Dopo tanti sacrifici, sono riuscito a realizzare il mio sogno

Continuiamo il viaggio tra gli allevatori di capre. Fabio lo conosco da qualche anno, adesso ci racconta come è riuscito a realizzare il suo sogno di aprire una sua azienda agricola.

(foto F.Tonelli)

Vivo a Verrès, in Valle d’Aosta. Ho un allevamento di circa 50 capre da latte che, oltre ad essere una passione, sono anche fonte di sostentamento in quanto, dopo tanti sacrifici, sono riuscito finalmente a realizzare il mio sogno: aprire un’azienda agricola tutta mia. E’ stato piuttosto difficoltoso per diversi motivi. Sono orgoglioso di essermi costruito ciò che ho, partendo completamente da zero (non sono figlio d’arte, i miei genitori fanno tutt’altro) e fare di questa passione il mio lavoro! A parte la mia famiglia, non ho avuto aiuti da nessuno. Abbiamo fatto i salti mortali ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Allevo capre Camosciate delle Alpi. Prima di scegliere questa razza mi sono informato bene e ho visitato diverse aziende. Sono molto rinomate per la loro produzione di latte e sono una razza tutto sommato abbastanza rustica, che si adatta bene al nostro territorio, al clima e soprattutto rispecchiano il tipo di allevamento su cui volevo puntare io.

(foto F.Tonelli)

La mia prima capra l’ho avuta in regalo da mia nonna quando ero bambino. Era una capretta nana molto mansueta e graziosa con cui avevo instaurato un bellissimo rapporto: era la mia ombra, era come un cagnolino che mi seguiva ovunque andassi. Con il passare degli anni ho avuto la conferma che questa era la mia strada e ho così deciso di mettere anima e corpo per gli animali, dedicando la mia vita a loro e seguendo questo cammino, tanto pieno di sacrifici quanto ricco di soddisfazioni. Casa mia è uno zoo… Fin da bambino, grazie alla preziosa collaborazione dei miei genitori, ho avuto la fortuna di poter tenere una marea di animali. Ancora oggi, gli animali sono tanti! Alcuni sono solo da contorno e non c’entrano nulla con l’attività… Li ho perché mi piacciono, è più forte di me! Ho smesso di andare alle Fiere perché se no ogni volta arrivo a casa con qualcosa. Altri invece sono parte integrante dell’azienda come le mie galline “felici”. Le definisco così perché secondo me lo sono. Tante persone vengono a trovarmi per comprare le mie uova e mi fa piacere accontentare chi ama ancora i prodotti della terra, chi ci tiene a sapere cosa mangia e preferisce rifornirsi direttamente in azienda piuttosto che sugli scaffali della grande distribuzione.

(foto F.Tonelli)

Al contrario di quel che si possa pensare, le capre sono animali estremamente intelligenti! Le ho scelte perché fin da piccolo mi hanno incuriosito e appassionato… Inoltre, essendo solo a gestire l’azienda avevo bisogno di una tipologia di allevamento che mi permettesse di cavarmela con le mie forze e allo stesso tempo mi permettesse di guadagnarmi da vivere. E poi le capre… Non so nemmeno come spiegare, mi piacciono e basta! Della capra mi piace tutto! E’ un animale simpatico e intelligente, a tratti buffo. Le mie sono abituate al contatto con l’uomo perché mungendole mattino e sera sono domestiche. Non c’è bambino che venga a trovarmi che non resti contento di vederle. Sono graziose e mansuete, adorano le coccole e sono molto curiose.

(foto F.Tonelli)

Momenti difficili… Tanti, forse troppi! Credo che i momenti difficili servano a farti apprezzare quelli belli. E credo sia proprio in quei momenti che ti accorgi se questa è davvero la tua strada. E’ facile andare avanti quando tutto va bene, ma la vera forza sta nell’andare avanti anche quando le cose non vanno come vorresti! Un aneddoto che ricordo con piacere è successo quando ero piccolo ed ho visto per la prima volta come nascevano i capretti. E’ una cosa che mi è rimasta impressa, ogni volta mi emoziona. E’ sempre speciale vederli nascere. Ogni anno me ne nascono tantissimi, ma ogni volta è come la prima. E’ bello vederli nascere per poi essere accuditi dalla loro mamma, vederli alzare a fatica e dopo poche ore correre come matti nei box. E’ bello vederli crescere e diventare adulti per dire “ti ricordi quello com’era piccolo” oppure “questo è figlio della mia preferita” o ancora “la mamma di questo era un fenomeno”.

(foto F.Tonelli)

Per la mungitura ho costruito artigianalmente un palchetto sul quale faccio salire gli animali due volte al giorno. Ogni giro ce ne otto, sanno che una volta su trovano il mangime e quindi salgono volentieri. Vengono poi bloccate in maniera da poter essere munte. In questo modo ogni animale assume la giusta razione di mangime e viene munto bene e nel pulito. Il latte lo conferisco ad un caseificio qui vicino, di cui sono socio. Non lo lavoro in azienda principalmente perché non sarebbe fattibile come tempo. Lavorare il latte, produrre formaggi, seguirli e poi venderli mi occuperebbe un sacco di tempo, nel periodo in cui per altro ci sono tanti lavori da svolgere in campagna. Essendo solo diventerebbe complicato e rischierebbe di ripercuotersi sul prodotto finale, il formaggio appunto. E poi c’è da fare un discorso economico. Vendendo il latte, conferisco l’intera quantità che produco, non ho scarto e a fine mese arriva il bonifico. Un domani che i miei genitori saranno in pensione e potranno darmi una mano, chi lo sa, magari si potrà pensare ad un punto vendita. Ad oggi i miei genitori svolgono altri lavori e hanno una stabilità lavorativa che non metterei mai a rischio per farli venire in azienda con me! Operai non ne voglio, al giorno d’oggi non è facile. La maggior parte delle volte ti porti in casa persone demotivate che non hanno voglia di fare niente e pensano in un’azienda agricola si trascorra tutto il giorno a guardare gli animali che pascolano ma non è così! Quindi, meglio solo che male accompagnato!

