…basta farci l’abitudine!

Dalla Lombardia mi scrive Giacomo per raccontarmi un suo successo, essersi qualificato al quarto posto in un concorso di tosatura in Francia, a Martel. Queste competizioni, organizzate dall’Association des Tondeurs de Moutons si tengono periodicamente e prevedono anche dei campionati mondiali.

Qui la classifica dell’incontro del 14 luglio scorso. “Di là c’è tutta un’altra cultura…“, mi scrive Giacomo. “Ero l’unico Italiano, c’erano Francesi, Scozzesi e Neozelandesi.

Ecco le pecore francesi dopo la tosatura. “Penso che in Europa l’Italia sia l’ultima nazione con la considerazione di pastore come lavoraccio, perché non c’è la cultura, mentre in Francia, Inghilterra, Scozia, Spagna, Irlanda ci sia molta più cultura, quindi sono anche più organizzati come aziende, come personale, come conoscenza di questo lavoro.

Giacomo è nipote di pastori, i suoi zii sono pastori vaganti. “Ho iniziato circa all’età di 13 anni con mio zio, l’aiutavo d’estate in montagna perché studiavo ancora. Ho a tosare imparato grazie a tanti Francesi che mi hanno aiutato e anche grazie a Tino (Ziliani) che forse è felice vedere un giovane con la voglia di imparare questo antico mestiere. Adesso sono 5 anni che faccio il tosatore.

Si può vivere di tosatura anche in Italia? “Lavoro 8-9 mesi all’anno. Per ora arrivo fino in centro Italia, a novembre penso di andare in Nuova Zelanda. Quest’anno ho lavorato anche un pochino in Spagna . Solitamente giro con la squadra di Tino, però siccome ho tanto lavoro in centro Italia, tanti piccoli li faccio da solo.  Lavoro da marzo a circa metà luglio e da metà agosto fino a fine settembre. Ci sarebbe spazio per altri giovani, anche molto, ma la voglia manca! Spesso c’è da lavarsi fuori, dormire sul furgone, ma basta farci l’abitudine, secondo me si sta molto bene.

Oggi conta l’immagine

Oggi una riflessione traendo spunto da fatti personali. Raramente parlo di me stessa in queste pagine, pur raccontandovi sempre luoghi, personaggi ed avvenimenti a cui ho partecipato, salvo diverse indicazioni. La riflessione parte dal fatto che… ho acquistato i primi animali veramente miei. Le mie vicende personali in questi anni mi hanno portata in vario modo ad avere a che fare con animali di tutti i tipi, ovicaprini in particolare, ma non solo. Ho contratto la “maladia” come ben sapete. E questa non si cura allontanandosene… per cui ecco che attualmente sono titolare di un codice di stalla e di un piccolissimo numero di capre. Sul perchè capre e non pecore se volete ne parleremo poi…

Comunque, in questo strano mondo dove le cose accadono più qui, su questi schermi (di computer, tablet, smartphone), le mie capre e la reazione che hanno suscitato mi hanno stimolato riflessioni più profonde. Qui si parla di allevamento, ma potrei estenderle a qualsiasi altro settore. Rimaniamo nel nostro campo… Dicevo che le foto delle mie capre, pubblicate su Facebook (non uso altri social network) hanno ricevuto, in meno di una settimana, 500 mi piace come album e un numero che non ho quantificato di apprezzamenti alle singole immagini. Gli amici si sono scatenati nel darmi suggerimenti, consigli, suggerire nomi, c’è chi mi ha offerto assistenza tecnica e chi voleva vendermi del fieno…

C’è un aspetto anche divertente in tutto questo. Prima di tutto vi dico che lei alla fine l’ho battezzata Chocolat. Poi vi invito a riflettere su quanto conti il sapersi creare un’immagine e come la nostra società, oggi, premi più certi modelli rispetto ad altri. Fa più notizia chi sceglie di dedicarsi all’allevamento… piuttosto di chi l’ha sempre fatto. Se le stesse capre le avesse comprate un allevatore “per professione”, figlio, nipote di allevatori, e avesse condiviso le stesse foto, può anche darsi che si sarebbe sentito dire: “Che cosa hai preso?”. Qualche collega l’avrebbe criticato, gli avrebbe detto che le sue sono più belle. E se le avesse pubblicate l’allevatore che me le ha vendute? Vi sembra giusto che abbia più riconoscimento il mio averle acquistate, piuttosto che la storia che hanno alle spalle? Eppure, purtroppo, è così che vanno le cose oggi.

