L’importanza dell’acqua

A volte mi sembra che non ci sia da parlare di certe cose, tanto sono ovvie e scontate, ma evidentemente invece non è così. Nonostante io non abiti in città, tra asfalto e cemento, ma in un paese dove boschi, prati e campi sono ovunque intorno alle abitazioni, mi è appena capitato di sentire una conversazione sul tempo.

Ero in coda all’ufficio postale e, davanti a me, due signore parlavano a voce abbastanza forte da essere udite da chiunque. Si lamentavano per il fatto che, “proprio per il fine settimana“, fosse prevista una perturbazione. Non so quale evento la pioggia avrebbe potuto funestare, magari un matrimonio… Sta di fatto che, fin quando dal rubinetto esce l’acqua, molti ormai si dimenticano della sua importanza. Non c’è bisogno di andare fino in alta quota per capire cosa significhi la mancanza d’acqua.

Chissà se la gente si accorge che, laddove da settimane, anche mesi, non cade una goccia di pioggia, è tutto giallo e stanno persino seccando gli alberi? Guardatevi intorno, le chiome hanno un verde spento e, sui versanti, specialmente quelli più rocciosi, ci sono alberi con le foglie rosse. Non il rosso o l’arancione brillante dell’autunno, ma un marrone rossastro di siccità. In montagna, intorno agli alpeggi, la terra è riarsa, calpestata. Il verde è rappresentato solo dai cespugli: ginepri, rododendri, mirtillo rosso…

Dove si può, si bagna, e allora si vede la differenza. In Val d’Aosta, vallata abbastanza secca dal punto di vista delle precipitazioni, ma ricca di acqua grazie ai ghiacciai, c’è un vasto sistema di irrigazione, che permette di far fronte anche alle annate siccitose come questa. Ma l’acqua non è inesauribile. Aumento delle temperature, minori precipitazioni nevose in inverno, poche piogge (spesso torrenziali e concentrate in poco tempo) sono fenomeni che dovrebbero far preoccupare.

Chi vive lontano dal mondo “della terra”, che non ha a che fare direttamente con la produzione agricola o con l’allevamento, i fenomeni atmosferici li vive soprattutto in funzione del fastidio che possono arrecare alle sue attività di svago. Non ci si pone nemmeno la domanda del perchè questo pascolo sia verde ed altri più a monte siano completamente ingialliti.

Prati pascolati, dove il verde è tornato solo se c’è stata irrigazione. Ancora più gialli e “disordinati” quelli dove gli animali non sono passati. Qua e là, negli ultimi giorni, c’è stato un temporale a spezzare la siccità. “Ormai quassù se piove non serve nemmeno più, fa solo marcire l’erba“, mi diceva un’amica al pascolo sotto l’ombrello ieri, mentre io invidiavo la “sua” pioggia. “E’ in pianura che dovrebbe piovere, altrimenti quando scendiamo di erba ce n’è poi proprio poca!

In alta quota la stagione è finita proprio in anticipo, con colori e panorami da fine ottobre quando invece è solo l’inizio di settembre. Quest’anno non è stato il gelo a far cambiare faccia alla montagna, ma il caldo e il secco.

La vedete la differenza? Dovremmo chiederci di più il perchè delle cose. Invece molte persone vivono prendendo tutto quello che c’è, senza domandarsi come e perchè è arrivato nel bancone di un supermercato. E questo discorso non vale solo per l’acqua, ovviamente.

I bovini sono ancora al pascolo, poco oltre si bagna per avere poi altra erba per loro, per i giorni, le settimane successive. Come stagione è andata bene per i fieni, ma nello stesso tempo di fieno ne servirà di più, dato che c’è poi poca erba da pascolare all’aperto, sempre per colpa della siccità e del caldo. Tutti questi meccanismi naturali sfuggono a chi si lamenta perchè, accidenti, proprio domani o dopodomani deve piovere??

Brucia tutto…

Non sono solo gli incendi a “bruciare”. Lo scorso anno ci si lamentava per la non-estate: la troppa pioggia, il freddo, le condizioni di vita/lavoro negli alpeggi, le difficoltà nel fare il fieno. Bene o male però, tribolando, la stagione in alpeggio tutti l’avevano portata a termine. Quest’anno invece la situazione è ben più grave. Sta “bruciando” tutto: il sole cocente, il vento, la siccità influiscono pesantemente.

La cosa che preoccupa di più probabilmente è l’acqua. Fino a qualche settimana fa, prima dell’inizio del grande caldo, ruscelli, torrenti, pozze d’acqua, fontane, laghi erano colmi, gorgogliavano, davano un senso di vita tutt’intorno. Quando però iniziano ad inaridirsi, quando tra le rocce non scorre più niente, quando il fango si secca e la terra si screpola, c’è da preoccuparsi. Senz’acqua, avvizzisce la vegetazione, ma sono soprattutto gli animali che, senz’acqua, non possono stare.

Sole e vento inizialmente hanno fatto felici tutti coloro che dovevano tagliare il fieno. In pianura è andato bene il primo taglio, ancor meglio il secondo. In montagna si è fatto un buon fieno, anche se qualcuno parlava di “erba dura”, grazie alla strana stagione con alternanza di periodi caldi in modo anomalo e brusche interruzioni.

