Due (tristi) storie di Natale

Chissà perchè, ma sotto Natale tutti gli anni mi tocca raccontare delle storie per niente belle. L’anno scorso c’erano le capre che pascolavano ancora fuori, visto che non nevicava, e i lupi le avevano disperse… Quest’anno invece i lupi hanno due gambe, si chiamano burocrazia, ottusità, mancanza di buon senso… trovate voi altre definizioni.

(foto S. De Bettini)

(foto S. De Bettini)

Ho due storie da raccontarvi: la prima è una richiesta di aiuto da parte di amici di vecchia data, che mi raccontano cosa si trovano a vivere da un mese a questa parte, cioè da quando l’alluvione di fine novembre ha colpito duramente la strada che porta alla loro casa/azienda agricola.

(foto S.De Bettini)

(foto S.De Bettini)

Così mi scrive Sasha: “Ti contatto a seguito di grossi problemi che abbiamo inerenti ai danni che abbiamo avuto in seguito all’alluvione, la nostra situazione è critica e stiamo cercando perlomeno di farci sentire, se per caso tu avessi voglia di scrivere qualcosa…” Su queste pagine la porta è sempre aperta per tutti. Non posso aiutare concretamente, ma almeno dar voce ad amici allevatori, quello sì, sempre volentieri!

(foto S.De Bettini)

(foto S.De Bettini)

La situazione è la seguente: la nostra strada è pista agrosilvopastorale, non comunale, gestita da consorzio. È franata malamente, soprattutto in un punto. Abbiamo rappezzato un minimo, a spese nostre, giusto per poter passare. Ieri mio papà, presidente del consorzio, ha ricevuto una lettera dal Comune in cui gli si dice che ha 7 giorni di tempo per provvedere alla messa in sicurezza (fatta come viene richiesta da loro, sono circa 50.000 euro di lavoro), in caso contrario la strada deve venir chiusa con transenna e divieto e se qualcuno subisce danni mio papà ne è responsabile in prima persona.

(foto S.De Bettini)

(foto S.De Bettini)

Questo significa che non si può togliere la neve, portare su cibo per gli animali e quant’altro. Lungo questa strada risiedono 7 nuclei familiari, ci sono sei bimbi in età scolare, mio fratello ha mucche capre e un cavallo, i nostri vicini tra tutti hanno 10 cavalli (quindi immagina quanto fieno). Ovviamente siamo tutti arrabbiati e molto amareggiati, si fa tanto parlare di ripopolare la montagna, ma poi nella criticità ci si trova soli… Ti allego le foto della frana peggiore!“. Siamo a Torre Pellice, in via degli Armand, per la precisione. Cosa succederà ora? Cosa potranno fare??

(foto Cascina Soffietti)

Problemi di altro tipo, ma forse ancora maggiori, li ha Fabrizio. Allevatore e veterinario, residente a Murazzano, molti di voi lo conosceranno per le sue consulenze in ambito ovicaprino (era anche stato docente in un corso dedicato appunto agli ovicaprini, che avevamo organizzato in provincia di Torino e Cuneo). Murazzano, terra di formaggi! E la Cascina Soffietti ne produce eccome.

(foto Cascina Soffietti)

(foto Cascina Soffietti)

Purtroppo però le recenti abbondanti nevicate e la pioggia successiva hanno portato al crollo della stalla. Ho letto la notizia qui. Per fortuna il numero di capi deceduti è stato relativamente basso, ma Fabrizio lancia un grido di disperazione dalla sua pagina Facebook. “…che situazione! Ho un buon prodotto, una buona organizzazione, sono l’unico che a Murazzano riesce a tenere una produzione decente anche in inverno con una buona percentuale di latte ovino… un allevamento di pecore delle Langhe di quasi 250 capi in pochi anni… eppure mi vedo costretto ad chiudere la mia attività perché le amministrazioni che da 20 sono a Murazzano mi continuano a fare solo promesse…

(foto Cascina Soffietti)

Fabrizio mi spiega che i terreni li avrebbe, ma il Comune gli nega l’autorizzazione per edificare una stalla. “Mi trovo costretto a… o chiudere, o trasferirmi. Esiste qualche altro Comune che vuole un’azienda come la mia e mi dia la possibilità di sviluppare l’allevamento ovino? …ed avere inoltre un veterinario sul proprio territorio??!!! Datemi una mano!!! A Murazzano non posso più vivere!

(foto R.Ferraris)

(foto R.Ferraris)

In questa immagine vediamo Fabrizio insieme al suo gregge durante un’attività di promozione del territorio. E’ paradossale che ciò avvenga in un Comune territorio di una delle DOP piemontesi. “Io ho personale e svolgo una professione…“, sottolinea, per evidenziare la dimensione reale della situazione.

(foto Cascina Soffietti)

(foto Cascina Soffietti)

Fabrizio cerca quindi un luogo dove trasferirsi al più presto, lui ed i suoi animali: 265 ovini, 50 caprini e 10 bovini. Se qualcuno potesse/volesse aiutarlo, contattatelo su Facebook (Fabrizio Veterinario Barbero) o attraverso il sito della sua azienda Cascina Soffietti. Spero, molto prima del prossimo Natale, di avere modo di raccontarvi il lieto fine di queste due tristi storie.

PS del 23/12/16. Dopo numerose segnalazioni di miei lettori sulla seconda delle due storie, per correttezza vi invito a leggere questo articolo dove viene presentato anche il punto di vista del Comune.

Purtroppo non era una bufala…

E siamo arrivati a settembre, un’altra stagione è passata, ormai si contano i giorni per scendere dall’alpeggio, chi prima, chi dopo. La siccità è stata interrotta dalla pioggia, le sorgenti hanno ripreso ad avere acqua per riempire gli abbeveratoi, l’erba si è un po’ ripresa. Gli altri problemi sono stati bene o male quelli di sempre, compresi i lupi, sui quali si continua a fare tante parole. La novità del 2015, per lo meno in Piemonte, è stata (ad inizio stagione) quella che riguardava alcuni degli speculatori che si accaparravano i pascoli.

…ma non era che la punta dell’iceberg! Perchè la montagna di Heidi è ormai solo più una favola, o forse non è mai esistita. Fare e sentire certi discorsi, scoprire certe cose circondati da un panorama del genere pare impossibile. Viene quasi da provare a darsi un pizzicotto per capire se si è svegli. Smascherata una truffa, ce ne sono cento altre. Pascoli alpini affittati a “imprenditori” di tutta Italia. Quelli che erano pascoli, o addirittura territori dove mai nessuno ha portato animali, inseriti in domande che dovrebbero fruttare contributi grazie allo sfalcio (!!!!). E avanti così, oltre ogni limite di immaginazione!

