gli animali non avrebbero avuto da mangiare a sufficienza ed in poche settimane si sarebbe esaurito il pascolo dei mesi successivi. Si pagano le conseguenze anche dell’inverno povero di neve. Piovesse ora per certi versi sarebbe comunque tardi, ma l’acqua serve lo stesso, fosse anche solo per alimentare sorgenti e torrenti.

Non siamo abituati a vedere le nostre montagne così gialle. Il ricordo va al 2003, quando alla siccità si era accompagnato anche un caldo eccezionale. Ma oggi si dimentica in fretta, sono tante, troppe le notizie che ci investono, non è più come al tempo dei nostri nonni, che sapevano citare la data e l’anno di una nevicata estiva, di una grandinata eccezionale, di un’alluvione. Adesso più che altro ci si preoccupa di chiedere i danni, danni per questi eventi che colpiscono  l’agricoltura, l’allevamento. Non lo so, a me il sistema sembra sempre più malato ed insostenibile. Con il tuo piccolo gregge, la tua piccola mandria, in qualche modo magari ti salveresti, spostando gli animali un po’ qua, un po’ là. Ma oggi hai centinaia e centinaia di capi da sfamare quotidianamente, hai i vincoli dei contributi, hai dovuto segnalare ad inizio stagione quando ti trasferivi da un alpeggio ad un altro… Se già la situazione della montagna e degli alpeggi è in grave pericolo, non avere nemmeno più il verde dell’erba a dare speranza mi fa sentire pessimista.

Sembrava l’aria d’autunno

Un giorno è torrido, in pianura il caldo e l’afa la fanno da padroni, ma anche lassù il calore si fa sentire. Però la preoccupazione è un’altra, la siccità. Certe montagne sono più belle, ancora verdi, quelle tardive dove magari la neve si è sciolta dopo. Altre invece sono aride, battute dal sole e dal vento. Qui, dopo il primo pascolamento, l’erba non è ricresciuta ed anche i pascoli ancora “interi” mostrano chiazze via via più ampie di erba “bruciata”, arida, ingiallita, specie sulle aree di cresta o quelle più rocciose. E’ impressionante la vista della webcam nella Conca del Prà in Val Pellice, pare di essere a fine ottobre.

Il caldo lo patiscono pure gli animali. Il cucciolo, che fino alla scorsa settimana aveva paura ad attraversare torrenti e ruscelli, ora vi si tuffa dentro e ne approfitta per rinfrescare la pancia e le zampette (anche le rocce sono calde!).

Nel giro di pochi giorni le fioriture cambiano. Quello che oggi è un tappeto multicolore, dopo due, tre giorni di sole e vento appassisce rapidamente. Basterebbe anche solo un po’ di pioggia. No, a dire il vero servirebbero giornate intere di pioggia, perchè già l’inverno è stato avaro di neve e la terra ha sete.

Quant’è preziosa l’acqua in alpeggio… Se manca, anche il miglior pascolo perde il suo valore. Con poca acqua, gli animali mangiano male, pascolano in modo meno accurato e poi si sposterebbero a cercarla. Oppure brucano, ma non fino a sazietà. D’altra parte anche noi, mangiando, se ad un certo punto abbiamo sete e non possiamo bere, smettiamo di cercare altro cibo, no?

La nebbia non porta acqua, ma solo una tenue umidità… Per lo meno interrompe il dominio del sole torrido, e del vento. Però ad alta quota la nebbia può anche essere data da nuvole basse e forse allora qualcosa può cambiare. Ci si attacca a tutto… Lassù i problemi sono quelli immediati, le esigenze più semplici, bere e mangiare, prima per le bestie, poi per te.

E quando la nebbia si alza c’è aria di temporale, il cielo ha quell’aspetto della pioggia imminente… E pioggia sarà, ma solo scrosci brevi, con tanto vento e tuoni, un fastidio temporaneo per i pastori, “…ma non è nemmeno riuscita a bagnare la polvere!“. Infatti il sentiero che porta al recinto è coperto da una polvere inumidita appena in superficie, ma impalpabile come talco appena sotto, e si forma una nuvola al rientro delle pecore.