Dove non si può bagnare, sarà dura fare altri tagli, se va avanti così. E poi… bagnare con cosa? Qua e là ruscelli e torrenti calano drasticamente di livello. Sole e caldo in pianura portano benefici agli operatori del turismo di montagna, che vedono arrivare la folla di cittadini in fuga, alla ricerca di refrigerio, ma a lungo andare questo caldo eccezionale, unito alla siccità, sarà un problema per molti.

Giorno dopo giorno, l’erba dei pascoli sta seccando prima ancora dell’arrivo degli animali, alle quote più elevate. Guardate questo pianoro, in un luogo sicuramente fresco e ricco di acqua: lì vicino scorre un torrente impetuoso, gonfio di acqua lattiginosa che scende dai ghiacciai, ma appena ci si sposta un po’ ecco chiazze giallo-rossastre di erba che sta seccando, fiori che si accartocciano, steli che si induriscono.

Dove c’è poco suolo, rocce e ghiaia superficiali, l’erba man mano secca. Quando gli animali arriveranno qui, se non pioverà prima, non troveranno un buon pascolo. Ma almeno ci sarà il torrente che scorre nel mezzo del pianoro. Dove manca l’acqua, la situazione è ancora più critica. Sole, caldo, erba cattiva, cala anche la produzione del latte, gli animali pascolano male, mangiano meno.

Alle quote inferiori, si finisce l’erba che c’è ancora. Anche qui sta venendo sempre più dura e chiazze ingiallite emergono qua e là. Dovrebbe poi piovere, affinchè l’erba ricresca e ci sia la possibilità di pascolare una seconda volta quando gli animali scenderanno dagli alpeggi più alti.

Qui il gregge è già al secondo passaggio: le pecore erano salite presto, nella seconda metà di maggio, prendendo addirittura qualche fiocco di neve durante una nevicata tardiva, però avevano mangiato bene la prima erba. Adesso però ciò che è ricresciuto nel frattempo, ingiallisce e viene pascolato malamente, eppure bisogna mangiarlo, altrimenti a fine stagione sarà peggio ancora. E poi… basterà l’erba per arrivare a fine stagione, se l’estate prosegue così?

Questa è una veduta di alcuni pascoli della Val Chisone, in una zona notoriamente secca ed assolata: si vedono le chiazze verdi dove le mandrie hanno pascolato ad inizio stagione, ma tutt’intorno è giallo. “Se va avanti così, presto avremo problemi a far bere gli animali…“, mi dice un pastore. Senz’acqua, senza erba, ci sarà chi dovrà scendere prima dagli alpeggi? Ricordo, nel 2005, di aver incontrato una triste transumanza a fine agosto, forse primi di settembre, una mandria che scendeva tra la polvere, senza nemmeno i campanacci, con tutt’intorno pascoli gialli e riarsi.

Il caldo sale in quota

Anche se non sono più su in alpeggio come in passato, basta una gita in una valle a caso per vedere certe cose. Poi ci sono gli amici che mi aggiornano, magari sfogandosi con qualche lamentela sulla scarsa qualità dell’erba, sulla difficoltà di farla pascolare agli animali. In pianura il caldo si sente eccome, ma in montagna?

La scorsa settimana mi trovavo in Valchiusella e ne ho approfittato per fare anche una gita veloce, quattro passi lungo la valle. A mezza quota ho trovato mandrie al pascolo. Faceva caldissimo, l’umidità dell’aria era molto elevata, il sole filtrava tra le nebbie che, inevitabilmente, si formavano. Il Chiusella è ancora ricco d’acqua, le pozze hanno un bel colore verde, ma il caldo mi fa tornare indietro al 2003, primo anno in cui arrivai da queste parti per il censimento degli alpeggi.

Anche allora si erano raggiunte temperature molto elevate e la siccità aveva trasformato i pascoli in distese brulle e riarse. Molti erano dovuti scendere in anticipo dagli alpeggi. Per ora la situazione non è così grave, ma l’erba è alta, dura, gli animali la pascolano malamente. Mosche e tafani li infastidiscono, il caldo non diminuisce nemmeno in quota, non c’è un filo di vento.

Arrivo nei pressi dell’Alpe Pasquere. Le baite sembrano esser state ristrutturate da quando ero passata di qui a censire le strutture. Questo alpeggio è servito dalla strada, a differenza di molti altri della valle, il cui raggiungimento avviene ancora esclusivamente a piedi. Eppure quante polemiche erano state fatte per la realizzazione della pista (chiusa al traffico) che risale su per il vallone!

Io proseguo lungo il sentiero, anche perchè l’alpeggio successivo è di quelli che, purtroppo, non sono stati dotati di viabilità. La pista devia poco sotto e non è stato prolungato un ultimo tratto che, senza grossi problemi avrebbe potuto collegare anche le baite in testata di valle. La mandria la incontro più in basso rispetto alle baite: vacche e due cavalli, mentre in precedenza avevo visto anche un mulo, perchè qui gli animali da soma vengono ancora utilizzati. Erba che ingiallisce pure qui, il calore della pianura risale sotto forma di nebbie e nuvole.

Le strutture dell’alpe Prà sono ancora tradizionali, ma in buone condizioni. Non so chi utilizzi oggi questo alpeggio, sono passati più di dieci anni da quando avevo girato tutta la valle e molte cose sono cambiate, qualcuno non ce più, volti giovani sono subentrati a mantenere vivo questo mestiere. Il mio arrivo è preannunciato dai cani, questo sentiero è segnato anche come GtA, quindi dovrebbe essere abbastanza frequentato, ma quel giorno non incontro altri escursionisti.