E poi ci sono le bufale! E qui il gioco di parole sorge spontaneo, perchè non si può che immaginare che sia una bufala la notizia che un’azienda del centro Italia affitti un alpeggio sulle Alpi piemontesi per monticare… delle bufale, appunto! Una montagna ripida, con poca acqua e nessuna strada per raggiungerla… E invece no, è tutto vero, anche se alla fine le bufale a quattro gambe, con corna e coda, lassù non si sono viste. Altro che la pace, la serenità, gli ambienti incontaminati. Quando si parla di eco-mafie, alla fine si intende anche questo, e sono cose che succedono intorno a noi, nei luoghi che meno ci aspettiamo.

E così alla fine rimangono pascoli… non pascolati! Per un motivo o per l’altro (e le bufale, e nuovi vincoli, e lo sfalcio che ovviamente non viene fatto, e gli arresti che ci sono stati…) l’erba resta in piedi. Il “pascolo” quindi non è più tale e, anno dopo anno, come tutte le cose non utilizzate o mal utilizzate, perderà le sue caratteristiche e andrà degradandosi. Tutto questo in nome dei soldi, i troppi soldi che girano e che fanno sì che dei territori poveri, dove i vecchi hanno sempre fatto delle grame vite per gestirli, per trarne un magro (ma dignitoso) sostentamento, oggi invece siano teatro di speculazioni con risvolti internazionali. E’ questo il progresso?

Per fortuna che, a forza di salire lungo la strada, qualche alpeggio vero lo si incontra ancora. Animali al pascolo, fili tirati, cani che accompagnano e difendono il gregge di capre dagli attacchi dei lupi. Anche questi cani, quassù, sono stati oggetto di forti polemiche, c’era chi addirittura voleva vietarli o limitarne il numero. Situazioni paradossali! Da una parte c’è chi accusa i pastori di non sapersi difendere dal lupo e usa come argomentazione proprio l’insufficiente numero di cani, dall’altra chi vuole una montagna “turistica” preferirebbe non dover fronteggiare le problematiche collaterali che la presenza dei cani comporta.

Quante parole, quante vicende dietro a questa realtà. Fatico a farmene una ragione io, che bene o male questo mondo lo conosco sotto diversi punti di vista. Come può crederci chi invece di questa realtà vede solo la facciata? La bellezza di un’immagine, di un panorama arricchito dagli animali al pascolo o che si riposano mentre ruminano?

I montanari sono gente tosta, ma un conto è resistere alla neve, alle slavine, alle frane, un conto è addomesticare i versanti, renderli coltivabili, abitabili, ma lottare contro questi ostacoli evanescenti, fatti di carta, di documenti, di cifre, di sigle? Sempre più spesso mi chiedo quale sia il destino degli alpeggi, degli allevatori, specialmente quando ogni giorno se ne sente una nuova, tra problemi di burocrazia, costi, scandali, truffe. La fatica e il lavoro quotidiani, le esigenze degli animali da soddisfare sembrano quasi essere compiti semplici e lievi, messi a confronto con tutto il resto. Si riuscirà a fare qualcosa, nei mesi che passeranno tra la transumanza di rientro a valle e il giorno in cui si ritornerà in montagna? E’ difficile essere ottimisti, con tutte le notizie che si vengono a sapere!

Quante battaglie per la battaglia!

Lo scorso anno la battaglia delle capre (chiamiamola pure “confronto” o in qualunque modo vi sembri più opportuno) aveva vissuto attimi di tensione per colpa delle contestazioni degli animalisti, giunti fin dal mattino a Lemie, nelle valli di Lanzo. Quest’anno i problemi principali sono stati altri.

All’ultimo momento si era dovuta spostare la sede da Lemie ad Usseglio, con non pochi disagi per gli organizzatori. Il Comune di Lemie è privo di amministrazione, c’è un Commissario, e questo non ha approvato la manifestazione. Gli organizzatori, non ricevendo risposte dal Municipio, alla fine hanno chiesto ospitalità al comune di Usseglio, che ha acconsentito, ma sia il pubblico, sia i partecipanti, forse hanno trovato più scomoda la sede, in testata della valle.

Al mattino c’erano pochi animali, la giornata era splendida, assolata, limpida, così meritava andare a fare un giro fin su a Malciaussia, attendendo la battaglia nel pomeriggio. Qui il gregge non c’era ancora, ma c’erano alcune pecore con gli agnellini, a poca distanza dalle baite del pastore. Quelli che non mancavano erano invece i turisti!

I pascoli intorno al lago sono ancora utilizzati. Al momento non c’erano ancora moltissime bestie, solo qualche bovino. La montagna però ha un “tocco in più”, quando ci sono gli animali! La battaglia delle capre iniziava nel primo pomeriggio, ma i turisti presenti al lago difficilmente potevano essere interessati. Sono incontri dedicati soprattutto agli addetti ai lavori, agli appassionati. Sempre da queste parti, nelle prossime settimane, si terrà la fiera della Toma, manifestazione in cui il lato gastronomico è invece in grado di attirare un maggior numero di persone.

Scendendo lungo la stretta strada asfaltata, sotto alla diga, c’è una mandria di vacche piemontesi che si godono il riposo pomeridiano ruminando. Chissà se è arrivata altra gente per la battaglia? E’ un peccato che queste manifestazioni debbano incontrare così tanti problemi: a volte sono dissidi interni tra gli allevatori, a volte è la burocrazia, ma così si disperdono forze ed entusiasmo, con il rischio di non riuscire più ad organizzarle.

La battaglia è in corso. Gli animalisti si sono di nuovo fatti vedere in mattinata, mi viene riferito: hanno fatto le solite domande e se ne sono andati. Se fossero davvero appassionati di animali, capirebbero che molte delle capre presenti sono quelle dello scorso anno, quindi… Le battaglie non sono così nefaste per la loro salute! Un vero “animalista”, chi a queste bestie dedica la propria vita, le riconosce da un anno all’altro!!

Alcune capre sono state messe all’ombra sotto ad alberi e cespugli, per altre sono stati predisposti degli ombrelloni. Ogni tanto viene effettuata una pausa nel confronti per abbeverare gli animali con acqua fresca. Purtroppo non c’è molto pubblico, nonostante la bellissima giornata. Tutti i vari fattori elencati in precedenza hanno rovinato in parte la manifestazione.