Mi hanno segnalato questo articolo, “Basta computer, farò il pastore“, una delle tante storie che piacciono ai giornalisti, raccontare una scelta di vita, un ritorno alla montagna, alla terra, all’agricoltura, all’allevamento. Ma anche quest’altro, la storia di un giovane di 19 anni che, dopo l’estate in malga con la famiglia, ha deciso di continuare il cammino seguendo il gregge di un pastore vagante. Potrebbe non esserci niente di eccezionale, ma… come dicevo prima, nella nostra società piace creare delle immagini. L’ho visto anche quando ho realizzato il libro sui giovani allevatoriDi questo lavoro mi piace tutto“.

Ma cosa c’è dietro? Quante sono le aziende tradizionali in seria difficoltà? Pensate alle recenti polemiche sul prezzo del latte, che arrivano alle orecchie di tutti quelle due, tre volte all’anno o magari nemmeno. Tutti gli altri giorni sono i produttori a farci i conti o meglio, a non riuscire più a farli quadrare! Basta un servizio, molto tendenzioso, sulla carne “nociva” per causare danni a tutto il settore. Poi escono nei giorni successivi articoli, interviste, documenti che attestano come ciò non fosse vero, fosse esagerato, fosse mal interpretato. La nostra carne, i nostri salumi, mangiati con moderazione non fanno male. Ma l’immagine creata ad arte condiziona rapidamente una buona fetta di pubblico, incapace di ragionare con la propria testa. “L’ha detto la TV, l’ho letto su internet…“. Siamo peggio delle pecore di cui pubblico spesso le immagini qui!

In conclusione… Il mio suggerimento a tutti gli addetti ai lavori è questo. Visto che siamo in un mondo che vive di immagini, che ci piaccia o no, cerchiamo anche di venderci nel migliore di modi. Conta pure quello, pensate alle mie capre… Continuiamo ad allevare belle bestie, tenendole bene, lavoriamo secondo tradizione, ma ricordiamoci che oggi il mondo, prima di tutto, ci guarda. Possiamo fare il miglior formaggio del mondo, ma dobbiamo saperlo presentare, saperlo diffondere prima per immagine che concretamente. Se alleviamo al pascolo, all’aperto, valorizziamo queste caratteristiche, ci sono dei consumatori che lo apprezzano e lo ricercano. Magari riusciamo a spuntare un prezzo migliore, oltretutto. Molti l’hanno capito e lo stanno già facendo. Qualcuno scuoterà la testa, ma se vogliamo sopravvivere, dobbiamo farlo nel mondo in cui viviamo, altrimenti il rischio è l’estinzione. Il rischio è che l’esperto di computer in poco tempo abbia più “mi piace” dell’allevatore con la tradizione secolare, anche se probabilmente ne sa molto, molto meno di lui sull’allevamento. La mia speranza comunque è quella che ci si renda conto che l’eccesso di virtualità non ci sta facendo affatto bene: se ho invitato gli allevatori a curare di più l’immagine, invito ancora di più tutti gli altri ad informarsi, ad acquistare prodotti di sicura provenienza italiana, meglio ancora locale. Non c’è da stupirsi se un olio extravergine venduto a poco prezzo… alla fine non è extravergine! Un buon formaggio d’alpeggio non può costare pochi euro, c’è un mondo di lavoro, dietro a quel formaggio! …potrei continuare il discorso all’infinito…