L’indomani, di nuovo sole, e vento. Non è più capace a piovere, le nuvole si rincorrono in cielo. C’è chi dice che “…la cipolla d’altra parte l’aveva detto, siccità fino al mese di ottobre!“. Pare sia una prova tradizionale, una previsione fatta con una cipolla tagliata, guardando qualcosa si saprebbe l’andamento dell’estate, umida o siccitosa.

Così non si credeva più che quella giornata di nebbia potesse portare “qualcosa”. Anche se in effetti faceva freddo già al mattino, quando il cielo era livido, un grigiume alto, non nuvole gonfie di pioggia. Sembrava l’aria dell’autunno, più da fine settembre che fine luglio. Addirittura da inizio ottobre. Nella nebbia, a 2.500 e più metri, faceva freddo. Non era la nebbia di quei giorni di afa in pianura.

Poi la nebbia si era alzata e le nuvole alte avevano iniziato a lasciar cadere qualche goccia. Verso sera, pioggia battente, non un temporale. E al mattino? Anche dentro, nella baita, sentivi che l’aria fuori aveva un qualcosa… Cielo azzurro, limpido, ed una bella imbiancata dai 2.400, 2.500 metri in su. L’erba brillava, subito più verde. Non è quello che salva della siccità, ma su quelle montagne dove la pioggia è caduta, è stata una vera salvezza. La speranza è che non si alzi subito il vento, che arrivi ancora altra pioggia, un giorno o una notte ogni tanto.

Lassù, con l'autunno che avanza

Questo post verrà pubblicato automaticamente. Visto che ho molto materiale degli ultimi giorni, ve lo lascio mentre io sarò impegnata altrove!
Dicono che quest'anno l'autunno non arriva. Forse è vero, ma lassù invece l'autunno c'è e lo senti nell'aria, nei colori. Fa bello, fa abbastanza caldo di giorno, questo sì, ma guardando le lune si sa che "siamo indietro di una", quindi è abbastanza normale che le cose vadano così. Quindi non ci si preoccupa nemmeno tanto nel pensare a quando ci si incamminerà verso valle… Si guarda l'erba, quella sì, perchè se dovesse scarseggiare allora ovviamente si partirà. Ma giù in pianura? Ce n'è di erba? Con questo caldo dovrebbe piovere un po', così garantirebbe un ottimo autunno ai pastori.

Intanto poco per volta le pecore in guardia iniziano a scendere, così il pastore resterà su solo con le sue, a far durare qualche giorno in più i pascoli a disposizione. E' fin un peccato pensare a scendere con un tempo così bello. Senza nebbia, senza pioggia, stai qui volentieri, specie adesso che sei nell'alpeggio dove arrivi con la strada, dove hai la luce, una stufa da accendere ogni sera.

Certo, i pascoli non sono dei migliori, ma queste pecore sono abituate e si accontentano. Un altro gregge solito pascolare in erba migliore qui non si fermerebbe nemmeno. Invece queste pecore, per qualche ora, chinano la testa tra felci ed ontani, scegliendo quel po' di erba "buona" tra la quantità di erbe che nemmeno vengono toccate. Persino le felci ancora verdi vengono spuntate qua e là.

Ad una certa ora del pomeriggio però, con la pancia già abbastanza piena, senza che nessuno dica loro nulla, imboccano spontaneamente i sentieri e riprendono la via che le porta vicino alle baite, verso il recinto, e si gettano sul versante opposto, a cercare erba di altro tipo. Il sole è ancora tiepido, ma tipicamente autunnale. E le giornate si stanno visibilmente accorciando: un sollievo per il pastore che, se la visibilità continua a rimanere buona, alla sera riesce a chiudere velocemente le pecore nel recinto appena viene buio e, per qualche giorno, riesce persino a sedersi a tavola prima che siano le nove di sera.

Al mattino è ancora buio quando suona la sveglia, il sole arriva tardi, le pecore si avviano lentamente, quando il recinto viene aperto. Pascolano per un paio d'ore intorno alle baite, quasi svogliate, poi si siedono a ruminare. E' compito del pastore smuoverle ed indirizzarle verso i pascoli, cosa che faranno lentamente, in una lunghissima fila.