(foto F.Tonelli)

Mi occupo della stalla e in estate, pur non avendo tanti terreni, faccio un po’ di fieno. Inoltre svolgo altre piccole attività annesse all’azienda che mi permettono di guadagnare qualcosa in più. Ho scelto di non pascolare più. Allevando capre destinate alla produzione di latte ci va un occhio di riguardo con l’alimentazione. Trovo che dando solo fieno si mantenga un prodotto regolare, sia come quantitativo sia a livello di analisi. Non avrei comunque abbastanza terreni e pensare di pascolare un periodo per poi ritirarle di nuovo a fieno e successivamente ri-pascolare sarebbe controproducente al massimo. Ho ridotto drasticamente parassitosi, mastiti e altre problematiche legate al pascolo. Le capre in inverno trascorrono alcuni mesi in stalla, hanno un box che permette loro di muoversi anche nei periodi più delicati come quelli del parto, di mangiare e di abbeverarsi quando vogliono attraverso l’uso di apposite mangiatoie e coppe. In estate hanno un recinto fisso e possono entrare o uscire dalla stalla a loro piacimento.

(foto F.Tonelli)

Secondo me le capre sono animali incantevoli. Sanno trasmettere tanto e sono in grado di percepire un sacco di cose sulla persona che hanno davanti. Sentono se hai paura, se sei intimorito da loro oppure se sei a tuo agio e si comportano di conseguenza. La mia vita è cambiata parecchio da quando ho le capre. Avendo molti animali da accudire non mi posso allontanare di casa. Le ferie sono ormai un ricordo lontano, da otto anni a questa parte non vado più in vacanza ma non mi pesa. Sono contento perché faccio un lavoro che mi piace e mi rende orgoglioso ogni giorno. Non rimpiango i sacrifici che faccio per i miei animali perché loro sono la mia vita, senza di loro non avrebbe senso stare al mondo, non mi immagino un futuro senza di loro. Con questo lavoro si sa, non si diventa ricchi. Personalmente penso che la ricchezza non sia solo quella economica. La vera ricchezza è la felicità. Se uno ha la salute e un po’ di felicità, ha tutto! Se qualcuno vuole iniziare con le capre gli direi di pensarci bene: se è davvero convinto fa bene! Gli animali riescono a trasmetterti tanto, a volte molto più delle persone.

(foto F.Tonelli)

Capre da compagnia, perché no! Per chi vuole tenere alcuni animali come hobby non mi sembra una cattiva idea, anzi. Gli animali sono davvero speciali e se uno ha il posto e il tempo per tenerli ben venga. Diversi studi hanno dimostrato l’importante aiuto svolto dagli animali nella vita dell’uomo. Molto diffusa recentemente la Pet Therapy, ovvero l’uso di animali per creare dei legami con pazienti in difficoltà come bambini disabili o anziani.
Dalle mie parti ci sono parecchi allevatori di capre. Con qualcuno è difficile andare d’accordo. Credo che vedere un ragazzo poco più che ventenne che si sta costruendo passo dopo passo un’azienda susciti un po’ di rivalità in qualcuno. Credo che un po’ di invidia sia dovuta al fatto che, tutto sommato, me la stia cavando benone! Va detto che la crisi che colpisce il settore agricolo certo non aiuta, anzi. Si sta creando una “guerra dei poveri” che in molti casi da vita ad atteggiamenti abbastanza spiacevoli. Ma non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, ci sono anche tante persone buone. Credo in questi momenti difficili sia meglio aiutarsi e sostenersi piuttosto che ostacolarsi il lavoro, già abbastanza duro di suo. Fortunatamente ho tanti amici in questo settore che la pensano come me, su cui so di poter contare.

Pioveva… e nevicava a bassa quota

Sabato scorso ad Aosta pioveva e nevicava a quote relativamente basse. C’era la Foire des Alpes, rassegna dedicata a… tutti gli animali che non sono bovini, ma soprattutto capre e pecore.

Da camion, furgoni, camioncini scendevano gli animali e venivano condotti dentro l’arena, ma già al mattino c’era il dubbio che anche quest’anno la manifestazione non avrebbe avuto una partecipazione pari a quella dei primi anni.

Bisogna portare due capi (due pecore, due capre, una capra e una pecora) per avere diritto ai contributi erogati al fine di aiutare gli allevatori delle razze locali (pecora rosset, capra valdostana), quindi chi non è venuto alla Foire, non riceverà questi premi in denaro.

Qualcuno partecipa anche con specie e razze differenti: un giovanissimo appassionato con le sue capre nane, poi ci sono (pochi) cavalli, asini, lama. Ricordo in passato anche renne e molto altro, invece quest’anno c’erano pochissimi animali in generale, anche per quello che riguarda la parte di fiera, cioè animali che potevano essere venduti direttamente in quell’occasione.

C’è chi non è venuto per il tempo, chi è sceso, ma poi riparte quando gli dicono che sta nevicando e bisogna andare a metter dentro i manzi. C’è anche chi è arrivato e non vorrebbe scaricare i suoi animali, visto che toccherà lasciarli all’aperto sotto la pioggia. Raccolgo un po’ di voci: “Un mio amico non è venuto, ha una capra qualificata per domani alla finale della battaglia, lui munge, passare due giorni qui è un impegno, non ce la faceva.” “Negli anni passati ti aiutavano di più, adesso io che non ho razze di quelle per cui danno i contributi, ho solo spese per venire qui!

Il maltempo comunque non aiuta proprio. Ci sono quasi solo allevatori, qualche appassionato e nessun turista/curioso. Ricordo che, la mia prima volta alla Foire qualche anno fa, c’era pure il mercatino al piano superiore, c’era ancora anche lo scorso anno, mentre sabato solo il piano terra era parzialmente occupato dagli animali. Gli allevatori delle pecore si lamentavano: “…c’è spazio, capre ce ne sono poche, potevano lasciarci metter dentro anche le pecore!“. Alcune probabilmente erano ancora al pascolo, ma altre, tosate, sono state appositamente tirate fuori dalle stalle.

Ci si trova comunque tra appassionati, si gira, si chiacchiera, si guardano gli animali. Non solo capre valdostane, ma anche numerose “alpine comuni”.

Una capra davvero strana, in foto non rende l’idea fino in fondo delle sue dimensioni. Strano il colore e la morfologia, pensate che pesava, mi hanno detto, 106 kg!! Non so che incrocio strano fosse, ma dall’aspetto sembrava quasi una renna!