Una realtà vicina che conosco poco

Ci affidiamo troppo spesso ai luoghi comuni o all’apparenza, ma le realtà bisogna sempre viverle dal di dentro per comprenderle. Ricordo, anni fa, quando ero impegnata con i miei colleghi nel censimento degli alpeggi della Regione Piemonte. Eravamo sulle montagne del Canavese e, un giorno, siamo arrivati in cresta, affacciandoci verso la Val d’Aosta. Avevamo scarpinato tutto il giorno per raggiungere alpeggi isolati, alcuni anche in condizioni di stabilità precaria, con condizioni di vita e di lavoro sicuramente non facili. “Di là” invece vedevamo strade e piste che raggiungevano tutti gli alpeggi, strutture perfettamente risistemate, baite e stalle. E’ abbastanza comune, in Piemonte, sentir parlare anche con invidia dei “vicini” Valdostani. Regione a statuto speciale, più aiuti, più contributi. Tutto vero?

Sicuramente è una regione interamente montana, alpina, quindi non esiste lo squilibrio tra la pianura e aree di montagna disagiate, marginali, come avviene altrove. Il Piemonte ha sì una vasta porzione montagna, ma il cuore è la pianura, la città… e i problemi infatti sono tanti, specialmente in tempi in cui mancano i fondi. Sono notizie di questi mesi le strade che franano e che non si sa come fare per riaprirle per i costi necessari alla messa in sicurezza. Quando invece tutti, bene o male, vivono e lavorano in montagna, le cose sono un po’ diverse. Agricoltura e allevamento sono ancora basilari nella vita della regione e, almeno all’apparenza, sembrano ricevere le giuste attenzioni.

Però… quanto è solo facciata? Cosa c’è dietro? Quali sono le reali problematiche, anche qui? Pur essendo una realtà confinante, ammetto di conoscerla poco. Da quando mi occupo di allevamento, pastorizia, ecc… ho iniziato ad avere qualche contatto anche con persone di questa regione e, ogni volta, ho avuto notizie che contrastavano almeno in parte con il “sentito dire”. Bisogna andare oltre alla poesia, sicuramente! Come territorio, come paesaggio, di certo ci sono scorci da lasciare a bocca aperta.

La strada diventa sterrata, dopo aver superato insediamenti abitati permanentemente, anche se in quota. Tutte le strutture turistiche sono ancora chiuse, ma vi è comunque presenza umana. Aziende agricole ce ne sono parecchie, gli animali sono ancora tutti in stalla, girano trattori, c’è gente che lavora nei campi di patate e negli orti. Poi, più a monte, i territori d’alpeggio. L’erba è ancora bassa e fa freddo, in quel mattino soleggiato. Vedo anche vecchi alpeggi abbandonati, ma lì accanto ci sono le nuove strutture.

Certo, anche in Piemonte ci sono alpeggi belli e ben risistemati, ma qui, tutto dove sono stata, ho visto baite e stalle apparentemente perfette. Ci saranno vincoli che obbligano all’utilizzo di certi materiali? Saranno strutture pubbliche? Oppure private? Ci saranno stati incentivi, contributi per la sistemazione degli alpeggi? Tutte domande per ora senza risposta, dal momento che sto effettuando la mia escursione in solitaria e qui non c’è ancora nessuno con gli animali.

Con i miei occhi quello che posso vedere sono i pascoli, la loro qualità e la loro cura. Come vi dicevo, è ancora presto, la neve è andata via da poco e spunta appena la prima erba, i primi fiori. Si può comunque osservare come , qua e là, in varie zone alla fine della stagione precedente siano stati sparsi i liquami, per concimare, garantire buoni pascoli ed evitare il più possibile l’accumulo in un unico luogo (con conseguente degradazione dell’area).

Giunta al colle, altri alpeggi sul versante opposto, altra vallata. Qui sembra che non arrivi nessuna strada, ma comunque le strutture sono ugualmente in buon stato. Con il binocolo guardo lontano, i colli di fronte a me confinano con la Valsesia, di nuovo Piemonte, e dietro vi sono valloni con interminabili sentieri per raggiungere alpeggi ancora utilizzati da greggi e mandrie… e persone che, per alcuni messi all’anno, vivono una vita come quella di 100-200 anni fa, all’incirca.