C’è una famiglia giovane, due bambini piccoli, tra cui questo con un visetto da birba. “Stai facendo i compiti?” “No… Sto colorando!“, e si nasconde dietro all’album. Il fratello maggiore, nel cortile davanti alle baite, inizialmente rifiuta di farsi fotografare.

Quando però tornerò indietro, gli animali erano stati fatti salire nei pascoli vicino alle baite, anche con l’aiuto dei bambini. “Adesso la vuoi una foto?“. Il piccolo fa segno di non con la testa, ma poi cerca di mettersi in posa accanto alla vacca, che però si sposta e così c’è tempo solo per un veloce scatto “rubato”. E’ ora di scendere, tornare nel caldo ancora più soffocante, più afoso della pianura. Chissà come proseguirà l’estate? Sembra preannunciarsi ancora più difficile di quella fredda e piovosa dello scorso anno.

Arretrati

Quest’estate ho scritto poco, quest’estate sono stata a lungo in alpeggio. Però ho continuato a ricevere vostre foto, storie, aggiornamenti, di tutto un po’. Molti di voi ormai hanno un profilo facebook e allora condividono lì le loro storie di pascolo vagante… Ma non vale per tutti e allora cerchiamo di farci perdonare per il ritardo nel pubblicare queste immagini.

(foto G.Grosso)

Era il mese di maggio, noi eravamo già in montagna quando Giacomo scriveva questo : “Anche quest’anno Giovanni tornerà a salire con il suo gregge agli alpeggi della Valchiusella. Ne sono ovviamente felici gli appassionati valligiani. Dopo aver sostato per qualche giorno a Brosso, oggi ha raggiunto Inverso. Da qui si sposterà sulle alture di Traversella, prima di dirigersi verso il fondo valle. Sarà allora che salirà poco alla volta di  quota, nel vallone di Tallorno, territorio dei pascoli estivi del suo gregge. E’ il Giovanni di sempre: di buon umore e  pronto alla battuta. Lui ama la Valchiusella e, ricambiato, la sua gente. A qualcuno ha confidato che se un giorno dovesse smettere di fare il pastore, ciò che gli mancherebbe di più sarebbe proprio la Valchiusella. Che non arrivi mai, quel giorno!!!!!!!!

(foto L.Marcolongo)

Fuori piove, i prati sono verdi, le foglie non sono ancora tutte cadute dagli alberi, ma ormai è autunno e si va verso l’inverno. Quindi sogniamo un po’ con immagini estive da bellissime località. Ce le manda Leopoldo.

(foto L.Marcolongo)

(foto L.Marcolongo)

(foto L.Marcolongo)

(foto L.Marcolongo)

(foto L.Marcolongo)

(foto L.Marcolongo)

Domenica scorsa (metà luglio, ndR) volevo fotografare il pastore Fabio Zwerger che alpeggia a Paneveggio, Passo Rolle, sotto le Pale di San Martino. Sono arrivato al Lago Bocche a 2250 metri, ma Fabio era verso la cima e sono dovuto tornare alla malga perché è piovuto ininterrottamente tutto il pomeriggio. Allego comunque alcune foto di Malga Bocche con i genitori di Fabio.

Torniamo però alla realtà odierna, fatta di pioggia e di difficoltà per molti, con un pensiero particolare alla Sardegna, alla sua gente ed ai pastori che hanno subito danni alle infrastrutture ed agli animali.

Neanche tanto lentamente

Ancora qui a parlare del tempo, ma d’altra parte è questo il fenomeno che condiziona maggiormente il lavoro del pastore. Per il resto, ormai ben sapete che la routine quotidiana non presenta grandi variazioni. Le giornate sono lunghe, solo che ora iniziano prima del sorgere del sole e finiscono di notte, per effetto della diminuzione delle ore di luce.

C’è ancora stato qualche giorno un po’ più estivo, con sole e temperature gradevoli, ma l’aria s’era ormai fatta più fine e bastava poco per dover indossare una camicia sopra alla maglietta. In montagna le stagioni iniziano e terminano all’improvviso, tutti sanno che, dopo la metà di agosto, ci si può aspettare ogni cosa, anche la neve.

Quest’anno spesso le giornate sono iniziate con il sole e l’aria limpida, ma prima ancora di arrivare sul pascolo già c’erano nebbie e nuvole in agguato. A pensarci ora, i giorni in cui davvero si è patito il caldo sono stati pochi e paiono già lontanissimi i momenti in cui il sole scottava e si sognava un po’ di refrigerio, peraltro sempre ottenuto la sera, grazie a temperature fresche e gradevoli.

Era bastato qualche giorno di aria più fredda per veder mutare i colori, con la comparsa delle prime tonalità che annunciano l’autunno. Se, giù per la valle, ci sono foglie che cadono ed erbe ingiallite per effetto della siccità nelle zone più rocciose, qui il verde predomina ancora, ma poco per volta i pascoli stanno comunque cambiando faccia.

Molte giornate sono all’insegna della nebbia, che spesso arriva nella tarda mattinata e, a volte, si prolunga fino a sera. Più o meno fitta, più o meno umida, ma subito non ancora così fredda. Da una settimana all’altra però le cose cambieranno drasticamente.