All’ingresso dell’arena, Camillo ed altri allevatori raccoglievano firme per sensibilizzare a riguardo della “questione lupo”. Avevano fatto stampare numerose foto scattate in valle durante innumerevoli predazioni a danno di capre, pecore e anche bovini. “Non me le hanno lasciate appendere, dicono che turbano la sensibilità del pubblico!“. Il pubblico invece si fermava, chiedeva, sfogliava, ma non sembrava affatto turbato, piuttosto indignato. Non sono mancate discussioni con chi invece riteneva che il lupo avesse pienamente ragione nel procacciarsi il cibo tra greggi e mandrie…

Ma quelli che affermano che allevare sia una forma di sfruttamento degli animali… perchè non viene a scambiare quattro chiacchiere con questo bambino, che ha addirittura fatto fare le copertine personalizzate per le sue capre?

C’è chi inganna il tempo in attesa delle premiazioni pomeridiane portando le capre all’aperto per una battaglia. D’altra parte è così che sono nate le battaglie delle capre “ufficiali”, sono stati regolamentati e ufficializzati quegli incontri che, per passione e passatempo, già si organizzavano tra amici.

Si va a far pranzo, poi ci si augura di tornare presto a casa. Piove, fa freddo, ci sono i lavori da fare…

Finalmente, senza perdere tempo, viene dato il via alle premiazioni. I giudici chiamano in campo i capi selezionati per ciascuna categoria, in modo da vederli affiancati e decidere quali sono i primi tre da premiare.

Si ritira il premio e si inizia a già a pensare alla battaglia del giorno successivo, per chi ha animali finalisti. La speranza è che anche il tempo sia migliore.

Chiude la rassegna la premiazione delle pecore, mentre pioggia e pioviggine si alternano, in una giornata decisamente fredda. Anche in una terra di forti tradizioni come la Val d’Aosta, la considerazione che può essere fatta alla fine della giornata è che anche qui si sente la crisi. Queste manifestazioni possono essere tenute in vita solo… con i soldi. La passione non è sufficiente. C’è un costo per venire qui con gli animali, sia economico (camion o altri mezzi), sia in termini di tempo. In qualche caso sarà anche mancanza di volontà, ma… quando tutto va bene, uno va volentieri a passare una giornata in compagnia con gli amici. Quando invece ci sono tante piccole/grandi cose che non girano per il verso giusto, viene a mancare persino l’entusiasmo.

L’importanza dell’acqua

A volte mi sembra che non ci sia da parlare di certe cose, tanto sono ovvie e scontate, ma evidentemente invece non è così. Nonostante io non abiti in città, tra asfalto e cemento, ma in un paese dove boschi, prati e campi sono ovunque intorno alle abitazioni, mi è appena capitato di sentire una conversazione sul tempo.

Ero in coda all’ufficio postale e, davanti a me, due signore parlavano a voce abbastanza forte da essere udite da chiunque. Si lamentavano per il fatto che, “proprio per il fine settimana“, fosse prevista una perturbazione. Non so quale evento la pioggia avrebbe potuto funestare, magari un matrimonio… Sta di fatto che, fin quando dal rubinetto esce l’acqua, molti ormai si dimenticano della sua importanza. Non c’è bisogno di andare fino in alta quota per capire cosa significhi la mancanza d’acqua.

Chissà se la gente si accorge che, laddove da settimane, anche mesi, non cade una goccia di pioggia, è tutto giallo e stanno persino seccando gli alberi? Guardatevi intorno, le chiome hanno un verde spento e, sui versanti, specialmente quelli più rocciosi, ci sono alberi con le foglie rosse. Non il rosso o l’arancione brillante dell’autunno, ma un marrone rossastro di siccità. In montagna, intorno agli alpeggi, la terra è riarsa, calpestata. Il verde è rappresentato solo dai cespugli: ginepri, rododendri, mirtillo rosso…

Dove si può, si bagna, e allora si vede la differenza. In Val d’Aosta, vallata abbastanza secca dal punto di vista delle precipitazioni, ma ricca di acqua grazie ai ghiacciai, c’è un vasto sistema di irrigazione, che permette di far fronte anche alle annate siccitose come questa. Ma l’acqua non è inesauribile. Aumento delle temperature, minori precipitazioni nevose in inverno, poche piogge (spesso torrenziali e concentrate in poco tempo) sono fenomeni che dovrebbero far preoccupare.

Chi vive lontano dal mondo “della terra”, che non ha a che fare direttamente con la produzione agricola o con l’allevamento, i fenomeni atmosferici li vive soprattutto in funzione del fastidio che possono arrecare alle sue attività di svago. Non ci si pone nemmeno la domanda del perchè questo pascolo sia verde ed altri più a monte siano completamente ingialliti.

Prati pascolati, dove il verde è tornato solo se c’è stata irrigazione. Ancora più gialli e “disordinati” quelli dove gli animali non sono passati. Qua e là, negli ultimi giorni, c’è stato un temporale a spezzare la siccità. “Ormai quassù se piove non serve nemmeno più, fa solo marcire l’erba“, mi diceva un’amica al pascolo sotto l’ombrello ieri, mentre io invidiavo la “sua” pioggia. “E’ in pianura che dovrebbe piovere, altrimenti quando scendiamo di erba ce n’è poi proprio poca!

In alta quota la stagione è finita proprio in anticipo, con colori e panorami da fine ottobre quando invece è solo l’inizio di settembre. Quest’anno non è stato il gelo a far cambiare faccia alla montagna, ma il caldo e il secco.

La vedete la differenza? Dovremmo chiederci di più il perchè delle cose. Invece molte persone vivono prendendo tutto quello che c’è, senza domandarsi come e perchè è arrivato nel bancone di un supermercato. E questo discorso non vale solo per l’acqua, ovviamente.

I bovini sono ancora al pascolo, poco oltre si bagna per avere poi altra erba per loro, per i giorni, le settimane successive. Come stagione è andata bene per i fieni, ma nello stesso tempo di fieno ne servirà di più, dato che c’è poi poca erba da pascolare all’aperto, sempre per colpa della siccità e del caldo. Tutti questi meccanismi naturali sfuggono a chi si lamenta perchè, accidenti, proprio domani o dopodomani deve piovere??