Qualcuna poi devierà tra rododendri ed ontani, scendendo in un canalone invece di imboccare il sentiero che devia dalla strada asfaltata e sale tagliando in diagonale il versante. Sarà poi necessario andare a cercarle una volta che le altre saranno indirizzate verso la giusta destinazione. Anche se il sole non è così torrido, gli animali avanzano svogliatamente a testa bassa, fermandosi ostinatamente all'imbocco del sentiero. Loro sì che lo sentono, l'autunno… Vorrebbero già scendere a valle, tornare in pianura!

Sono solo poche quelle che, nel pomeriggio, si spingono fino alla parte più bassa della Piatta, dove è rimasta ancora un po' d'erba dopo il passaggio di un altro gregge ad inizio estate e la mandria di vacche successivamente. Fatico a comprendere questa "strana" gestione dell'alpeggio, con territori più o meno definiti per l'uno e per altro. Luoghi dove uno ha diritto in primavera e l'altro in autunno. Confinanti che si "pestano l'erba". Altro che fare un'associazione di pastori, quando le rivalità spesso iniziano addirittura in casa, in famiglia, tra vicini d'alpe…

E chi lo dice che l'autunno non arriva? Nel giro di un paio di giorni la Piatta d'lh'Abiazî si è tinta di rosso: la si poteva ammirare da sotto, ma era da tempo che sognavo di percorrerla quando sembra un quadro dalle calde tonalità. E soprattutto arrivare in cima, affacciarmi di là. Come non approfittare di queste tiepide giornate senza nebbia? Ora più che mai è chiaro il suo nome (l'abiazî è il nome in patois del Vaccinium uliginosum, qui presente in grande quantità insieme al comune mirtillo), legato ad un'antica leggenda che parla di quando, in realtà, questa bella distesa era tutta un pascolo con ottime erbe.

I giorni si susseguono, solo ogni tanto compare qualche nuvola, qualche foschia. Quassù si è isolati dal mondo, il segnale del cellulare è inesistente, quindi alla fine non ti porti nemmeno dietro il telefono. Però non hai nemmeno l'orologio e allora ti regoli con il sole, mangi quando hai fame (o quando le pecore te lo permettono), prendi i ritmi della natura, ti dimentichi di tutto quello che c'è in fondovalle e vorresti che queste giornate durassero per sempre.

Da queste parti l'affitto dell'alpeggio si paga un tanto a capo: ma… Ha senso pagare per "pascoli" del genere? Qui bisognerebbe davvero pagare il pastore che ancora si presta a pulire queste porzioni di montagna! Anzi, dirò di più… Bisognerebbe pagare il pastore incentivandolo a migliorare questi pascoli: tagliare i cespugli, come si faceva una volta, spostare i recinti per concimare e far diminuire le zone con "erba cattiva". Altro che contributi dati chissà come, queste sarebbero vere forme di aiuto, per le persone e per l'ambiente!!

Le capre trovano di che soddisfare il loro appetito: foglie degli ontani, foglie e bacche della pìssera (il sorbo degli uccellatori) vengono via via pascolate. Alcune capre hanno sviluppato una predilezione per i lamponi: non solo le foglie, ma anche i frutti, che vengono presi ad uno ad uno e mangiati. Pure i cani mostrano di gradire la frutta, ma loro vanno a cercare le bacche dei mirtilli, ed è una scena comica vederli rovistare con il muso tra le foglioline rosse alla ricerca degli ultimi frutti rimasti.

Si potrebbe pensare che in posti del genere gli animali abbiano a patire la fame. Invece no, girando e girando a fine giornata le pance sono ben piene e, anche in questa fine stagione, scenderanno a valle degli animali belli. Certo, forse non belli come quando potevano pascolare liberi, come quando passavano la notte fuori dal recinto, non belli come quando salivano sulle cenge più impervie… Non belli come chi ha montagne dai pendii dolci e dalle erbe migliori. Ma comunque belli a sufficienza per dire con soddisfazione che la stagione in alpeggio è quasi alla fine ed adesso inizierà la caccia all'erba in pianura.

A volte anche solo un "balcone sospeso" tra le rocce può essere un buon pascolo! Nulla va sprecato, da queste parti. Con l'avvicinarsi dell'inverno, inizia a sentirsi quella solita litania, nella bocca dei pastori: "Adesso lasciano indietro quest'erba grama, ma ce l'avessero poi tra qualche mese quando magari nevica o quando non sai più dove andare al pascolo…".