Magari è un giorno come tanti, all’inizio ancora estivo, soleggiato, caldo, persino afoso in pianura. Poi, la sera, lassù sui monti passa un temporale che si allontana continuando a brontolare rumorosamente verso il fondovalle. In seguito arriveranno le notizie degli effetti che questo avrà portato in città, ma in alpeggio la conseguenza immediata sarà un brusco cambiamento delle temperature.

Come spesso accade, dopo simili fenomeni violenti, a seguire si ha almeno una giornata di bel cielo sereno e luminoso. Però il caldo non è più insopportabile, anche con il sole indossi qualche capo di vestiario in più e, nello zaino, meglio avere tutto il necessario per coprirsi, compresi anche i guanti ed il berretto.

Capita davvero di rado, in questo periodo, di riuscire a pascolare comodamente il gregge da mattina a sera, senza problemi di scarsa visibilità. La stagione ormai è da considerarsi alla fine, per qualcuno la permanenza in alpe sarà ormai di durata inferiore al mese. Per altri, soprattutto i pastori, si conta di rimanere in quota ancora più a lungo, ma ovviamente sarà sempre il tempo a dettar legge. La speranza è di avere un buon autunno, con un tempo accettabile…

L’autunno può anche essere migliore dell’estate, magari tiepido, sereno, senza troppa nebbia. Questa fine estate invece è di tutt’altro tipo, quando arriva la nebbia fa anche parecchio freddo, forse proprio per quello allora ci si auspica una fine di stagione migliore, una specie di contrappasso. Lo so, l’autunno ufficialmente deve ancora arrivare, ma a queste quote si ragiona diversamente e il mese di settembre praticamente lo si considera già autunno a tutti gli effetti.

La fine di agosto sembra avere ben poco di estivo. Certi giorni parti con il cielo incerto e l’aria fredda, poi già a metà mattina inizia a piovere. Non tanto tempo prima si considerava come quest’anno (a parte la primavera che ben ricorderete e le prime settimane in alpe) la neve non si fosse ancora fatta vedere nemmeno sulle punte. Ebbene, non c’era da aspettare oltre!

Quel giorno infatti è stato un susseguirsi di piogge, acquazzoni con qualche granello di grandine, poi arcobaleni e persino un po’ di sole. Tempo instabile, insomma, durante il quale il gregge continuava a pascolare, salvo interrompersi nei momenti di particolare violenza delle precipitazioni.

Per esempio quando, nella seconda parte del pomeriggio, per qualche decina di minuti la grandine ha tamburellato sulla schiena delle pecore e sugli ombrelli dei pastori. Chicchi piccoli, ma insistenti, che hanno coperto e schiacciato l’erba, rendendo scivolosi i pendii e abbassando ulteriormente la temperatura. Il temporale poi è proseguito con pioggia e violenti colpi di tuono.

Alle quote maggiori però si intuiva un grigiore diverso. Quella non era più pioggia, quella era la prima neve di questa fine estate, che forse salutava la partenza di un amico che aveva trascorso diverse settimane in alpe e rimpiangeva di non aver visto le cime imbiancate. Se solo avesse aspettato un giorno in più, il suo desiderio sarebbe stato esaudito!

Una settimana di nebbia e umidità

Il cuore dell’estate, Ferragosto… e invece pareva di essere in autunno. Probabilmente non è stato così ovunque, ma noi lassù abbiamo passato una settimana tra nebbia, umidità e piogge improvvise. Tutto buono per mantenere l’umidità del pascoli, ma alla lunga fastidioso e problematico per chi è in alpe.

Dopo qualche giornata già con un’atmosfera vagamente autunnale, con sole caldo, ma raggi più obliqui, erba in fiore solo ad alta quota, dove la neve se n’è andata da poco, all’improvviso il tempo è cambiato. Le nuvole si sono addensate ed è arrivata la nebbia. Ma in montagna c’è nebbia e nebbia e in queste settimane se ne sono sperimentate le diverse varianti. La prima è stata alta, attaccata alle montagne, poi è arrivata quella bassa, avvolgente, umida, già alla sera.

Il mattino di Ferragosto il mondo aveva questa faccia. Tutto grondava umidità, dai vetri appannati dentro alla baita a qualunque cosa all’esterno. Salire verso il recinto delle pecore era garanzia di un bagno continuo, poichè non vi era ramo, erba, cespuglio che non fosse coperto di gocce.

Non è bello, non è facile andare al pascolo in giornate così. Ti devi preparare ad una lunga giornata di incertezza, rassegnarti a non vedere mai tutti gli animali, intuire i loro spostamenti, aguzzare i sensi oltre alla vista per capire se qualcuno è rimasto indietro, si è separato dalle compagne, ha avuto un incidente a causa di una pietra fatta cadere da altri animali che pascolavano più in alto…

Ti vesti adeguatamente come quando piove, ma quest’umidità è diversa. Ti bagni soprattutto i piedi, su di qua non puoi camminare con gli stivali, ma queste gocce sull’erba bagnano ben più che non un temporale. L’umidità poi ti si posa addosso, sui capelli, sulle ciglia, mentre sotto alle giacche impermeabili sudi per la fatica della salita.