Manca la pioggia

Dove non ha piovuto la situazione si sta facendo davvero critica e, probabilmente, ci saranno allevatori costretti a scendere dall’alpeggio con qualche settimana di anticipo. Dove ha fatto qualche temporale va già subito meglio, ma… in generale la situazione è critica.

Facciamo una carrellata tra le valli. Qui siamo in Val Germanasca (TO) ai Tredici Laghi. I pochi bovini presenti, lasciati liberi di spostarsi a piacimento, vanno dove l’erba è ancora un po’ più verde e fresca.

Ma sui costoni, tutto dove le rocce sono più superficiali, dove manca quel po’ di umidità dei laghi (anch’essi molto bassi di livello), l’erba è gialla, rossa, completamente secca. Il sole splende implacabile, caldo, ogni tanto si unisce il vento ad asciugare ancora di più il terreno.

Gli effetti della siccità sono ancora più visibili in basso, in alcuni prati che, non so per quale motivo, non sono nemmeno stati pascolati. Gialle distese che paiono campi di grano… e siamo solo a fine agosto, non ad ottobre! Un tempo da queste parti si vedevano più animali, invece oggi gli alpeggi paiono sotto utilizzati, con il bosco che avanza.

Cambiamo vallate: Vallone dell’Arma in Valle Stura (CN), zone già normalmente più aride e meno piovose. La mandria è sparpagliata sul ripido pendio, a pulire tutto quello che resta.

Anche più in alto ci sono altre mandrie, laddove ormai quasi tutto è stato pascolato. E’ normale, a questa stagione. Si finiscono i pascoli alti, poi si scende. Il problema è che, più in basso, le alte temperature e la siccità non hanno fatto ricrescere l’erba già pascolata ad inizio stagione, o hanno fatto seccare quella che c’era.

Se solo avesse piovuto almeno un po’… Qui siamo ai Tornetti in Val di Viù (TO), dove invece ci sono stati dei temporali, alcuni anche violenti e con grandine. Mi dicevano che la grandine ha addirittura schiacciato l’erba. Però almeno qui di erba verde ne ho vista, i colori erano quelli giusti per la stagione, per l’inizio di settembre a questa quota.

Val d’Aosta, Vallone di Saint Barthelemy, Tsa de Fontaney. Non c’è più niente, l’erba è stata totalmente pascolata, nei prati sottostanti è stato già sparso il liquame, ma la terra è dura, non vede pioggia da settimane.

La mandria sta pascolando molto più in alto, quasi sotto al colle, accanto un laghetto, dove ancora c’è un po’ di verde. Lungo il ruscello, salendo quassù, era l’unica zona dove si vedeva quel colore. Non ha ancora fatto molto freddo, anzi… le temperature sono spesso ben superiori, il suolo è ancora caldo, con la pioggia l’erba ci sarebbe ancora.

Su di un altro versante, in un vallone laterale, le vacche sono puntini scuri sparsi in una zona più verde… ma vengono i brividi a vedere la pendenza di quel pascolo, forse più adatto a pecore e capre. Probabilmente, in un’annata normale, non sarebbero state mandate a pascolare lassù, ma per prolungare la stagione, si coglie tutto quello che c’è, dove c’è.

Altro alpeggio, anche qui pare che non ci sia più da mangiare per molti giorni. La desarpa sarà anticipata per molti, quando non c’è più niente, le bestie torneranno giù.

Più in basso c’è un pastore con il suo gregge, per pecore e capre si trova ancora sempre qualcosa in più, dato che si pascola ovunque sui pendii, sotto agli alberi, tra i cespugli. Il gregge poi è piccolo, sono animali affidati al pastore solo per la stagione estiva.

Il recinto è nella versione “massima sicurezza”, più alto della media e con un giro di reti “normali” intorno. Qui i lupi ci sono, sono già stati visti e fotografati quando ancora c’era la neve. “Di solito dormo qui nella roulotte, ma se capita di scendere la sera, voglio essere tranquillo!

Il pastore si chiama Remo, ci conoscevamo a vicenda, ma solo di nome… Sapevo che era stato a lungo nel Nord Est a fare il pastore da quelle parti, ma adesso è tornato nella sua regione d’origine dopo aver venduto il gregge che conduceva al pascolo da quelle parti.

Mi piacerebbe riuscire a fare un gregge solo di pecore Rosset, in alpeggio. Qui adesso ci sono delle Biellesi e delle Rosset. Oppure mi piacerebbe prendere delle pecore Lacone, farle partorire in primavera, salire e mungere, fare formaggio di pecora.

Anche se in Val d’Aosta soffia il vento, oltre a non piovere, la fortuna è avere almeno tutto un valido sistema di irrigazione a mezza quota e in bassa valle. Dove sono stati tagliati i fieni, poi si bagna e, quando scenderanno gli animali, potranno esser messi al pascolo. Ma, dove l’acqua non c’è, qualcuno ha già addirittura problemi a far bere mandrie e greggi, su negli alpeggi.

Le valdostane le tengo perchè è una brutta malattia!

Fabrizia mi aveva invitata ad andare una volta da lei, mi aveva promesso che mi avrebbe fatto intervistare suo fratello e il suo fidanzato, entrambi appassionati di capre. Così, appena prima di Ferragosto, mi inerpico con l’auto lungo la ripida strada che, da Quincinetto, sale verso Scalaro. Il primo intervistato sarà Paolo…

Dalla casa della famiglia Bosonin ci spostiamo ancora. Si sale, si va in piano, si scende… e si arriva a destinazione, dove le capre stanno pascolando, sorvegliate dalla sorella di Paolo, che ci raggiungerà poco dopo. “Ho vacche, capre e pecore. Come capre, ci sono le valdostane e camosciate da latte. Le mungo entrambe, ma la valdostana rende meno. Ho sempre avuto capre, d’inverno le tengo insieme, d’estate separate.

Le camosciate pascolano con le mucche, sono più tranquille. Le valdostane le tengo perchè… è una brutta malattia! E non c’è cura, vaccino, niente!” Scherza, Paolo, ma sono parole già sentite molte volte. Questione di passione. “Adesso non le porto più alle battaglie, solo alla rassegna ad Aosta. Non è più una battaglia delle capre, c’è troppa rivalità tra le persone, mi sono stufato.