E si torna in quei versanti sempre più chiusi dalla vegetazione. In cielo si  presentano delle nuvole, chissà come sono le previsioni? Non sembra che alla radio avessero parlato di perturbazioni, ma le previsioni nazionali di certo non sono così accurate. Qui nell'inverso la rugiada non riesce più ad asciugare durante il giorno. Se facesse appena un po' più freddo di notte ci sarebbe già la brina.

Nel pomeriggio le pecore si avviano verso l'alpeggio. E' arrivata un'aria densa di umidità, pienamente autunnale. Un'aria che parla di foglie che cadono a terra, camini che fumano, foschia, indumenti caldi, piatti fumanti in tavola, la sera. Castagne arrosto, funghi… ma soprattutto transumanza! Bisogna fare attenzione, potrebbe piovere così tanto da rendere impraticabile la strada. Potrebbe nevicare. Ma non con queste temperature… E poi, come si diceva, siamo indietro di una luna!

Quella sera però le nuvole si abbassano, sembra davvero che il tempo debba cambiare. E' bello di notte seppellirsi sotto le trapunte spesse e riposare di un sonno profondo per lunghe ore, cercando di recuperare almeno un po', dopo le notti brevi dell'estate che è appena finita. Poi però torno a valle e vedo che le previsioni annunciano bel tempo ancora per molti giorni. Non c'è da preoccuparsi per la pioggia o per la neve, non ancora. Se però piovesse almeno un po' in pianura…

Dove l'erba è più verde

Da qualche tempo vedete qui immagini di pendii ripidi e scoscesi, con animali che sembrano appesi quasi per caso su quei versanti. Pecore, perchè le vacche di oggi lì non possono andare. Un tempo sì, ma erano altre bestie: altra struttura, altro peso. Pendii aspri e difficili dove anche le fioriture sono scarse, l'erba di qualità non eccelsa. Dipende anche dal suolo, dal tipo di terreno, ma comunque con quelle pendenze non si più nemmeno pensare di far dormire gli animali in un recinto per aumentare la fertilità.

Così è stato ancora più bello ed emozionante tornare dopo qualche anno in uno dei luoghi che più preferisco nelle vallate piemontesi. Poter spaziare con lo sguardo, inalare a pieni polmoni quell'aria frizzante e sentire il profumo delle fioriture. Pascoli così vasti, pascoli ancora intonsi, dove gli animali saliranno poco per volta. Vien quasi da chiedersi se ce la faranno a mangiare tutta quell'erba, ma la stagione è ancora lunga.

Poter essere qui con il gregge… E allora sarebbe tutta un'altra vita. Ma questi non sono pascoli da pecore, qui è il regno dei margari. Però sono comunque margari fortunati, perchè in un pianoro del genere i pericoli sono quasi inesistenti. Ricordo anni fa, all'epoca del censimento degli alpeggi, che la lamentela di uno dei margari era stata… riguardante le marmotte! Già, ce ne sono talmente tante che le loro gallerie rappresentano un pericolo per le vacche, che possono rompersi una gamba sprofondando in qualche buca. Ma per il resto non ci sono pendii pericolosi, le strade attraversano i pascoli, il clima è buono…

E l'erba? L'erba è di ottima qualità. Merito anche del terreno calcareo e della conseguente ricchezza di specie. A volte si vedono le pecore camminare, camminare, anche se l'erba è ancora da pascolare. Ma se il piatto non è di loro gradimento, vanno a cercare un'altra mensa. E camminano… Però qui non accadrebbe! Affonderebbero il muso, strapperebbero grandi boccate e, dopo nemmeno tanto tempo, sazie, si fermerebbero a ruminare. Essere qui sarebbe un sogno, altro che quei ripidi, insidiosi versanti nebbiosi…

Qui però si incontrano solo mandrie di bovini, per lo più di razza piemontese. E' l'ora della mungitura pomeridiana che, in quella splendida giornata di sole, avviene all'aperto, in una scena bucolica quasi d'altri tempi. Però chi munge è un ragazzo di oggi, Michele, che tornerò ad intervistare per il mio libro. Lui una storia da raccontare ce l'ha e suo fratello in parte ce l'ha già accennata l'altro giorno commentando il post sugli alpeggi e paesaggio.