Sì, quel grigiore che vedevate nell’immagine precedente sono tutte minuscole gocce di umidità… E la nebbia non accenna minimamente ad andarsene, a sollevarsi. Fra anche freddo, pare proprio di essere in autunno. E le pecore, dove sono? Si sentono le campane, ma il pastore ha un dubbio, che siano più in alto di quello che dovrebbe essere…

Infatti hanno trovato il passaggio e sono andate avanti, in pascoli che erano destinati ai giorni successivi. Così le si segue, si attende che si siano saziate, poi le si riaccompagna indietro, tutto senza vedere praticamente nulla, fino a sera. per fortuna che poi a fine giornata c’è una stufa accesa e un pasto caldo! Sembrano cose scontate, ma non è così, in alpeggio!

Ferragosto è stato il giorno peggiore, ma nei giorni a seguire le cose non sono andate molto meglio. Al mattino ci si alzava quando il sole non era ancora arrivato, ma il cielo era limpido, di buon auspicio. Tempo di far colazione, preparare gli zaini e partire, arrivavano già le prime nebbie in quota. Così a volte aprivi il recinto già verso il “nulla”

…oppure le pecore si avviavano con il sole, ma era questione di un’ora o poco più e poi la visibilità sarebbe diminuita. Non più quella nebbia così densa, piuttosto vere e proprie nuvole attaccate alle montagne. Nuvole che andavano e venivano, a volte spinte da ventate di aria sottile.

Giochi di nebbie anche belli a vedersi, ma che assicurano nuovamente difficoltà ai pastori. Il gregge a questa stagione deve ancora salire, deve finire di pascolare l’erba in alta quota, molte volte quest’erba è proprio adesso nel suo momento migliore, solo che lassù la visibilità è quasi nulla e ti orizzonti solo con il suono delle campane ed i belati.

Per chi è andato solo a fare una gita, magari il fastidio è stato minore. Sono partiti presto, certi escursionisti, perchè i cani già abbaiavano prima del suono della sveglia, però le loro auto sono già tutte scomparse quando i pastori rientrano alla baita, la sera. Il sole se ne va verso l’ora di pranzo, salgono ancora le nebbie, si addensano le nuvole e di nuovo il gregge appare e scompare.

La devi conoscere bene, la montagna, nelle giornate di nebbia. Devi sapere dove gli animali possono andare e dove invece sono in pericolo. Non puoi mandare il cane a girare le pecore, con la nebbia, perchè non vedi quello che fa, quindi sei tu che parti a piedi, attraversi il vallone e cerchi di valutare la situazione “ad orecchio”. Per fortuna ogni tanto si alza e allora dovresti essere dalla parte opposta per vedere tutti i componenti del gregge. Guardando in su, verso le creste, vedi anche gli stambecchi che pascolano placidi in minuscoli fazzoletti verdi sospesi tra le rocce.

Tanti sognano di fare il pastore, ma dovrebbero venire a testare le loro reali intenzioni in una settimana di nebbia, L’escursionista cammina sul sentiero e tiene d’occhio le marche di vernice sui sassi, il pastore si affida a piccoli riferimenti, un sasso, un ramo a terra, una piccola frana, la pista delle pecore… Chi mi scrive dicendo di voler provare un’esperienza al pascolo in montagna perchè stufo del suo lavoro in ufficio, scambierebbe la scrivania, il pc con cui è in contatto con il mondo, il telefono sempre a portata di mano, con una giornata da solo, immerso nella nebbia, a duemila e passa metri di quota, dove il cellulare non prende e basta sbagliare di poco la traccia tra erba fradicia e mirtilli per finire sull’orlo del precipizio?

Giorno dopo giorno il copione è lo stesso: ti alzi, apri la porta… “Oggi sembra una bella giornata, non c’è una nuvola!“, poi a mezzogiorno sei già nella nebbia e prima che sia sera inizia pure a piovere, una volta in modo “gentile”, un’altra con una serie di brevi, ma intensi rovesci. Quassù il caldo non ce lo si ricorda più, nello zaino ormai c’è un posto fisso per il berretto e la giacca pesante ed al mattino, anche se c’è il sole, si prende comunque l’ombrello.

E’ finita l’estate?

Ci sarebbero tante cose di cui scrivere, argomenti legati al mondo dell’allevamento, della pastorizia, dell’alpeggio, di cui sarebbe bello parlare con voi. Molte sono notizie negative, tristi o che fanno innervosire. Francamente non ne ho voglia e non me la sento di impegolarmi in queste discussioni, tanto più che la mia ricomparsa on line è di breve durata e presto tornerò in alpe, quindi non potrei nemmeno portare avanti la discussione.

Parliamo così più semplicemente dei giorni passati, quando il grande caldo era stato bruscamente interrotto da una perturbazione che, qua e là, era stata anche abbastanza intensa. Dopo tanto caldo e sole, trovarsi delle giornate immersi nella nebbia fitta, interrotta solo da violenti scrosci di pioggia, temporali, vento freddo, era stato un cambiamento abbastanza brusco. La montagna non conosce molte sfumature, più si sale in quota più il clima si fa sentire in modo drastico. Questa volta però, a sentire le notizie che vengono dalla pianura, le cose sono state ben più gravi là nella bassa e quassù, nebbia a parte, si sentono solo i benefici del “rinfresco” generale.