Una volta era bello, era una bella festa… Le ho portate per vent’anni, me ne hanno date di soddisfazioni! La prima volta che sono andato ad una battaglia è stato un regalo che mi ha fatto mio papà per il compleanno, avevo 7-8 anni. Da bambino, se hai dei risultati, poi ti prende bene…!“. La mamma e la sorella mi mostrano le foto di Paolo da bambino circondato dalle sue capre: “Invece del motorino, aveva voluto che gli comprassimo una capra…

A dire il vero, invece del motorino mi ero poi fatto prendere l’Ape per caricare sopra le capre e le pecore! Invece quando ho finito la scuola a Caluso, sono andato a prendermi il capretto bianco…“. Le capre, dopo aver pascolato tutto il mattino, vengono messe in stalla, torneranno al pascolo nel pomeriggio.

Pian piano si avviano verso le porte delle stalle. “Ogni tanto qualche fuga la fanno, specialmente in autunno. Vanno in su, spariscono, e bisogna andare a prenderle magari già in mezzo alla neve. Non tornano da sole.

Sotto alle case, c’è il gregge di pecore nelle reti. Non sono moltissimi animali, un piccolo gregge di razza Rosset, la razza locale. Siamo già in Val d’Aosta, il panorama che si gode lassù in quella splendida giornata di sole è quello della bassa valle e delle vallate laterali che di qui si dipartono.

Il caseificio è più in basso, all’alpeggio dove Paolo trascorre la stagione estiva con il resto della famiglia. Qui viene lavorato il latte vaccino e quello caprino. “Una volta nelle capre si guardava di più il latte e non le corna! Il latte di capra aggiusta i formaggi, però il gusto si sente e non ha tutti piace. Si metteva anche nelle Fontine. Noi qui facciamo tome. I miei zii mungevano anche le pecore Rosset, di latte ne hanno, allevano tranquillamente due agnelli.

Non vorrei parlarne, ma spero serva a qualcosa

L’altro giorno, parlando con un amico, anche lui concordava che, sulla questione lupo, avevamo già detto e scritto abbastanza. “Ormai si sa come la penso…“. Proprio così, abbiamo ripetuto all’infinito le nostre idee e adesso basta, perchè tanto con la maggior parte delle persone non si riesce ad instaurare un dialogo costruttivo, ma si finisce subito ad urla ed insulti senza voler analizzare il problema fino alle radici.

Oggi però ne parlo perchè, nonostante le mille parole, occorre farne ancora. Sapete qual è uno dei problemi? Pensare che il lupo non arrivi dappertutto. Mi fa male al cuore vedere immagini di bestie sbranate, continuano ad esserci predazioni nelle aree dove il lupo c’è da più di venti anni, nonostante la presenza dei pastori, l’utilizzo di cani da guardiania e di recinzioni notturne. Ovviamente ci sono dove il lupo sta pian piano arrivando e non si è ancora attrezzati a dovere. Non si può credere che… “da noi non penso che arrivi.Di valle in valle, arriva, arriverà, c’è già e non lo si vede fin quando poi succede qualcosa.

Io lo ripeto da anni agli amici che ancora hanno animali al pascolo incustoditi. Che “mettono su” le capre come una volta. Magari non succede niente, magari in autunno ci sono tutte, ma se invece si va a cercarle e non le si trova più? O se si trovano le carcasse? Lo so che per molti l’alternativa sarebbe non tenere più queste capre o queste pecore, perchè è impossibile per loro passare la stagione in alpeggio. Ma bisogna unire le greggi e avere un pastore che le sorveglia. Non sempre questo è fattibile. Ci sono costi aggiuntivi. Ed è questo che bisogna far sentire, è questo che devono prendere in considerazione quelli che hanno potere decisionale. I pastori, gli allevatori, non hanno bisogno di “essere adottati”, ma di qualcosa di più concreto.

E’ tutta l’estate che ricevo vedo passare sui social foto di animali predati, ascolto e leggo le storie di chi ha subito gli attacchi. Era giugno quando Barbara e Alessio mi scrivevano così: “Questa mattina mi sono recato a controllare le mie capre in alpeggio nel comune di Perloz (AO) come faccio tutti i giorni. Le capre si trovavano all’interno di un recinto elettrificato, ma al mio arrivo quello che ho trovato è stato solo il corpo di una capretta (nata quest’inverno a febbraio) dilaniato e divorato per metà (come si vede dalle foto). Le altre capre, per fortuna, son riuscite a scappare e le ho ritrovate dopo ore di ricerca a ben 4/5 km di distanza visibilmente spaventate. Tra le sopravvissute due capre risultano ferite dall’attacco: una capra ha letteralmente un “buco” in pancia mentre l’altra (una capretta nata anche lei a febbraio) ha subito delle morsicature a livello dell’arto posteriore sinistro. Dopo aver contattato il Corpo Forestale dello Stato, una guardia forestale è venuta a verificare l’accaduto e ha affermato che molto probabilmente si tratta di un attacco da parte di lupi…

Alessio mi aveva scritto, avevamo parlato di cani da guardiania, di quello che io ho imparato sul campo in questi anni o che ho sentito confrontandomi con tanti allevatori. Ho visto che, proprio alcuni giorni fa, ha pubblicato questa foto, quindi adesso le sue preziose capre, allevate con passione e anche vincitrici di premi in occasione delle Battaglie, hanno un guardiano in più. Tutti dovrebbero dotarsene, ma dovrebbe esserci una vera assistenza agli allevatori da parte di chi salvaguarda il lupo. Visto che continua l’opposizione a metodi di difesa attiva, che almeno vengano forniti a tutti gli allevatori che ne fanno richiesta, cani adeguati e reti idonee. O no? Poi ci saranno cani da guardiania ovunque in montagna e gli escursionisti si lamenteranno, ma siamo sempre lì… chi ha più ragione di lamentarsi? I pastori che lavorano e si trovano le bestie sbranate o quelli che vanno a fare le passeggiate la domenica?