L'erba del vicino è sempre più verde, si sa, quindi a malincuore si lascia questo panorama per tornare in altre vallate meno fortunate. Eppure dappertutto si pratica l'alpeggio… Non si può dire che abbia più meriti chi sale in un luogo rispetto ad un altro, ma sicuramente ci sono decine e decine di situazioni differenti ed in qualche posto è più facile fare il pastore, il margaro, in altri invece, agli orari ed ai ritmi di lavoro, si sommano difficoltà ambientali non indifferenti che fanno sì che solo chi ci è nato riesca a resistere, quasi sempre in solitudine, perchè è difficile che altri si adattino, che imparino le malizie, che si impratichiscano del territorio in poco tempo.

Anche le montagne più belle però devono essere gestite correttamente. Cambiamo vallata, ma restiamo nel Cuneese. Ancora ampi versanti erbosi, ancora mandrie di vacche piemontesi. Ma quante sono? Un numero infinito di animali ci viene incontro sulla strada, diretto verso i pascoli. L'altro giorno parlavamo di strutture, di abitazioni d'alpeggio, adesso mi viene da riflettere sui numeri. Ci sono sempre più situazioni in cui ci imbattiamo in mandrie immense, vacche con i loro vitelli, condotte magari da una persona sola. Ovviamente qui non si pratica più la caseificazione ed il lavoro non manca comunque, tra tirare fili e badare agli animali, specialmente ai vitelli.

Come è cambiato l'allevamento negli ultimi tempi! Si caseifica meno, in alpeggio, si punta sull'allevamento da carne e sui grandi numeri, ma la crisi si fa sentire e allora senti le voci di chi ti racconta che persino i vitelli della pregiata razza piemontese valgono sempre meno. Ma ormai le bestie le hai, le spese per il loro mantenimento aumentano, c'è il costo (sempre più alto) dell'affitto dell'alpeggio, quello dei camion per la transumanza e mille altre cose ancora. C'è chi, a mezza voce, si lascia scappare l'ammissione che è tutta colpa dei contributi… I contributi che hanno drogato il sistema, che l'hanno falsato, che hanno fatto sì che certe cose perdessero il loro vero valore, che hanno illuso, che hanno premiato la quantità a discapito della qualità. Hanno arricchito qualcuno? Forse sì, ma hanno messo in difficoltà molti altri. Sono stati anche la rovina di chi ha preso degli impegni che poi non ha potuto mantenere, perchè negli anni ha dovuto cambiare alpeggio o ridurre il numero di animali. Giustamente, si pretende che tu rispetti gli impegni presi dall'inizio del contratto fino alla fine, ma quando l'alpe va all'asta di anno in anno, perdere la gara è una vera tragedia che può portare alla rovina di un'azienda.

Quante cose ci sarebbero da dire a questo proposito… Forse aveva ragione quell'anziana margara che mi diceva: "Tante bestie, tanti sagrin (preoccupazioni)!". Intanto, le tante bestie lasciano il loro segno sulle montagne, anche sulle belle montagne. Forse le montagne più difficili, quelle meno ambite, hanno il "vantaggio" di non vedere numeri immensi di animali che le percorrono. Magari rischiano di venire abbandonate… ma in queste belle montagne invece le mandrie scavano sentieri, incidono tracce difficili da risanare.

Vicino a certi alpeggi restano chiazze di terra bruciata laddove pernottano queste mandrie immense di diverse centinaia di capi. Se ricrescerà della vegetazione, non sarà erba buona, ma piante come ortiche e romici, caratteristiche dei terreni con eccesso di azoto. C'è chi inizia a chiedersi cosa accadrà con le prossime scadenze delle politiche agricole europee. Verranno tolti i contributi in favore di altri paesi entrati nella CEE? Tra i timori di tutti, sono sempre di più quelli che dicono che un'agricoltura senza contributi favorirebbe quelli che veramente fanno questo mestiere per passione. Tornerebbero i "numeri giusti" per la montagna? I prodotti torneranno ad avere il vero valore? O il mercato sarà invaso da prodotti a basso costo che arrivano da fuori, con conseguenze ancora peggiori? Non lo so, non sono un'economista, ma c'è veramente tutta una serie di segnali sicuramente non positivi.