Poi, come accade di solito in questa stagione, al maltempo fanno seguito alcune belle giornate. Ci sono ancora alcune nuvole passeggere, ma niente che faccia temere perturbazioni. L’aria è tersa, limpida, ed anche piuttosto fresca. Sembra già di cogliere delle note autunnali da fine stagione. Il sole ha i raggi più obliqui, le giornate si accorciano, il vento è subito più freddo. Che sia già finita l’estate, decisamente in anticipo sul calendario? Non ci sarebbe poi tanto da stupirsene, quassù.

In queste giornate succede un qualcosa che si verifica raramente, cioè che, senza nemmeno particolare sforzo, dalla cresta delle montagne si vede la città, di solito soffocata da una cappa di smog e foschia. Le “montagne di casa” le tocchi con un dito e dietro c’è Torino. Ad occhio nudo intuisci qualcosa, poi con il binocolo arrivi ad individuare gli edifici. Addirittura, oltre la collina, spicca addirittura la mole inquietante della centrale di Trino Vercellese. Sono in momenti così che i pastori pensano al “viaggio” dei loro colleghi che, a piedi, con il gregge, vanno anche oltre quei luoghi che ora loro stanno guardando con i propri occhi.

L’estate è appena arrivata su in alta quota, dove le piante devono sbrigarsi in poche settimane a compiere tutto il loro ciclo vegetativo. Qui c’è la flora che preferisco, tante erbe dalle fioriture meravigliose, più sono piccole ed abbarbicate al poco suolo disponibile, più ti stupiscono con colori e forme di rara bellezza. Anche la qualità di queste erbe è pregiata, ben lo sanno gli animali, che si spostano fin quassù per cercare i ciuffi che spuntano qua e là in quelle che vengono definite “vallette nivali”. Man mano che il pomeriggio avanza, l’aria si fa più fredda, il vento intenso spinge uomini ed animali a rientrare verso il basso.

Poi però, nei giorni successivi, la stagione riprende il suo corso e, al mattino, quando il recinto viene aperto gli animali già si ammucchiano, nel classico atteggiamento da giornate calde. Fosse per loro, passerebbero così delle ore, fino al raggiungimento di temperature più miti ed adatte per andare al pascolo. Ma questo poteva funzionare quando gli animali venivano lasciati liberi, ora che si è obbligati a confinarli nei recinti, bisogna anche forzarli a pascolare anche quando fa caldo.

La salita verso le quote maggiori e verso i pascoli avviene lentamente, con una fila che si snoda irregolarmente lungo il sentiero. Le nuvole di quel giorno hanno una consistenza diversa, non sono cariche di pioggia, né si tratta di passeggeri ammassi nuvolosi. Queste sono nuovamente le nebbie del caldo, quelle che si formano quando il calore della pianura arriva fin quassù. Per fortuna non sembrano essere troppo fitte e stazionarie.

Su su in quota l’estate forse non inizierà mai del tutto. Mentre il gregge pascola più in basso, si sale a vedere la testata del vallone, tra la nebbia che va e viene. Lassù, sui nevai, le tracce dei camosci e degli stambecchi, che pascolano in alto sulle cenge tra le rocce. Si sentono le pietre che cadono, mosse dal loro passaggio, ed i caratteristici sibili di allarme dei camosci, spaventati dai cani del pastore. Anche se quassù non verrà mai l’erba per il gregge, anche se (per fortuna) la neve non scioglierà mai del tutto, il pastore sa quanto è importante tutta questa massa d’acqua solida, a garantire torrenti mai asciutti ed erba fresca anche a fine stagione.

In fondo niente di nuovo

Passano le settimane, finisce luglio e arriva agosto, ormai sono più i giorni già passati in alpe di quelli che restano da trascorrere su. I mesi scorrono veloci, ad agosto si sa che basta poco perchè, dal caldo, si arrivi ad avere una nevicata improvvisa. Per “il resto del mondo” agosto è estate, ferie (forse adesso un po’ meno, con la crisi), caldo. Qui ad agosto si pascola in alto, ma ti accorgi che le giornate man mano si accorciano.

In una settimana possono succedere tante cose, pur non capitando niente di nuovo… Un giorno magari piove, poi quello dopo si alza un vento fortissimo, che regala sì una splendida giornata di cielo terso, ma annulla tutti i benefici della pioggia, “rovina” l’erba ed impedisce di dormire in quelle baite d’alpeggio dove il tetto di lamiera sembra dover volar via da un momento all’altro sotto l’impeto delle folate. Le stufe a legna spesso non hanno un buon tiraggio e riempiono le stanze di fumo denso…

Dopo il vento resta il bel tempo, ma dall’aria tersa e secca via via si passa prima al caldo e poi all’umidità e all’afa. Dopo aver avviato il gregge lungo il solito sentiero che porta su ai pascoli di alta quota, si sposta il recinto ai piedi di un altro vallone, un po’ più in alto. Piccole variazioni alla routine, ma il lavoro è sempre quello, giorno dopo giorno. Con il caldo, le pecore al mattino faticano di più ad incamminarsi, rimarrebbero tutto il giorno all’ombra tra i cespugli, oppure addossate ad una roccia, per iniziare a pascolare solo nel tardo pomeriggio o la sera. Dovrebbero essere libere, dovrebbero poter dormire in quota, non dovrebbero essere forzatamente rinchiuse tra le reti ogni notte, ma sono passati i tempi in cui ciò era possibile.