In questi giorni invece è Alessia a scrivermi, disperata. Dei suoi amici che stavano facendo dei lavori in montagna, dall’elicottero hanno scattato questa foto sui pascoli dell’alta Val Sesia, dove c’è il gregge del suo fidanzato. Hanno poi avvistato una cinquantina di pecore, segno che il gregge era disperso e diviso.

Gli animali erano incustoditi. Quando Davide è salito, ha trovato il “solito” spettacolo a cui troppe volte tocca assistere. Non si tratta di un caso dubbio, direi proprio che la predazione è da attribuire al lupo per come l’animale è stato consumato: lo stomaco tirato fuori e intatto, tutta la parte centrale mangiata, le cosce quasi integre, ormai i predatori erano sazi.

Gli animali sono stati presi nel collo, uno dei segni che fa attribuire la predazione al lupo. Mi fa male vedere queste cose, e mi arrabbio. Mi arrabbio perchè anno dopo anno siamo sempre lì, a ripetere le stesse cose. Così mi scrive Alessia: “Le lasciamo da sole perché non abbiamo altre scelta, io lavoro e lui deve stare dietro le vacche e le capre con lo zio in un altra montagna. Fino adesso non avevamo avuto nessun problema, anche altri ragazzi che hanno le pecore qui le lasciano da sole, però dovremo cambiare sistema per forza.

Io lo capisco che è un problema e un costo non da poco cambiare sistema, so cosa vuol dire e sono preoccupata per i piccoli allevatori, quelli che davvero tengono viva la montagna. Questo gregge contava 143 capi (139 dopo l’attacco, tre morte – tutte e tre gravide – e una dispersa), una persona non si paga lo stipendio a badare a così pochi animali tutta l’estate. Bisognerà metterle insieme a quelle di qualcun altro, ci saranno comunque spese e non si potranno più pascolare gli alpeggi come prima, perchè dove passano 150 pecore magari non si riesce a passare con 3-400. Bisognerà portare in alta quota le reti e altre attrezzature (costo dell’elicottero), magari lassù non c’è nessun ricovero abitabile per un pastore…

L’altra cosa che mi fa arrabbiare è ascoltare Alessia che mi racconta cos’è successo quando ha interpellato le autorità preposte ai controlli. Lo potete leggere anche qui in questo articolo: “…chi avrebbe il compito di salire a vedere le pecore morte, ha trovato la scusa della strada troppo lunga per raggiungere il posto (…)“. Quindi nessuno è andato a fare il sopralluogo, nessuno ha certificato che fossero davvero lupi. I giorni passano, sulle carcasse si ciberanno corvi e altri animali… E poi, senza voci ufficiali a fare chiarezza, ci sarà chi dirà che sono cani randagi, chi affermerà che è una scusa dei pastori per prendere soldi e via discorrendo. Continuano a ripetere che i pastori devono imparare a convivere con il lupo, ma cosa fanno perchè si provi ad attuare una convivenza? E i pastori non vogliono l’elemosina, non vogliono la pietà di nessuno. Vogliono che venga riconosciuto il loro ruolo, il loro lavoro e… vorrebbero poter lavorare in pace. Faticando come fanno da sempre, ma adesso che ci sono i predatori, vorrebbero poter difendere il loro gregge. Non si chiede di sterminare i lupi, ma di potersi difendere quando si assiste all’attacco.

Nel 1700 in questo villaggio c’erano 700 capre

Dire capre valdostane per molti vuol dire capre da battaglia. Per chi non sa nemmeno cosa siano le battaglie delle capre, è praticamente impensabile che si allevino delle capre senza mungerle. Ma oggi nella maggior parte degli allevamenti di questi animali abbiamo una situazione che sicuramente non esisteva in passato.

Sono salita a Graines, una frazione di Brusson. Dal fondovalle uno non immaginerebbe che esista un posto simile. Si sale per alcuni tornanti nel bosco e si esce in una sorta di radura, dominata dal castello che si affaccia sulla parte bassa della vallata.

Questo è Graines, dove c’è la casa di Henry e della sua famiglia. “Una volta era diverso, non c’era tanto bosco. Qui di capre ce n’erano centinaia, 700 nel 1700. Le capre si tenevano per il latte, mica per altro. Le battaglie sono una cosa che è nata negli anni Ottanta, hanno fatto un’amichevole a Perloz. Le porto anch’io qualche volta, da quando c’è la cosa delle battaglie, ci sono 4-5 ragazzi che hanno preso le capre, gente che prima non le aveva. Però le capre per me devono avere latte, non mi piace vedere capre che non ne hanno nemmeno per il capretto!

E’ Henry che mi racconta queste cose. Lui vive quassù, d’inverno scende, ma gli animali restano qui, a 1400m. “Prima avevo anche qualche mucca, ma da quando è mancato mio papà ho solo più le capre. Ho delle valdostane e degli incroci, le mungo e consegno il latte al caseificio di Brusson, che è l’unico in valle a ritirare latte di capra. Fanno formaggi puri e misti, siamo in quattro a conferire latte di capra. Passa il camion a ritirarlo due volte al giorno.

Quelle asciutte le pascolo tutto l’anno, le altre un mese dentro quando partoriscono. Qui è ben esposto. Di notte le ritiriamo, di giorno o sto al pascolo insieme o sono vicine alla strada. Una volta d’estate le asciutte le lasciavo libere su in alto, poi ci sono stati problemi con i cani. Adesso c’è il lupo, li hanno visti e ci sono stati attacchi nelle valli intorno.

Una volta le capre valdostane non avevano le corna tanto lunghe come adesso. Qui nella baita c’erano ancora corna delle capre del bisnonno e non erano come quelle delle capre di adesso!“.Henry mi porta dal gregge, poco sopra alla frazione. Le capre sembrano attenderlo accanto alla strada, c’è il sole e torneranno al pascolo quando farà più fresco. Il latte viene ben pagato, ma non è sufficiente per mantenere la famiglia, lui d’inverno va anche a lavorare agli impianti da sci.

Tengo le capre perchè qui è il posto giusto per allevarle, poi mi piacciono come animali. Mi piace portarle alle battaglie, anche se adesso c’è troppa concorrenza, non è più una bella festa come una volta. Non sono di quelli proprio accaniti, ma se vincono è bello. La soddisfazione è avere animali belli grassi in autunno. Per me una bella capra deve appagare l’occhio e avere una buona produzione di latte.