D’autunno e in primavera sicuramente c’è più seguito anche perchè adesso molti allevatori sono in alpeggio. E’ vero che parecchi appassionati di capre (e di battaglie) non sono pastori e/o margari, ma svolgono un altro mestiere e tengono qualche capra proprio semplicemente per passione, ma anche tra questi molti mandano gli animali in montagna d’estate, quindi farle partecipare a questi incontri è complicato e impegnativo.

C’è però da augurarsi per il futuro che non debbano più succedere inconvenienti come quello che ha visto gli organizzatori alle prese con queste assurdità burocratiche. Non autorizzare una manifestazione del genere, in un paese di montagna, mi sembra ridicolo. Arrivederci ai prossimi appuntamenti!

Quel ritardo che paghi per tutta la stagione

La scorsa settimana sono andata a trovare il Pastore. Da quando è salito, ogni tanto mi aggiorna sulla situazione, ma la “musica” è sempre la stessa. Erba troppo alta, dura, vecchia, e le pecore mangiano male. Si sa che pastori, agricoltori, sono tutte “razze” che si lamentano spesso e volentieri, ma in questo caso non posso dargli torto.

Quando arrivo, i pastori stanno faticosamente cercando di far scendere il gregge. Per qualche giorno aveva pascolato in alto, per mangiare erba buona almeno lì, per non farla invecchiare anche lassù, ma adesso bisognava tornare indietro. Gli animali non sono stupidi, così non hanno voglia di lasciare l’erba bassa e tenera che si pascolava in quota.

In questa stagione non si dovrebbe scendere, si dovrebbe salire!! Così questo spostamento è estremamente faticoso: chiama, fischia, fai abbaiare i cani, è necessario un paio d’ore per avviare il gregge e portarlo fin giù alla strada asfaltata. Oltretutto il sole splende implacabile, ma c’è una bell’arietta fresca.

Finalmente il gregge passa il primo impluvio e la fila si allunga. Sembra davvero un controsenso dover scendere. Non ho ancora visto il Pastore, è lui a chiudere la fila, con i cani che abbaiano a tutta forza cercando di radunare il gregge che continua ad allargarsi per pascolare lassù, sopra alle rocce, tra i larici.

Non è facile, questo spostamento. Non si possono lasciar andare le pecore ovunque, il pendio qui è ripido, potrebbero rotolare delle pietre. Non si può passare troppo in fretta il secondo impluvio, perchè i pascoli intorno alla strada verranno pascolati più avanti da un altro pastore. Sembra semplice, la vita d’alpeggio!

Finalmente giù per la strada! Bisogna far avanzare velocemente il gregge, dietro ci sono alcuni agnelli piccoli, il Pastore ha l’ultimo nato nello zaino. Lo spostamento non è lungo, il peggio ormai è passato, ma si è trattata di una discesa davvero faticosa. E per cosa poi? Per andare a tribolare giù in basso, dove le pecore pascoleranno malamente. Ma tutta la stagione è partita nel modo sbagliato e continuerà così…

Il gregge viene fatto salire nel bosco, dovrebbe esserci erba più fresca, ma il Pastore scuote la testa. Andiamo a prendere le macchine, con una viene fatto il giro per portare le reti a destinazione, per fortuna c’è una pista sterrata che arriva fin dove verrà fatto il recinto per la sera. Le pecore si spostano avanti e indietro, evidentemente non sono soddisfatte del pascolo.

Escono dal bosco e si gettano nel pascolo, sparendo letteralmente nell’erba altissima. Tutto questo non va bene, ma al gregge è stato impedito di monticare prima, quando sarebbe stato il momento giusto. Non si possono stabilire date per queste cose, o meglio, bisognerebbe farlo lasciando poi un margine di discrezione. Non tutte le annate sono uguali, quest’anno il clima sempre più anomalo ha fatto sì che l’erba sia cresciuta presto, poi è tornato il freddo, si è bloccata ed è invecchiata rapidamente.

Insomma, salendo una quindicina di giorni prima, il gregge avrebbe trovato erba più corta, avrebbe iniziato a pascolare andando di seguito, il Pastore avrebbe faticato meno, l’erba sarebbe stata pascolata meglio, con beneficia sia per gli animali, sia per il pascolo stesso. Adesso il gregge resterà in questa zona per qualche giorno, poi si prevede di tornare nel vallone che era stato pascolato all’inizio, nel mese di maggio: “…ma l’hanno mangiata male già allora, quindi sarà uno schifo e io continuo a tribolare! Mi avessero lasciato salire prima, la mangiavano bene, pulivano tutto, e io la pascolavo tre volte come si deve.

Le pecore continuano ad andare avanti e indietro, bisogna fermarle continuamente con i cani, non si fermano nemmeno per ruminare nelle ore centrali. “Domani le chiudo nel recinto, che stiano lì, altrimenti non ci lasciano nemmeno fare pranzo!! Così pascolano meglio al mattino e poi al pomeriggio/sera.” Adesso è tutto verde e non si nota, ma quanta erba non pascolata resterà indietro, schiacciata a terra?

Ecco l’ultimo nato, un po’ in ritardo rispetto alle “previsioni”. Non deve più partorire nessuna pecora per tutta la parte centrale della stagione, soprattutto quando il gregge sarà nei pascoli più alti, o ci sarà troppo da faticare per i pastori.

Verso sera le pecore non hanno ancora trovato un pascolo che le soddisfi. Mangiare hanno mangiato, ma hanno anche pestato tanta erba e nei prossimi giorni sarà sempre più difficile tenerle a pascolare da queste parti. Non è solo il Pastore a lamentarsi per l’erba alta schiacciata al suolo, anche altri amici mi raccontano situazioni simili, in altre vallate.

Mentre scendo, attraverso uno dei pascoli che il gregge aveva utilizzato nelle settimane precedenti. Non è questo l’aspetto, il colore che dovrebbe avere. Tutta quell’erba secca complicherà il pascolamento successivo. Ha proprio ragione il pastore, continuerà a faticare per tutto il corso della stagione. E pensare che sarebbe stato sufficiente dargli il permesso di salire una quindicina di giorni prima!