Una cresta panoramica

Sabato ero in Valle Grana ed è stata una di quelle occasioni in cui l’utile si unisce al dilettevole. A Coumboscuro c’era il Roumiage di Settembre, mi interessava andare a sentire in convegno che si teneva nel pomeriggio, ma soprattutto il concerto di Davide Van de Sfroos alla sera. Viste le condizioni meteo più che mai favorevoli, ho approfittato della trasferta per fare anche una gita in montagna. Da quelle parti c’ero stata recentemente, quando avevo incontrato il pastore Mario.

Sulla strada della salita, appena dopo aver abbandonato la macchina, abbiamo infatti incontrato il suo gregge, ancora chiuso nel recinto, collocato esattamente dov’era settimane prima. D’altra parte Mario diceva di non poterlo fare altrove, lì in basso, visto che ovunque ci sono rocce, cespugli e ripidi pendii. Certo, gli animali non stanno benissimo, sempre nello stesso posto… ma è uno dei tanti prezzi che bisogna pagare per colpa del lupo.

Era una bellissima giornata luminosa e non troppo calda, al mattino si vedeva ancora la luna che si avviava a tramontare dietro alle montagne. La nostra meta di giornata non era lontanissima, visto che per le 15:00 dovevo essere al convegno… possibilmente presentabile e non in scarponi e maglietta!

Purtroppo i pascoli su in alto mostravano scarsi segni di pascolamento: qui le pecore dovevano essere passate rapidamente ed in alcuni punti il pastore non le ha nemmeno mai condotte. Troppa la paura del lupo, troppi i disagi: come portare fin lassù, da solo, a spalle, le reti e la batteria? Come occuparsi contemporaneamente dell’indispensabile fienagione per la stagione invernale? E così avanzano i cespugli, i rododendri, i mirtilli…

Appena un po’ più in là, sulla dolce cresta che sale dalla Valle Stura, il pascolo è utilizzato, eccome se è utilizzato! Già da lontano si avvistavano le sagome bianche delle vacche… ma non era che l’avanguardia di un gruppo molto numeroso di animali, disseminati qua e là sui pascoli ormai sempre più gialli.

Non c’era una nuvola, in cielo, e tutte le vette delle Alpi Marittime facevano da sfondo agli animali. Bestie selvatiche e sospettose, che non si lasciavano assolutamente avvicinare e sembravano quasi pronte a "caricare" gli incauti escursionisti, specie quelli che si avvicinavano troppo con la macchina fotografica. Sarà che avevo la fedele cana appesa al braccio… Comunque non mi è successo nulla e spero che presto il mio compagno di gita mi spedisca le foto che testimoniano i fatti che vi sto raccontando.

Qui gli animali non mancavano proprio. Anzi… sembravano fin troppi, per i pascoli ancora a disposizione! Su tutta questa cresta panoramica che divide la Val Grana dalla Valle Stura, si contavano innumerevoli macchie bianche composte da bovini come questi (qui la razza Piemontese la fa da padrona). Più in basso, ho visto piste sterrate che raggiungevano alpeggi in condizioni non propriamente ottimali: uno sembrava la casacca di Arlecchino, per i teli multicolori che coprivano i tetti delle baite… Ed anche lì, vicino alle case, altre mandrie. Abbandono da una parte, eccesso di sfruttamento dall’altra?

Continua il cammino verso la vetta del Monte Grum, alle nostre spalle questo strano paesaggio che sicuramente farà fare dei confronti agli amici che abitano in vallate strette, sassose, ripide. Mi sembra di sentirli, mentre vedono queste foto… Laggiù, all’orizzonte, le Alpi declinano verso il mare, gli Appennini, le Langhe.

Questi invece sono i pascoli della prosecuzione della vallata, con le creste e le vette della Valle Stura, Valle Grana, Val Maira ed altre ancora che si mescolano, si intersecano. I pascoli e gli alpeggi del Castelmagno, li guardo con i binocolo, vedo anche nuove strade che tagliano le montagne, che raggiungono baite. La montagna è ancora viva, anche qui.