Una transumanza a fine luglio

Ultimo giorno di luglio, ma al mattino il tempo era tutt’altro che estivo. Qualche goccia, aria fredda. “Se vieni domenica è perfetto, – mi aveva detto Camillo al telefono – saliamo all’alpeggio alto!“. Una transumanza di sole capre non l’avevo ancora mai seguita. Il gregge lo incontriamo per la strada, ancora sull’asfalto, c’è tutto il tempo per superarlo, andare a bere qualcosa di caldo, mettere gli scarponi, chiudere lo zaino e prepararsi alla salita.

Quando il gregge arriva, il tempo è già migliorato. La speranza è quella di riuscire ad arrivare a destinazione senza prendere pioggia. Non si fa sosta qui nella piana, si va avanti, c’è ancora un lungo tratto impegnativo da affrontare prima di arrivare a destinazione.

Nei mesi precedenti il gregge ha pascolato altrove, ma il cuore della stagione sarà lassù, alle quote maggiori. Si farà tappa nel fondovalle solo in autunno. Nonostante il tempo incerto e l’aria fredda, c‘è un buon numero di turisti e molti vengono a fotografare le capre.

Ci sono animali di sei diversi proprietari, la maggior parte sono di razza valdostana, alcuni capi sono davvero notevoli. Il valore di queste capre sta nella loro bellezza, nella passione che i proprietari hanno per questa razza, e nella tradizione della “battaglia delle capre”. I dialoghi di chi accompagna la transumanza sono spesso incentrati sugli animali: se ne ricostruisce la genealogia… Non soltanto l’albero genealogico della capra, ma anche il nome del proprietario del padre o della madre!!

Dove finisce la strada sterrata si scaricano dal furgone alcune capre e capretti che avevano avuto difficoltà nel seguire la transumanza su asfalto. Di lì in poi, tutti a piedi! Qualcuno è già andato avanti per preparare le reti intorno alle baite e… il pranzo di fine transumanza!

Dalla cartina già si vedeva che ci aspettava un bel sentiero tortuoso per arrivare a superare la bastionata rocciosa e salire in quota. L’aria è fresca, saranno gli animali a fare il passo, si procede abbastanza velocemente. Uno davanti, gli altri dietro a controllare che nessun animale si attardi, specialmente i capretti più piccoli.

Il sentiero è ben battuto, molto frequentato. Le capre conoscono la strada, vengono qui da anni, e potrebbero quasi essere lasciate sole, sarebbero in grado di arrivare a destinazione senza problemi.

Per un po’ si sale nel bosco di larici. Si cammina a passo sostenuto, nonostante la salita gli animali in testa non accennano a rallentare, mentre gli ultimi fanno un po’ più fatica e, ogni tanto, occorre incitarli.

Il gregge raggiunge alcuni escursionisti, altri ancora raggiungono e superano il gregge. E’ un percorso davvero molto frequentato, ci sono alpinisti da tutto il mondo, salgono al rifugio per prepararsi ad affrontare la scalata al Gran Paradiso o alle altre cime che presto ci appariranno davanti.

I larici finiscono, iniziano i pascoli, inframmezzati da moltissime rocce. Siamo ad alta quota, non c’è tantissima erba, ma è quel che ci vuole, a questa stagione, per le capre. Un tempo venivano lasciate libere e sapevano loro andarsi a scegliere i pascoli migliori. Da alcuni anni, con la ricomparsa del lupo, è dovuta cambiare radicalmente la gestione. Anche questo gregge, in passato, è stato vittima di pesanti attacchi.

Si devia dal sentiero principale seguendo una traccia meno marcata, dovremmo quasi essere in vista dell’alpeggio. Dove potrà essere, quassù, un alpeggio? Siamo ad oltre 2400m di quota. Si passa tra i blocchi di roccia staccatisi dalla parete sovrastante. Le capre si muovono agilmente su qualsiasi terreno, anzi! Le rocce sono un piacevole diversivo su cui salire!

C’è un ponticello in legno per superare il ruscello, è un buon punto per ammirare la sfilata degli animali. I pastori continuano a ripetere che siamo arrivati (e intanto commentano questa o quella capra!).

Moncorvè è lì, in quella che potrebbe essere definita una piccola conca. Molto piccola, quasi una specie di balcone sul salto di rocce sottostante. Due vecchie baite, una cascata, un torrente che attraversa il “piano”. Arriviamo con il sole, ma il maltempo è in agguato.

Bisogna tirare le reti per impedire che le capre si allontanino troppo in quelle prime ore. Erba ce n’è in abbondanza e avranno tempo per pascolarla man mano nei giorni e nelle settimane successive.

Meritava venire fin quassù anche solo per scattare una serie di immagini del gregge con i ghiacciai sullo sfondo. Bisogna fare in fretta anche con le foto, perchè il tempo sta cambiando rapidamente.

Volevo immortalare anche tutto il gruppo che ha accompagnato le capre, ma sembra impossibile riunirli per uno scatto! C’è chi sta facendo scaldare il pranzo, ci apparecchia tavola, chi ha tirato fuori i teli da mettere sulla baita. Proprio mentre si cercherà di tirarli ed assicurarli con le corde, inizierà a piovere. Si mettono tutti gli zaini al riparo e si finisce di legare le corde, poi tutti a tavola per un ricco pranzo.

Passano le nuvole, soffia di nuovo il vento. Le capre hanno trovato il posto dove stare. A tavola si parla di lupi, delle pecore che in valle sono sparite, nessuno più le alleva, di iniziative per aiutare gli allevatori di montagna, si raccontano aneddoti delle passate stagioni… Purtroppo però è arrivata l’ora di scendere a valle. Entro sera se ne andranno quasi tutti, solo uno resterà a pascolare e sorvegliare il gregge fino alla fine della stagione.

La salita al seguito del gregge non era stata dura, scendere in “solitudine” invece rende più l’idea del percorso compiuto lungo il tracciato. A Pont la fienagione è stata interrotta dalla pioggia, ma il bel tempo arriverà nei giorni successivi.