Una panoramica verso la Val d’Aosta. Il territorio ricorda sicuramente più quello di aree alpine come la confinante Svizzera: una valle ampia, glaciale, con versanti abitati, insediamenti anche in quota, strade, villaggi, alpeggi. Di sicuro molto diversa dalla maggior parte delle vallate piemontesi.

Eppure i problemi ci sono anche qui e non pochi. Vengo a sapere di aziende che tribolano sempre più per tirare avanti e, soprattutto, di un gran numero di persone che compiono una migrazione stagionale oltreconfine. Si va in Svizzera a fare la stagione, si mandano in affido le proprie bestie in alpeggio e si va a guadagnare qualche soldo in terra elvetica. Là il lavoro in alpe è meno impegnativo e più redditizio, i Valdostani sono preferiti ad altri operai perchè conoscono la lingua, ma soprattutto sanno fare il mestiere. Quindi? Cosa succederà su queste montagne? C’è il rischio che vengano abbandonate? Ho ricevuto un paio di inviti per recarmi in alpeggi valdostani prossimamente… ovviamente chiederò e vi racconterò ciò che verrò a sapere! Intanto, qui vecchi articoli dove già avevo parlato di Val d’Aosta.

Spazio di servizio

Oggi ospito sul blog un amico ricercatore, che sta svolgendo uno studio sulla rilevanza degli immigrati per la sostenibilità della pastorizia nell’Europa Mediterranea. Se qualcuno avesse voglia e tempo di rispondere alla sua breve inchiesta, per aiutarlo nel suo lavoro… Grazie mille!


 

Il ruolo dell’immigrazione per il futuro del pascolo mediterraneo

L’economia agricola e dello sviluppo rurale dipendono sempre più dalla presenza e dal contributo degli immigrati alla produzione alimentare e alla gestione del territorio. Una ricerca congiunta Coldiretti/Caritas nel 2013 indica che “I prodotti dell’agricoltura italiana passano nelle mani dei lavoratori stranieri che rappresentano circa il 25 per cento del numero complessivo di giornate di occupazione del settore. (…).

Questo fenomeno ha un’importanza specifica nei paesi del Mediterraneo, per 2 motivi principali:

1) le filiere dell’agro-alimentare e del turismo costituiscono significativamente i pilastri dello sviluppo sociale, culturale ed economico locale, rappresentando il corpo della Politica Agricola Comune cui l’Unione europea dedica circa il 40% delle proprie risorse;

2) i paesi EU del Mediterraneo – Italia, ma anche Spagna, Francia e Grecia – erano fino a poco tempo tradizionalmente terre di emigrazione, e si ritrovano ora a ricevere e gestire un importante flusso migratorio all’interno dei propri territori.

La pastorizia rappresenta un settore specifico in questo contesto, poiché in molte regioni questa importante attività continua a esistere grazie agli immigrati che arrivano da altre comunità di pastori (sostanzialmente da Marocco, Romania, paesi Balcanici), portando la loro esperienza, le loro conoscenze e le loro pratiche.

Nel caso dell’Abruzzo i dati della Coldiretti indicano che circa il 90% dei pastori attivi sul territorio è di origine straniera. Come insegna anche l’esperienza dei Sardi insediatisi nel centro-Italia nel Novecento, questo processo comporta conseguenze importanti per la società, l’ambiente e l’economia rurale locale.

Trovare il modo di integrare questi immigrati rappresenta una sfida fondamentale per la sostenibilità della pastorizia e per il futuro delle aree montane.

  • Qual è la vostra esperienza in questo senso ?
  • Quali opportunità e quali problematiche presenta questo fenomeno ?
  • Quali sono i fattori che stanno cambiando oggigiorno il lavoro di pastore ?
  • Pensi che la Politica Agricola Comune (CAP) dell’UE e le politiche nazionali riguardo alla gestione dei flussi migratori e del mondo del lavoro siano adeguate alla situazione ?