Sulla via del ritorno, ancora uno scatto ad una delle mandrie, che riposa placidamente, ma è pronta a scattare sull’attenti non appena mi avvicino. Scendiamo, scorgiamo le pecore arroccate su di una rupe, seminascoste tra gli alberi. Il pastore ci vede, grida qualcosa, prima pensiamo parli con il cane, invece ci sta chiedendo l’ora. "A l’è ‘n bot e mes…". Ringrazia e chiede ancora se abbiamo visto per caso un agnello. Purtroppo no. Un lavaggio sommario nel torrente, un rapido cambio di abbigliamento e sono pronta per andare a Coumboscuro.

Da segnalare, in quest’ultima parte della giornata (a parte il bel concerto, ma fin troppo breve), l’assaggio di un formaggio "tipo Castelmagno" prodotto per autoconsumo dal pastore Mario. Insieme a pochi privilegiati (tra cui Michele Corti, autore della foto che ho inserito qui), ho assaggiato una fetta tagliata da una forma con un anno di stagionatura: erborinato, latte misto pecora-capra… Un sogno! Un saluto ed un grazie agli organizzatori del Festenal, è stata una bella festa.

A qualunque ora?

Venerdì scorso sono stata in Val Chisone, all’Alpe Pintas (ex alpeggio, trasformato in punto ristoro/vendita di prodotti tipici), nel pianoro di Pian dell’Alpe. Ho tenuto là l’ennesima serata di presentazione di "Intelligente come un asino, intraprendente come una pecora", purtroppo in un orario che ha coinciso con un violento temporale che ha tenuto lontano buona parte del potenziale pubblico.

Dal momento che giù in pianura si boccheggiava per il caldo e l’afa, sono partita verso le montagne nell’ora di pranzo, intenzionata a fare "quattro passi" prima della serata. Di animali al pascolo ce n’erano in abbondanza, ma non mi sono fermata se non quasi al Colle delle Finestre, vicino alla fontana che c’è all’ultimo tornante, dove le vacche erano radunate tutt’intorno alla mungitrice mobile.

Già, erano quasi le due del pomeriggio e la mungitrice era in funzione. Era da tempo che non vedevo Mario e sua moglie, così questa è stata l’occasione per scambiare quattro chiacchiere ed anche per vedere… l’erede! Nel fuoristrada, riparata dal sole grazie ad un ombrello rosso di quelli "da pastore", c’era infatti una sorridente bimbetta di pochi mesi, inconsapevole di quanto fosse fortunata a vivere quassù all’aria buona… Si è parlato di questo e di quello, ma non ho osato chiedere come mai stessero mungendo a quest’ora inconsueta.

Il mio viaggio era praticamente terminato, ho parcheggiato l’auto al Colle e mi sono avviata lungo la strada militare del Gran Serin, diretta verso la Ciantiplagna. Purtroppo l’afa della pianura qui si trasformava in dense nebbie che avvolgevano le cime… Altrimenti sarebbe stato uno spettacolo impareggiabile, con quella fioritura multicolore che tingeva questi ottimi pascoli d’alta quota.

In una giornata come questa però si godeva veramente di Pian dell’Alpe e dei territori circostanti: praticamente impossibile, al sabato ed alla domenica, vedere questo luogo sgombro dalle auto e da torme di turisti che, ahimè, non sempre rispettano i pascoli, l’ambiente e gli animali. Queste sono anche zone dove solitamente l’erba ingiallisce precocemente, nelle estati più calde e secche: oggi invece il verde, punteggiato dai mille colori dei fiori, la fa da padrone. Ci sono almeno tre mandrie al pascolo, là sotto…

Più in alto il paesaggio cambia: purtroppo la nebbia regala solo rarissimi squarci e poca visibilità, ma comunque l’erba è bassa, la neve è andata via da poco, qua e là ce ne sono ancora delle chiazze, ma d’altra parte siamo a 2700m di quota. Altri pascoli, di ottima qualità anche questi, pur solo con questa erbetta così corta. Qui starebbe bene un gregge… Chissà chi è che pascola quassù?

In vetta la visibilità è pressochè nulla, non fa freddo nonostante la quota (2.849m), ma devo rientrare perchè giù mi aspettano! I ripidi pascoli verso il Colle delle Finestre sono davvero un tappeto multicolore, raccolgo qualche fiore di arnica per fare poi la crema che servirà per curare i vari dolori che ogni tanto si fanno sentire (più per la prolungata permanenza davanti al computer che non per le camminate in montagna!!).