Altrove, in quelle vallate più a ridosso della pianura, il caldo porta subito la nebbia. Si va a fare un giro per controllare che anche di là sia tutto a posto, si guardano le pecore, si ascoltano i resoconti del pastore, si gioisce per lo sventato attacco ad opera di un lupo solitario grazie al pronto intervento dei cani da guardiania. Poi ci si scambiano le notizie, di valle in valle…

Sempre più caldo, sempre più faticoso avviare il gregge, bisogna incitarlo con i cani, evitare che gli animali si ammassino lì sotto le rocce, dove quelli sopra possono far cadere sassi sui gruppetti sottostanti, cosa che comunque accade spesso anche nei momenti di normale pascolamento. Non si può nemmeno esagerare con gli incitamenti e così i pastori mangiano pranzo attendendo che lentamente il gregge prenda la sua strada verso l’alto.

Anche lassù comunque arriva il calore e, se non proprio l’afa, comunque si avverte l’umidità che incombe sulla pianura. Non c’è più ombra a queste quote, il sole ti cuoce, si spera che continui a passare di tanto in tanto una nuvola per donare qualche attimo di sollievo. Prima o poi sarà inevitabile che tutto questo calore sfoci in dei temporali, ma per ora le nuvole si limitano ad andare oltre, sospinte dal vento in quota.

La neve scioglie rapidamente, in questi giorni, e l’erba, a queste quote, cresce altrettanto rapidamente. Qui le piante “sanno” di avere poco tempo a disposizione per il loro ciclo vitale, così appena dopo la scomparsa dei nevai, a vista d’occhio, si vede avanzare il verde e poco dopo si hanno addirittura i fiori, tutto nel giro di pochi giorni. Nebbie di calore vanno e vengono, il gregge pascola finalmente ben allargato, ma tra poco sarà ora di avviarlo verso il ritorno, perchè c’è da scendere fino al recinto ed occuparsi delle ultime incombenze di giornata. Il rientro dei pastori alla baita ormai avviene con il crepuscolo, quando non con l’oscurità e le pile frontali accese.

E le pecore?

Un po’ come se fosse un sogno. Perchè nei sogni c’è quello, una “montagna” enorme, bella, comoda, con pascoli immensi, buon clima, erba ottima, e la baita in mezzo. Nessun confine, nessun pascolo da sorvegliare perchè appartiene ad altri, solo tu ed il tuo gregge nel vallone.

Certo, l’avvicinamento non è rapido. Il sentiero sale impervio, il sole batte a picco sulle rocce chiare, nell’aria il profumo intenso della resina dei pini silvestri e quello delle tante fioriture multicolori, in basso lo scrosciare del torrente nel vallone scavato e ripido. Poi a poco a poco si inizia ad intuire che lassù ci saranno delle belle sorprese, poichè il vallone lascia presagire spazi di ampio respiro. Però ci si pongono anche delle domande, visto che alle quote più basse non si intuiscono segni di pascolamento. Ma… e le pecore?

E infatti il sogno sembra sempre più reale. I pascoli si estendono, fiancheggiati da erte pareti che nemmeno le capre scalerebbero. Tra i pascoli ricchi e profumati scorrono torrenti e ruscelli, qua e là sgorgano sorgenti e, più in alto, dovrebbero persino esserci dei laghi. Non c’è bisogno di chiudere gli occhi, la realtà è più bella del sogno.

L’alpeggio c’è, a metà tra i pascoli inferiori e l’alto vallone. La baita è essenziale, ma funzionale, sistemata ed allargata recentemente con una soprelevazione in legno. Intorno l’erba è stata decespugliata di recente, la fontana gorgoglia, il tavolo con panche sembra attendere i commensali. Il recinto fisso però è sommerso dall’erba alta e segni recenti di pecore, ahimè, non ve ne sono. Passare qui una stagione… Certo, bisogna salire e scendere poi solo dopo mesi, il sentiero di avvicinamento è lungo, meglio pensare ad un carico con tutto il necessario trasportato in quota con l’elicottero. La luce è assicurata dal pannello fotovoltaico, c’è il bagno, magari con un mulo o un asino ogni tanto si può pensare di scendere a valle per fare la spesa…

Oltre al sentiero ufficiale, ben marcato, tracce qua e là, chiari segni del passaggio ripetuto di un gregge, stagione dopo stagione, conducono a conche erbose e laghi più o meno estesi, da cui si dipartono ruscelli che appaiono e scompaiono tra le rocce calcaree. Unica pecca, i moltissimi detriti ferrosi di origine militare: resti di bombe, schegge ferrose e altre parti di non immediata identificazione.

Salire su fino al colle, affacciarsi di là ed individuare mandrie al pascolo in territori immensi, ma soprattutto guardarsi indietro e continuare a sognare di avere un alpeggio così… Certo, se anche le aree dove prevalgono rocce e terra fossero erba da pascolare, allora… Ma già così è davvero un vallone fantastico. Quindi si continua ad interrogarsi sul perchè non vi sia un gregge a pascolarlo. Ormai è tardi per la vegetazione delle parti a quota inferiore, dove l’erba si fa troppo alta, dura e secca, mentre sarebbe l’ideale essere lì…

Lì dove quelle chiazze rosate dal profumo intenso sono pascoli splendidi composti da trifoglio alpino quasi in purezza, il sogno di ogni pastore e margaro. Viene da pensare che da noi, in Italia, in un posto del genere come minimo avrebbero portato su qualche centinaio di vacche, bestie in asciutta o manze. Qui invece questo è indicato come alpeggio per le pecore persino sui depliant turistici presi al bureau di fondovalle. Eppure quest’anno, ad inizio agosto, le pecore non ci sono.