Ancora sul vivere in montagna

Vedo con piacere che questi post sulla montagna generano un bel dibattito. Penso che si potrebbe aprire un blog a parte! Però è già impegnativo a sufficienza aggiornare questo, quindi accontentiamoci di qualche riflessione ogni tanto. Volevo comunque continuare il discorso collegandomi anche ad un testo particolare che sto leggendo. Mi è infatti capitato tra le mani un manoscritto. Il suo autore, classe 1939, me l’ha consegnato affinché lo leggessi, lo trascrivessi e lo aiutassi a farlo diventare un libro. Pian piano mi sto facendo largo nelle pagine scritte con la penna stilografica, fitte fitte, senza mai andare a capo. E quelle pagine mi portano proprio in quella montagna di cui vi sto parlando.

Una montagna di muretti in pietra, fontane all’aperto dove si prendeva l’acqua, dove ci si lavava poco, ma spesso si era bagnati dalla pioggia che magari cadeva anche nel fienile dove si dormiva da bambini. Certo, oggi ci si potrebbe attrezzare diversamente, ci sono i mezzi per portare l’acqua in casa e scaldarla. Ma, da donna, dico anche che a certe comodità non rinuncerei, per esempio alla lavatrice, solo per fare un esempio. Non tornerei indietro al lavatoio… Una volta gli abiti si usavano fino alla fine, venivano lavati poco e cuciti e ricuciti: “…questi operai ritornavano al mattino presto con i suoi abiti puliti dalle sue famiglie, ma rimanevano tutto un punto cucito con gli aghi dalle donne, si vedeva solo il filo, ma non si conosceva più il velluto…“.

Qualcuno può fare scelte di vita estreme, ma se vai a vivere in posti del genere, non puoi più fare lavorare a mano come un tempo. Infatti per adesso sono abbandonati… Una volta di gente ce n’era di più, non c’erano certe spese. Adesso, se hai dei mezzi, che siano per il lavoro, che siano elettrodomestici, costano, si rompono, vanno aggiustati, serve denaro, non puoi dare patate o un formaggio in cambio. E poi c’è la burocrazia, che impone nuove norme sulle macchine agricole, mandando fuorilegge tanti vecchi trattori ancora funzionanti, tanto per fare un esempio.

Solo il pascolamento estivo salva questi posti dall’abbandono totale. Pecore, capre, vacche, salgono in alpeggio e ripuliscono i prati, molti dei quali un tempo probabilmente venivano sfalciati, oppure erano addirittura campi. Il problema ulteriore della “mezza montagna” è che alle quote intermedie magari non si riesce a trascorrere l’intera stagione, quindi il pascolamento avviene solo ad opera di animali di passaggio, che poi saliranno più in alto.

Chi sarebbe disposto ad usare solo più queste come vie di comunicazione? Certo, esistono pochi, sporadici casi, di persone che hanno fatto scelte simili. Altrimenti occorre una strada. Il sentiero va bene per la gita, ma quando ci vivi, il più delle volte senti l’esigenza di un altro genere di via di comunicazione, poter arrivare con un mezzo, poter trasportare ciò che ti serve. Sempre sul manoscritto che sto trascrivendo, il protagonista racconta una fuga di notte, sotto il temporale, la nonna davanti con due vacche alla corda, lui (4 anni) e la sorellina (2 anni), a cadere e scivolare sulle pietre bagnate. In un’altra occasione invece la nonna resta bloccata oltre il ruscello: “…e noi la vedevamo, ma lei era a distanza di una cinquantina di metri. Il ruscello in piena aveva persino straripato nel cortile, e rimanemmo a guardarla  fino a sera che questo consumò l’acqua e poi attraversò. (…) e accese il fuco del camino per scaldarci e ci diede qualcosa da mangiare…

Era così che si viveva in montagna una volta. Per non parlare del cibo… Avete mai letto “Il mondo dei vinti” di Nuto Revelli? Di fame la gente ne faceva non poca. Adesso magari non si farebbe più la fame, ma il XXI secolo ti insegue a qualsiasi quota, quindi… Come si diceva ieri, ci sono tasse da pagare e permessi da chiedere per qualunque cosa uno intenda fare. I pannelli fotovoltaici sul tetto e le centraline sono soggette a ben precise domande da presentare e pareri che qualcuno deve esprimere. Non ho molte esperienze dirette in materia, ma ricordo fin troppo bene anni fa un container di cui avevo usufruito anch’io come ricovero in alpeggio che era stato fatto portare via per “impatto ambientale”, anche se a trasportarlo in quota era stato un ente pubblico…

In definitiva, a parte la bellezza di questi luoghi in un giorno di sole, non posso non pensare alle grame vite che si sono fatte su di lì. Inutili abbellirle con la poesia. Avete letto “Lungo il sentiero”? La storia che narro è di fantasia, ma la realtà ne racconta di ben più tragiche. Penso quindi che, a parte qualche eremita che, da solo, compie una scelta di vita molto particolare, per tutti gli altri un ritorno alla montagna, con le norme che ci sono, è quasi impossibile a meno che si disponga di fondi illimitati.

Qui con poco non si vive. Infatti  persino certi alpeggi vengono abbandonati, perchè con i numeri di bestie che tocca avere oggi per vivere non bastano i piccoli, magri pascoli di certe località. L’erba cresce e ingiallisce, senza nessuno che la pascoli. Avanzano le felci e poi i cespugli. Crollano i tetti delle stalle e delle case. Case piccole, dove si viveva con poco/nulla.

Forse mi direte che sono pessimista, ma io mi sento soprattutto realista. Sentiamo parlare di “semplificazione”, ma persino in lavori “semplici”, come quelli agricoli, serve quasi una persona apposta solo per le scartoffie. Sarebbe quindi molto bello potersi ritirare in una baita come questa e dimenticare il mondo, ma non è possibile. Quello che sarebbe possibile e auspicabile sarebbe aiutare davvero chi resiste in quota. Invece no, sento continuamente storie al limite dell’incredibile raccontate da amici che hanno un’azienda agricola, ma rischiano di fallire per colpa di assurdità burocratiche, bastoni tra le ruote, tasse.

Vivere lassù, oggi?

Continuo a parlarvi di montagna, la montagna dell’uomo. A tutti sarà capitato di transitare accanto a singole case o veri e propri insediamenti completamente abbandonati. Quanti hanno pensato al vivere lassù? Lo si può fare in due modi diversi: ragionando su cosa significasse la vita in quei luoghi, oppure sognando di trasferirsi in un posto del genere.

Io appartengo soprattutto alla prima categoria. Mi piace avventurarmi da sola in quei luoghi, per non essere distratta dalle voci, per cercare di ascoltare quello che dicono le pietre. Molto poco, a parte delle date, dei nomi, a volte dei cognomi. Muretti a secco, pietre squadrate, piccole finestre con le inferriate, qualche mobile spaccato all’interno, legno che marcisce.