Quasi al Colle, sulla strada c’è di guardia uno dei due cani di Mario. "Ogni tanto rosicchiano qualche turista…", mi aveva detto lui. "Ci sono certe moto che… non so, fanno un rumore diverso! Ed i cani non lo sopportano!". Sperando di non venire "rosicchiata", passo accanto al cane con noncuranza e lui mi degna di poco più che uno sguardo. Lì vicino ci sono le vacche e, poco sopra, quelle poche pecore che anni fa avevano "scritto" una lettera all’Eco del Chisone sulla questione lupo (vd. "Dove vai pastore?", pagina 33-34, lettera della "pecora fiduciosa").

Le vacche pascolano in mezzo ai fiori, osservano placidamente il mio passaggio e si mettono quasi in posa per una foto. Il Colle è deserto, passa solo qualche motociclista, forse straniero, diretto verso la Val di Susa, sull’altro versante. E’ bello essere quassù a quest’ora, con questo silenzio, con questa pace. Si può dimenticare tutto, la settimana frenetica per concludere un lavoro entro la scadenza, i problemi di vario tipo che incombono, una questione spinosa che non so bene come risolvere (e di cui non vi posso ancora parlare, anche se riguarda indirettamente questo blog).

Questa vacca… non vi ricorda quelle finte che appaiono qua e là per pubblicizzare qualche cascina che vende direttamente latte e latticini? Eppure vi assicuro che è reale, in carne ed ossa! Mentre la fotografo, la pace ed il silenzio vengono infranti da un cupo brontolio e capisco che è davvero ora di affrettarsi, il caldo della pianura ancora una volta qui in montagna si trasformerà in un violento temporale.

Mentre scendo, sulla strada continuano gli incontri. Mentre l’altro maremmano mi abbaia in modo poco convinto, fotografo queste altre vacche, che vagano sull’asfalto. Non c’è un filo, niente le separa dall’eventuale "traffico", ma… d’altra parte come si potrebbe fare, visto che la strada taglia i pascoli in lungo ed in largo? Un altro tuono, più vicino, e le prime gocce di pioggia…

Finita la serata, scendo quando ormai cala l’oscurità. Su, vicino alla mungitrice, c’è la luce accesa. Strani orari per mungere, ma ci sarà un perchè… A Pian dell’Alpe invece regna il silenzio, solo qualche isolato campanaccio, un muggito solitario. Il temporale è ormai passato, l’aria è fresca, quasi fredda. Sarebbe bello dormire qui, lontano dalla calura che mi aspetta a casa. Ma tra poche ore suonerà già la sveglia per andare alla transumanza che vi ho descritto ieri, quindi guido verso il fondovalle, facendo attenzione agli animali selvatici che mi attraversano la strada (due caprioli ed una volpe).

E' quasi ora, anche se qualcuno…

Ci sono già state delle transumanze verso le montagne, lo sapete bene. Però i più aspettano, anche perchè quest’anno la primavera è stata fredda, nevosa e si sta avviando verso l’estate con piogge e violenti temporali. D’altra parte una volta si saliva sempre verso la fine di giugno.

L’erba è indietro, i primi fiori (qui le Pulsatille) si alzano tra i resti secchi dei pascoli dell’anno scorso, ma adesso velocemente tutto diventerà verde anche alle quote più alte, e poi ci saranno quelle fioriture meravigliose del mese di luglio…

Le viole, tra le prime a fiorire insieme alle genziane, dopo i crocus e le soldanelle… Non è ancora il momento perchè qui possano pascolare delle mandrie. Non è ancora il momento per incontrare qualcuno ogni volta che si va in montagna. Silenzio, nessuna campana, muggito, belato o cani che abbaiano.

Questo alpeggio molto precario attende i suoi abitanti. Ha resistito all’inverno o è già venuto qualcuno ad "aggiustarlo"? Ricordatevi che quest’anno attendo da voi, lettori che frequentate la montagna, ma non proprietari di animali, foto di alpeggi, testimonianze di come si vive in questi mesi d’estate (come dicevo in questo post). C’è chi ha delle case "di lusso" e chi invece… Tra l’altro, "l’abitazione" qui sopra è quella che fa riferimento all’altro fabbricato "provvisorio" che compare nella seconda foto del post scritto in aprile.