Non credete che sia veramente trifoglio? Bene, eccovi la prova definitiva. Si scende con un misto di sentimenti: estasi per aver visto un posto così, rimpianto per non averlo a disposizione, per non essere lì con il gregge, un pizzico di amarezza per non aver incontrato un gregge locale, quelle pecore che passano l’inverno giù nelle pianure della Crau. Ebbene sì, siamo in Francia, paese dove sulla copertina dei depliant turistici, tra le attrazioni locali, c’è appunto il gregge di pecore e la transumanza. Solo che noi quelle pecore purtroppo non le abbiamo incontrate, chissà perchè…

(Nevache, Chalets du Vallon e Col du Vallon).

Erano anni che non si ricordava tanta neve così

La memoria dell’uomo è cosa strana, per fortuna oggi si registra e si annota tutto, così si anno dei veri dati e non solo delle “impressioni”. Comunque, tutti quelli che arrivano su in alpeggio, prima o dopo dicono che era da anni che non si vedeva tanta neve così a questa stagione. Non è un male, la riserva d’acqua è assicurata e ci sarà erba verde e fiori fino al mese di agosto se non oltre. Il problema magari può porsi per chi sale in alpe con numeri spropositati di animali, ma, visto che le leggi dell’uomo non intervengono efficacemente per fermare certi scempi, sarà almeno la natura a farsi rispettare!

Transumanze notturne per salire su in alto, ormai è ora, la neve ad una certa quota se n’è andata, resta al massimo nei canaloni, o almeno così dovrebbe essere. Su l’erba è verde, abbondante, i pascoli sono in fiore. Quando ci sono strade trafficate da percorrere, strade con poche possibilità di far defluire le eventuali auto, camion, pullman, ci si mette in cammino nel cuore della notte.

Il cammino è lungo, il sole sorge e sale nel cielo, ma ormai si è sulla strada per l’alpe, l’asfalto ed il traffico frenetico sono alle spalle, per qualche mese la parola “transumanza” non verrà più pronunciata. Non si penserà agli affanni che questo giorno comporta, alla fatica, alle cose essenziali, a quelle che verranno portate su in un secondo momento, a quelle che (nonostante tutto) vengono dimenticate.

Il vero alpeggio è quello su in alto. Certo, ve ne sono alcuni anche a quote medie, 1.500-1.700 metri, ma quando ti avvicini ai 1.900-2.000 è un’altra cosa. Respiri un’altra aria, cambia l’erba nei pascoli, si dirada il bosco, sai che ogni giorno andrai su, sempre più in su, a mano a mano che la neve se ne andrà.

Proprio come dicono, infatti, di neve ce n’è ancora tanta. Magari a chiazze, magari qua e là, però scende nei canaloni, occupa intere conche e non sembra sciogliere molto in fretta, specialmente se il cielo è nuvoloso. Quest’anno pare che non si debba avere un’estate calda e soleggiata, a queste quote. Dal momento della prima transumanza i giorni di pieno sole, senza nebbia, temporali, pioggia o anche neve e grandine sono stati ben pochi.

Dopo aver pascolato le zone più basse, dove l’erba rischiava di diventare vecchia e dura, il gregge viene fatto salire su, lungo sentieri che sono solo tracce, cammini storici dove sono stati più gli animali che l’uomo a tracciare il percorso. L’abbandono delle passate stagioni ha fatto sì che la vegetazione avanzasse sempre più ed ora persino gli animali esitano ad avventurarsi lungo la traccia evanescente. Poi si incamminano, ad una ad una…

E’ proprio vero che di neve ce n’è e non poca. Oltre a “rubare” spazio all’erba, complica gli spostamenti di uomini ed animali, che si avventurano spesso con titubanza. Solo i cani si lanciano in corse e pazze scivolate, specialmente i cuccioli, o cercano refrigerio. Non tutti i nevai sono sicuri, il pastore cerca di evitare al gregge il transito su canaloni invasi dalle valanghe, sotto i quali scorre l’acqua. Qui la neve potrebbe cedere sotto il peso delle pecore. Si racconta anche di “stragi” del passato, capre o pecore morte sotto il peso della neve dopo aver cercato la frescura nel tunnel naturale che si forma sotto la valanga.

Quando c’è il sole la neve però scioglie a vista d’occhio ed i torrenti si gonfiano, talvolta causando problemi nell’attraversamento. Laddove al mattino con un salto si riusciva a passare senza bagnarsi i piedi, in giornata le cose si fanno più complicate, con l’acqua che scorre impetuosa e spumeggiante. Persino le pecore esitano ad avvicinarsi anche solo per bere, mentre altrove non rischiano di sconfinare nei pascoli confinanti, proprio grazie alla barriera naturale del torrente.

Non sempre però splende il sole, anzi, spesso le giornate sono interrotte da nebbia e pioggia fine, quando non da temporali anche di forte intensità. C’è chi dice che farà così per tutta l’estate, i pastori alzano le spalle e si accontentano di vivere alla giornata, come sempre. L’importante è che ci sia erba e che il lupo giri alla larga…