Sentieri le cui pietre sono arrotondate dai tanti passi che li hanno percorsi in passato. Muretti che li fiancheggiavano, che sostenevano terrazzamenti dove un tempo sicuramente si coltivava. Oggi crescono alberi e cespugli, le loro radici si abbarbicano al terreno, inglobando quei muretti. Nessuno ha più cura di quei viottoli, di quelle mulattiere. Oggi, se viviamo in un posto isolato, poi ci lamentiamo che il Comune non fa manutenzione alla strada, non viene a togliere la neve. Certo, potremmo farcelo noi, ma accidenti… Con tutte le tasse che paghiamo, vorremmo almeno ricevere in cambio qualche servizio essenziale!

Un tempo si facevano le roide, un tempo ciascuno aveva cura del territorio. Tutto serviva a chi non aveva niente. Si rastrellavano le foglie per fare gias, lettiera per gli animali in stalla. Se un sentiero franava, veniva sistemato subito. Oggi nessuno si prende la briga di sistemare anche solo una stradina, perchè poi se succede qualcosa dopo che hai fatto i lavori, sono responsabilità… E poi bisogna chiedere una perizia, un progetto, un’autorizzazione, un parere…

Chissà se oggi autorizzerebbero a costruire qui? Queste Barme sono un gioiello, ma che vita si faceva quassù? Piccole stalle al piano terra, misere stanze. Oggi nessuno vivrebbe più in quelle condizioni. Forse un eremita, ma non puoi pensare di ritirarti in luoghi del genere e vivere… Di cosa? Autosufficienza alimentare, quella bene o male magari è possibile. Ma oggi abbiamo tutti delle spese fisse da sostenere, e come ci si potrebbe mantenere, lassù?

Possiamo parlare finché vogliamo di ritorno (alla montagna, all’agricoltura), ma solo in pochi luoghi questo è fattibile e, secondo me, dove ciò accade, alle spalle ci sono appoggi e progetti ben strutturati. E disponibilità finanziarie non indifferenti. Tutto il resto è destinato a crollare. Perchè adesso non si può più vivere come una volta. Da una parte è difficile rinunciare a tutto, dall’altra ti impediscono di farlo, perchè le leggi e la burocrazia riuscirebbero a venirti a stanare anche lassù.

Poi è bello in un giorno di sole osservare il ruscelletto che gorgoglia, ma quando si gonfia con le piogge e diventa un mostro di acqua scura, che ruggisce e tiene svegli la notte? Un muro invalicabile che ti blocca lassù, senza passaggi per oltrepassarlo. Quando la gente viveva in quei luoghi, non c’erano necessità di spostamenti immediati, scadenze da rispettare. E poi probabilmente succedevano incidenti dove non si guardavano le responsabilità, le allerte, le ordinanze.

Più in alto un tempo si viveva solo d’estate, la stagione dell’alpeggio. Ma perchè molte di queste baite sono abbandonate, anche se raggiungibili con piste e strade? Perchè tante cose sono cambiate anche qui. Non si sale più con un pugno di capre, con due vacche, quindi tutte le baite, miande, meire, ecc… non sono più necessarie. Serve un unico alpeggio, o al massimo un paio di tramuti, moderni, efficienti, funzionali, dotati di quel minimo di “comodità” (servizi igienici, doccia, una fonte di energia).

Questo faggio secolare potrebbe forse raccontare com’era la vita qui un tempo. Oggi, a meno di aver ascoltato i racconti direttamente dalla voce di uno degli ultimi testimoni, non riusciamo a rendercene davvero conto. Solo leggerlo sui libri non è sufficiente. Almeno, a me sembra che il libro confini la testimonianza ad un passato remoto che pare quasi non appartenerci. Nel momento in cui invece trovo chi mi dice di aver vissuto lì, il bianco e nero assume colore.

Tutti possiamo aver sognato un giorno di mollare la nostra vita attuale e trasferirci in un posto così. Ben pochi l’hanno fatto davvero. Riusciremmo sul serio a staccare da tutto? Rimanere isolati? Ma soprattutto, pensateci, come si fa a vivere in certi posti? Una volta si faceva la fame e non è solo un modo di dire!

A certe quote non si possono tenere chissà quanti animali e oggi un gregge di 100-200 pecore (già “grosso”, per la montagna) non è sufficiente per vivere, non per una famiglia. “Se non ci fossero tutte le spese fisse, per le nostre esigenze ne avremmo abbastanza“, ho sentito più volte ripetere da amici che faticano, con le loro aziende, in montagna. Tutto questo gran parlare di ritorno… non sarà moda? Se non cambiano le leggi, se gli aiuti vengono dati solo sui numeri, sulla quantità e non sulla qualità, non so come si potrà concretamente tornare o anche solo mantenere.

Se uno deve iniziare da zero

Vagando qua e là, ne approfitto per far sosta da amici fino ad ora soltanto virtuali. E’ più bello chiacchierare via computer con persone che hai conosciuto anche dal vivo! Inoltre, ritengo che sia molto importante visitare aziende, anche molto diverse tra loro, per poter poi parlare con cognizione di causa.

Da Lino e Rosalba incontriamo un’azienda a conduzione famigliare collocata in bassa valle. Siamo in Ossola, a Pieve Vergonte. Val Toppa è un’azienda agricola che produce formaggi di capra. Recentemente è uscito anche un articolo su di loro, visto che Val Toppa è stata giudicata dal’associazione allevatori “migliore nell’allevamento di capre nelle provincie di Novara e Vco e la quinta classificata in Italia” per la razza Saanen. Certo, parliamo di capre specificamente da latte e non di una razza rustica di montagna, però… Però bisogna considerare che è bella la poesia e la filosofia, ma bisogna anche riuscire a vivere. E ormai, in questo mestiere, con tutte le leggi che ci sono, i vincoli, la burocrazia, le normative ecc ecc… le spese sono tante.

La stalla, fienile, ricovero macchinari, ecc… sono nella parte passa della casa, facente parte di un nucleo di edifici ai margini del paese. Il caseificio invece è stato realizzato ad hoc in una struttura prefabbricata. Locale di caseificazione, punto vendita, locale di refrigerazione del latte, cella, bagno (con doccia!!), anticamere varie per rispettare le normative… Rivestimento esterno in legno per non impattare troppo sul paesaggio… Distanze minime da rispettare (cosa non facile, in un villaggio di montagna, dove gli spazi sono tutti ristretti), piastrelle antiscivolo e fughe realizzate con apposito mastice antiacido (!!!!!) anche se lì si lavora latte e non sostanze chimiche. E poi tutte le attrezzature per fare formaggio in modo moderno e a norma di legge. Il costo di tutto questo? Diverse decine di migliaia di euro! Ma quanti formaggi bisogna vendere per ripagarsi tutto???