Capre (e non solo) in alpeggio

Mentre ero in Val d’Aosta, oltre ad intervistare aziende in cui si alleva e si caseifica, sono anche andata a cercare capre in alpeggio. La prima “gita” mi ha riportata su sentieri che avevo già percorso in passato con una transumanza. Il gregge era sicuramente su, avevo visto foto su facebook pochi giorni prima.

E’ una bella giornata di sole, nel fondovalle si irrigano i prati con le girandole e le vacche sono al pascolo. Sul sentiero si incontrano numerosi turisti, è sabato e questo è un percorso molto frequentato, sia per le escursioni, sia per l’alpinismo.

La fienagione è in corso, sono previste piogge per l’indomani, quindi è meglio affrettarsi a ritirare tutto il fieno già secco. Il sentiero intanto sale tornante dopo tornante, questa è un’antica mulattiera, siamo nel Parco del Gran Paradiso. Ogni tanto qualche traccia, un po’ di lana attaccata alle spine o sulla corteccia di un larice.

Nei primi pascoli che si incontrano dopo il bosco, l’erba non è quasi stata mangiata. Finalmente le pecore le vediamo molto più su, sul versante, proprio dove passa il sentiero. Così la marcia continua fino a raggiungere il gregge: pecore biellesi e capre valdostane. E’ lo stesso gregge che già avevo accompagnato due anni fa.

Anche il pastore lo conosco, è Davide, che in passato mandava quassù gli animali in guardia, ma adesso è lui a sorvegliarli in prima persona. “Sono sette anni che le mando qui… Le capre stanno sempre insieme alle pecore, anche giù d’inverno quando giro. Oggi ho sbagliato a venire a pascolare qui, c’è troppa gente sul sentiero!” E il gregge, sotto il sole, si ferma “a mucchio”, andando ad invadere proprio un tratto di sentiero. La gente si ferma, guarda, fa foto, commenta in tutte le lingue.

Anche nel Biellese c’è la passione per le capre di razza valdostana, i territori non sono così lontani e poi, per l’appunto, capita che si venga a passare l’estate sulle montagne della vallèe. Nel Biellese però queste vengono allevate soprattutto per bellezza e per passione, senza che vengano portate alle battaglie come invece accade in altre zone del Piemonte.

Lentamente il gregge si sposta e finirà poi per pascolare sopra all’alpeggio. Il tempo cambia, arrivano le prime nuvole, i turisti cominciano a scendere. C’è invece qualcuno che sale con gli asini… arriva anche Enrico, così posso andare a salutarlo e scambiare quattro chiacchiere. Mi racconta della sua avventura che prosegue con le capre camosciate nelle colline di Roccaverano, di progetti per il futuro anche per l’alpeggio, sempre con capre, ma razze più rustiche della camosciata.

Sarebbe davvero bello che questo alpeggio, collocato in un luogo meraviglioso, potesse tornare anche a produrre formaggi. La posizione è perfetta, con il sovrastante rifugio e il flusso continuo di turisti. Salutiamo Davide ed Enrico, è ora di rientrare, qualche goccia di pioggia cadrà sulla via del ritorno… La speranza era quella di avere bel tempo per il giorno successivo, altro alpeggio, altre capre…

Le guardo e dico: “Siete voi la mia famiglia!”

Quando avevo contattato Eliana, mi aveva poi richiamata per dirmi che, vicino a lei, c’era un’altra capraia e sarebbe stato bello che avessi intervistato pure lei. Sicuramente quindi non si trattava di un caso di gelosia e competizione tra concorrenti che praticano lo stesso mestiere! Terminata la chiacchierata con Eliana e la visita alla sua azienda, infatti mi ha accompagnato dalla sua amica in una frazione poco più sotto.

Laura era al pascolo, gli animali erano ancora vicino alla stalla. “Io ed Eliana siamo proprio amiche, c’è condivisione lavorativa e personale, è un bel supporto. Siamo due donne e facciamo questo lavoro da sole, abbiamo dovuto affrontare il mondo maschile degli allevatori di bovini. Nei nostri confronti c’è anche… un po’ di invidia, perchè ce la stiamo cavando bene!

I miei genitori hanno sempre avuto le mucche, da ragazzina io già venivo qui al pascolo con manzi e vitelli. Ho fatto le mie esperienze, poi sono tornata. Mio fratello aveva preso lui l’azienda di mio papà e ho iniziato a lavorare con lui. Il giorno della fiera di Valpelline il papà è arrivato con due capre. Quando sono arrivata ad averne 20 mi sono dovuta mettere per conto mio. Questo è il quarto anno. Ho saanen e incroci. Sto al pascolo con loro, mungo, faccio i formaggi. Il caseificio ce l’ho più a valle dove abito e dove ho la stalla d’inverno.

Facendo formaggio e stando al pascolo, ho scelto di inserire le erbe nel formaggio, quelle che raccolgo io, ma sto incontrando grossi problemi a farmi autorizzare la procedura, sarebbe più facile se comprassi le erbe confezionate al supermercato! I miei prodotti li vende mio fratello che ha il punto vendita sotto la diga di Place Moulin qui a Bionaz, poi d’autunno faccio qualche mercato e fornisco dei negozi. Sinceramente è un reddito di sopravvivenza, ma mi permette di poter stare in questo ambiente. Io sono nata così, ma l’ho scoperto solo facendo altro.

Stare con loro è una soddisfazione. Le guardo e dico: <<Siete voi la mia famiglia!>> Quando mi fanno arrabbiare penso di cambiare lavoro, ma poi al pensare di non averle… mi viene da piangere. E’ un lavoro che ti lega e sei sempre da solo. Io sto bene con me stessa, ma ogni tanto hai bisogno di prenderti la tua boccata di casino… Adesso la tecnologia ti aiuta, quando non ti passa, telefoni a qualcuno. Oppure leggi un libro, ho sempre un libro nello zaino.” Solo due capre sono rimaste con Laura, mentre chiacchieravamo le altre si sono allontanate nel bosco. “Non ho più vent’anni! Quando mi fanno correre, a volte mi siedo e le lascio andare…“. Questa volta però Laura parte a passo spedito lungo il sentiero per andare a recuperare il suo gregge, prima che si allontani troppo verso i pendii più ripidi.