Lino fa anche un altro lavoro, ma poi si occupa della fienagione, degli animali, di parte delle vendite (partecipando ad alcuni mercati). Insomma, tempo libero non ce n’è mai e, a volte, si da anche una mano ad altri allevatori in zona, in caso di necessità. Rosalba è invece presente a tempo pieno in azienda, tra mungitura, caseificazione, cura degli animali e tutto ciò che c’è da fare quando si pratica un mestiere del genere. La loro scelta è stata quella di passare dalle vacche alle capre da una decina d’anni. Soddisfazione, certo, poi passione, ma le difficoltà sono tante e la burocrazia a volte spegne gli entusiasmi.

Se uno dovesse iniziare totalmente da zero… Ormai è quasi impossibile, con le spese che devi affrontare per essere in regola“, spiega Rosanna. Anche se questa non è una razza locale, anche se gli animali sono in stalla a mangiar fieno e non al pascolo, basta vederli per capire quanto sono ben curati. “Certo, devo dare loro anche dei cereali, delle integrazioni, perchè devo ottenere latte per fare formaggi e per vivere! Le spese sono tante…“. E le regole sono uguali per tutti, grande caseificio industriale e piccola azienda artigianale in montagna.

A proposito di regole. Si cerca di ridere per non piangere! Lino mi racconta come la sua azienda sia periodicamente soggetta a controlli di vario tipo da parte di questo o quel funzionario preposto alla verifica di documenti, parametri, ecc. “Un giorno sono venuti quelli del benessere animale. Hanno controllato tutto, poi hanno guardato i due maiali che tengo per ingrassare con il siero. Mi hanno chiesto quante volte al giorno li guardavo… Ho risposto che lo facevo ogni volta che passavo di lì! Comunque, pena una multa, ho dovuto comprare loro una palla antistress da mettere nel porcile. Sono poi tornati a controllare se c’era!” (E’ quella gialla!)

Ogni tanto qualcuno non ci crede, quando racconto queste cose. E’ più facile lasciarsi convincere dalle belle parole sul ritorno all’agricoltura, all’allevamento, alla montagna. Anche l’attività agricola e/o zootecnica sono comunque delle imprese, quindi sono necessari investimenti non da poco. A chi mi scrive dicendo di essere disoccupato e di voler cambiar vita facendo l’allevatore in montagna rispondo raccontando queste storie. Non sono un’economista, ma per far sì che l’attività sia redditizia e non un hobby, oggigiorno servono cifre considerevoli. Poi serve una palla antistress per permettere agli umani di sopravvivere a certe stranezze della burocrazia!!!!

Senza foto, senza nomi… e senza parole

Quando avevo iniziato a scrivere il libro sui giovani allevatori, volutamente avevo cercato di contattare molti ragazzi e ragazze che cercavano di iniziare questa attività, tra mille problemi, e non solo “i soliti nomi”, chi già era conosciuto, chi già aveva un’azienda in piena attività. Adesso, di quelle storie, alcune vanno avanti, progrediscono, si evolvono, altre hanno vissuto profondi cambiamenti, altre ancora si sono interrotte a causa delle difficoltà e delle prove che la vita ci presenta lungo il cammino.

Non voglio fare nomi, non voglio nemmeno farvi capire dove sono le realtà di cui vi parlo, vista la delicatezza di alcune situazioni. Comunque… conosco aziende che rischiano di morire non per mancanza di volontà di chi le gestisce, ma per la burocrazia, le tasse, l’ottusità (per non dire di peggio) degli amministratori locali, per l’ostilità del territorio (e dei suoi abitanti!) in cui si trovano ad operare…

Ho in mente un paio di casi in cui le titolari sono donne. Donne forti, coraggiose, a cui la vita ha già riservato ogni sorta di avversità. Eppure loro non si sono mai arrese. Ma oggi, nonostante stiano facendo un mestiere che a loro piace, nonostante abbiano idee, progetti, senso pratico e concretezza… oggi non sanno come fare a tirare avanti. Si arrabattano, resistono con i denti, lavorano, ma le entrate non bastano. Tanto meno se c’è anche una famiglia!

Vi parlo per esempio di un’azienda che vive una situazione assurda. Dovrebbe essere il classico modello di pluri-attività che permette di vivere (o almeno sopravvivere) in montagna. Invece si trasforma in problema per l’amministrazione comunale, perché… avere gente che vive e altra che deve poter raggiungere quella località per andare a fare delle attività, mangiare, acquistare i prodotti è un problema! Invece di favorire altri insediamenti in zona, altre aziende che recuperino il territorio, lo facciano (ri)vivere, lo gestiscano (contribuendo a limitare i rischi di incendio, dissesto ecc ecc), si vorrebbe che quelli esistenti sparissero, perché sono un problema e un costo in termini da servizi da dover garantire (primo fra tutti l’eventuale sgombero neve invernale).

E allora? Allora cerchiamo di mettere i bastoni fra le ruote. Bloccare i progetti di ristrutturazione e recupero terreni, sanzionare con multe da migliaia e migliaia di euro per piccole irregolarità, far perdere i finanziamenti ottenuti per progetti innovativi e per la realizzazione di infrastrutture.

Non è l’unico caso. C’è chi pensa addirittura di andarsene… Non solo i cervelli, ma anche le braccia in fuga all’estero? Ogni tanto c’è qualche convegno dove si parla del ritorno alla montagna, all’agricoltura, ma le persone che intervengono e portano esempi positivi alla fine sono sempre le stesse. E di tutti gli altri, di quelli che addirittura rischiano di perdere tutto, chi ne parla? Ci sono quelle realtà a mezza quota, dove la sede comunale è in pianura o comunque dista poco da essa e la maggior parte degli abitanti lavora in città: ecco, qui molte volte la fascia di territorio montano è vista solo come un problema e non come una risorsa.

Ho già parlato poco tempo fa di agricoltura/allevamento di resistenza e non solo di sussistenza, penso che ci siano altri che, leggendo, si riconosceranno in queste situazioni. Se mi contattate qui o in privato o su facebook, sarò felice di far conoscere le vostre storie.

La delusione dei giovani

La mia presenza qui diminuisce proporzionalmente con l’impegno legato alla pastorizia “sul campo”. Vale per tutti quelli che praticano il mestiere dell’agricoltore o dell’allevatore. Ciò nonostante, la maggior parte dei giovani (e non solo) di oggi cerca di ritagliarsi un po’ di tempo per “condividere” con il resto del mondo sui social network pensieri, preoccupazioni, immagini. Ci si sente meno soli, meno incompresi.

(foto M.Colombero)

Riporto qui la lunga e amara riflessione di Michele, margaro cuneese. Non uno di quelli che si piangono addosso e non vedono oltre i confini della propria stalla, ma un ragazzo che vive la sua passione riuscendo anche a trovare del tempo per concedersi qualche spazio per il divertimento e lo sport. “Grazie… grazie all’arpea, all’agea o forse grazie alla Coldiretti o ancora di più a Roma e alla finanza… la mia lista di ringraziamenti potrebbe risultare lunga e strana per chi non comprende, ma credo che ognuno di questi enti citati abbiano bisogno di essere ringraziati, per l’impegno profuso che stanno portando avanti x ucciderci!!
Pac, titoli, anomalie, blocchi, indagini, tare, retroattività e multe e chi più ne ha più ne metta!! …queste sono le uniche cose che da 7 anni rimbombano nella mia testa… 7 anni che sento parlare di questo e basta.
Mai ho sentito pronunciare la parola “valorizzare”, sarà così complicata?! Nessuno li ha chiesti i contributi europei e visto che ormai, più che un’integrazione al reddito o un aiuto all’agricoltura, sono diventati redditi veri e propri, solo x alcuni speculatori come logicamente solo in Italia poteva avvenire… allora perché non li togliamo? Perché non iniziamo a parlare della vita che realmente ogni santissimo giorno svolgiamo? Perché non valorizziamo il lavoro e tutto ciò che comprende esso al suo interno?Perché non analizziamo azienda x azienda e capiamo davvero chi e cosa stiamo portando avanti a livello di tradizione coltura e dedizione al lavoro!? Perché non capite quanto sia difficile al giorno d’oggi (x spontanea scelta x carità) svolgere una vita di infinite rinunce e sacrifici che il mio stile di vita comporta? Quanto sia diventato praticamente impossibile far coesistere questo nuovo e moderno sistema al mio vecchio e tradizionale lavoro (x colpa vostra)!! Perché io che sto dando tutto, che sto cercando di non mollare, che sto cercando di condurre la vita che ho sempre sognato vengo spinto in un imbuto che porta al nulla? E tantissimi davanti e dietro di me spinti al medesimo destino?
Sono stanco perché chiedo solamente di poter lavorare e non di fare una guerra continua e quotidiana x poter stare in piedi! Sono stanco perché in fin dei conti viviamo tutti una volta sola, per quello che sappiamo, e non merito e non accetto di dover fare una vita così, senza più prospettive future senza soddisfazioni ne raggi di sole!! E mangiare merda di continuo, e non perché non so fare il mio lavoro, ma semplicemente perché chi ci gestisce pensa che siamo una categoria di ignoranti, che si accontenta di una bottiglia di vino e di una campana nuova!!! Non lo merito io che sto entrando in punta di piedi, ma soprattutto non lo merita mio padre, mio nonno o chi prima di lui ha condotto una vita fondata sul lavoro sui sacrifici, x poi essere dimenticati in questo modo.
Il nostro lavoro è la nostra passione, perché se così non fosse non ci saremmo più… ma di sola passione non è immaginabile né concesso vivere…
Guardare il cielo e sperare che tutto cambi è l’unica cosa rimasta, ma non può bastare.

(foto M.Colombero)

Non servono tanti commenti, Michele ha già detto tutto. Volevo però ancora riportare alcuni altri messaggi e commenti letti e ricevuti sempre su facebook. Perchè la testimonianza del giovane margaro viene dall’interno di questo mondo. Chi invece lo vede dal di fuori ha tanti sogni e quasi si offende quando cerchi non di scoraggiare il suo entusiasmo, ma semplicemente gli mostri la realtà.

Ancora una testimonianza. Scrive C., titolare di una “piccola” azienda agricola: “Ebbene sì… si lavora per nulla ormai e quasi che devi ringraziare ancora che ti ritirano le bestie… ma svendere dopo il lavoro grande che c’è dietro a ogni bestia è veramente vergognoso… agnelli a 3 euro..uno mi ha detto addirittura detto che c’è un macellatore che li ritira a 1 o 2 euro al kg… con 5 cani che ho ne macello uno alla settimana per loro..spendo meno che comprare crocchette!!!!
quel che mi domando sempre io… ma com’è che ci son certe categorie che son chiamati i “travaj borgnu” e lì paghi e bon parei?????
Ho in andi una pratica noiosa e pesante da un avvocato,con giudice,con perito e notaio me ne son fatta per 5000 euro… per quella cifra devo vendere tutto il mio trup di pecore o ingrassare 5 vitelli per un anno e mezzo per vedere tutti ‘sti soldi…

C’è invece M., che vorrebbe intraprendere questa la strada dell’allevamento/azienda agricola: “Mi sono informato su come potere avere dei finanziamenti x prendere degli animali: code  negli uffici a parte, ma la burocrazia ti distrugge non hai sbocchi concreti.” Moltissimi continuano a scrivere e me e ad altre pagine/siti per cercare lavoro in alpeggio o in azienda agricola, ma si lamentano per la poca offerta o per il fatto che si richieda “esperienza nel settore”. Anche qui delusione da parte di chi dice di aver voglia di fare, ma non viene nemmeno messo alla prova. Anche se ho già scritto altre volte a riguardo, mi riprometto di parlarne ancora appena avrò tempo. Come vedete, non è facile fare il pastore e, con le difficoltà attuali, molte volte non puoi più nemmeno permetterti di pagare un aiutante, anche quando ne avresti bisogno.

Maltempo e… notizie dal Veneto

Già qualche giorno fa degli amici dal Veneto mi avevano raccontato di un terribile incidente capitato dalle loro parti a causa del maltempo che imperversa. Oggi leggo questo articolo, con foto terribili che fanno male al cuore. Purtroppo gli amici mi dicono anche che l’articolo è incompleto e contiene diverse inesattezze.

(foto da ilgazzettino.it)

Si dice che il pastore “non c’era”, come se si trattasse di una negligenza imperdonabile, specie in giornate a rischio come queste. Invece, scrive Loris: “Il pastore non c’era perché era all’ospedale che stava male ha dovuto correr al pronto soccorso… e i capi morti sono molte centinaia di più!!! E il Livenza non si riempìe improvvisamente come uno tsunami!!! Tutto é successo perché alcuni km più in su hanno aperto le chiuse! E dovevano avvisare! Dovevano avvertire che lo facevano!! Adesso interviene anche Zaia… chissà sia in grado di concludere qualcosa… Posto che il suo comune di provenienza ha chiuso il passaggio ai pastori…“. Il tutto confermato da Marco, pastore locale che è intervenuto sul posto per dare una mano a salvare il salvabile. Proprio lui l’altro giorno scriveva così: “Non so da voi, ma qua e una settimana che piove e non si può andare da nessuna parte perchè è tutto allagato e anche io sono in un fiume, solo che qua c’è ghiai,a ma non dormo da giorni per l’ansia. Mettono pioggia fino a giovedì!

(foto L.Marcolongo)

Piove e non è facile. Chissà dove sono tutti quelli che romanticamente vogliono fare il pastore, in giornate così… Queste foto ce le manda l’amico Leopoldo, sempre dal Veneto. E non ci racconta solo storie di maltempo, ma ostacoli “burocratici” per i pastori. Come mai in Veneto si è arrivati a questo punto?

(foto L.Marcolongo)

Io non conosco direttamente questa realtà e vorrei che qualcuno mi raccontasse perchè “fioriscono” divieti per i pastori in tutti i comuni, come diceva sopra anche Loris. I pastori veneti sono tutti delinquenti? La gente del Nord Est è più intollerante? Spiegatemi voi, per favore!

(foto L.Marcolongo)

Quello che ho fotografato ieri è Matteo Froner di Valle dei Mocheni. Un altro pastore giovane, Fabio Zwerger di Lago di Tesero (TN), invece si è
fermato fra Bassano del Grappa e Marostica (VI) per evitare guai con i
Comuni del Cittadellese (PD). L’anno scorso era passato per il mio paese,
San Giorgio in Bosco e l’estate scorsa sono andato a trovarlo  a Malga
Bocche, Paneveggio, Pale di San Martino“, ci racconta Leopoldo.

(foto L.Marcolongo)

Leopoldo ci ricorda l’antichissima tradizione pastorale veneta: “Nel libro di Jacopo Bonetto “Le vie armentarie tra Patavium e la montagna”, che è stato pubblicato dalla Provincia di Padova in collaborazione con l’Università di Padova, vi si leggono molte cose e in particolare che:
a) il pensionatico e la connessa transumanza (relativa al periodo di ottobre
-aprile) sono antichissimi,
b) grazie a ciò Padova poté rimanere una potenza economica nel campo della lavorazione e commercio della lana (forse la più importante dell’impero romano), cosa che stava perdendo a seguito della colonizzazione del Veneto dopo il 100 a.c.

(foto L.Marcolongo)

Ci rammenta anche che esattamente un anno fa si era parlato di “corridoi verdi” per le greggi: “Creare veri e propri “corridoi verdi” per garantire nel territorio la transumanza di pecore e capre, accompagnando un settore antico che resiste alla modernità e che anzi è foriero di innovazione e persino di nuova occupazione, soprattutto nelle zone montane. E’ la proposta dell’assessore regionale all’agricoltura per agevolare la pastorizia, una attività agricola che di fatto è stata la prima dell’umanità, che l’ha sfamata e che anche oggi ha una sua ragione di essere, come tradizione ma anche come economia.
Il principale nemico delle greggi è oggi la cementificazione del territorio,
unita alla burocrazia – ha ricordato l’assessore – fattori che spesso
ostacolano o impediscono il transito dalla pianura all’alpe delle greggi,
che in questo modo possono nutrirsi di mangimi naturali secondo una pratica che asseconda il ritmo di vita di questi pacifici animali. La pastorizia è un’alternativa ai tradizionali allevamenti confinati e intensivi e dovrebbe
essere per questo incentivata, anche a fronte di persone che abbandonano
altre promettenti attività per dedicarvisi. Asfalto, barriere e altri ostacoli fisici o amministrativi contrastano i tradizionali percorsi, per lo più lungo i corsi d’acqua, costringendo i pastori a “tappe motorizzate” laddove invece abbiamo il dovere di tutelare la naturalità in un settore che offre produzioni golose e apprezzatissime dai buongustai e dai turisti.
In Veneto si contano circa 60 pastori che compiono le lunghe traversate di
terra, provenienti in parte dal Veneto e dal Trentino Alto Adige, ai quali
si aggiungono altre decine di operatori del settore che compiono tratti più
brevi. Il patrimonio zootecnico è costituito da oltre 55 mila pecore e quasi
17 mila capre, per un totale di poco meno di 72 mila capi: una frazione
inferiore all’uno per cento del totale italiano (oltre 9 milioni di capi), ma non per questo non meritevole di attenzione.” (comunicato stampa Regione Veneto)

(foto L.Marcolongo)

Anche in Piemonte più o meno c’è una sessantina di pastori vaganti, anche qui ci sono problemi con alcuni comuni. Possibile che non si posano trovare delle soluzioni? Così conclude il suo scritto Leopoldo, senza far giri di parole: “Purtroppo non so come il Veneto abbia potuto allevare invece delle pecore, una classe dirigente, rozza, ignorante, insensibile e con la memoria corta. Dov’è finito il film di Ermanno Olmi “L’albero degli zoccoli?”. Dove sono i valori del Veneto?
Fuori dal Veneto siamo visti ed abbiamo  una nomea di evasori fiscali, senza valori, unicamente attaccati ai soldi ed infarciti di ideologie e luoghi
comuni, quali quelli di caccia al diverso, allo straniero, agli zingari,
dimenticando o forse ignorando quanto hanno sofferto i nostri emigranti.
C’è stata da noi e non solo da noi, una mutazione perniciosa e  pericolosa,
lasciando sulla strada non i residui del passaggio delle pecore ma  le
virtù, cioè le caratteristiche che i veneti nel mondo hanno portato e
tramandano ancora  con onore, orgoglio  e sacrificio.
Tutti vogliono il biologico, ma cosa c’è di più biologico di un gregge?
La transumanza delle vacche non sporca la strada?
http://www.mp2013.fr/transhumance  In Francia si fa festa, in Veneto si
fanno ordinanze ridicole. Mettiamo le parti attorno ad un tavolo e finiamola con le buffonate illegittime di quei piccoli despoti dei sindaci.