 TRAMed Transumanze Mediterranee

contatto: Michele NORI, michele.nori@eui.eu


 

Per alleggerire un po’ (ma la cosa è volutamente seria, vi sarei molto grata se rispondeste a Michele), eccovi qualche bella foto dell’amico Leopoldo. Settembre 2014, Monte Grappa (TV), il gregge di Battista e Mario Perozzo.

Grazie a Leopoldo Marcolongo per le belle immagini. Ho fatto una selezione tra le tante che mi ha inviato.

Vagando in montagna

Quest’anno si può ancora andare in montagna, nella zona degli alpeggi, senza quasi trovare neve. Al massimo qualche placca di ghiaccio, o nemmeno quella, se il vento soffia caldo come in questi giorni.

Fa uno strano effetto vedere tutto così spoglio: i pascoli completamente gialli, si vede persino dove arrivava il filo delle vacche, in alto. Il paravalanghe che protegge il villaggio di Pequerel in questo momento non ha utilità.

Gli animali selvatici non hanno bisogno di scendere in basso per cercare nutrimento. I cinghiali lavorano indisturbati, la terra non è gelata, rivoltando e rovinando i pascoli. Lungo il sentiero, escrementi di ungulati e di lupo.

Qualcuno ha recentemente fatto pulizia, approfittando anche della mancanza di neve. Gli antichi terrazzamenti sono progressivamente sempre più invasi dai cespugli di rosa canina, crespino e altre piante, ma la loro espansione porterà alla perdita totale dei pascoli. Presumo però che un tempo questi fossero campi! Qualcuno ne ha ripulita almeno una parte, ammucchiando i rami spinosi.

Il vento soffia sempre più forte, le raffiche si sono intensificate, dalle creste di fronte si alzano pennacchi di neve e, via via, restano scoperte le rocce. C’è bisogno di neve. Pioggia ne abbiamo avuta tanta, in autunno, ma adesso servirebbe la neve a tener coperta la terra, a garantire una buona primavera, una buona estate, pascoli e sorgenti hanno bisogno di neve.

Scendo a valle e faccio visita ad un amico. Voglio parlarvi di lui anche se non è un allevatore, in quanto la sua attività fa sì che stia diventando conosciuto tra gli appassionati di questo mondo. Simone è un giovane abitante di Fenestrelle. Dopo un diploma all’Istituto agrario, una breve esperienze nell’ambito delle assicurazioni, da un paio di anni ha deciso di vivere e lavorare a tempo pieno sul territorio, per il territorio, svolgendo due attività.

La prima è quella che vi mostro ed ha a che fare con il legno. ST Legno d’Oc si trova appunto a Fenestrelle (Via Roma, 32). Qui vediamo la realizzazione di una canaula, che serve per sostenere le campane al collo di capre e pecore.

Visto che il mondo è piccolo e gli appassionati si ritrovano, la campana che sta per essere montata sulla canaula è opera dell’amico Silvio ‘d le Cioche. Trovate entrambi su Facebook, Simone e Silvio, se siete interessati ai loro lavori. Entrambi, attraverso questo mezzo, si sono fatti conoscere e riescono a far arrivare i loro lavori anche in altre parti d’Italia.

Ma i lavori in legno (compresi serramenti e mobili) sono solo una parte dell’attività di Simone. Perchè la montagna di oggi deve essere multifunzionale per sopravvivere. E così c’è l’azienda agricola Agri d’Oc, con produzione di patate, prodotti orticoli, frutti di bosco, uova & polli e anche il grano saraceno, grazie ad un progetto che si sta sviluppando in questi ultimi anni.

Non vi ho parlato direttamente di pastorizia, in questo post, ma vi invito a riflettere sul come si riesca oggi a sopravvivere in montagna. Bisogna fare tante cose… e per ciascuna c’è un bel carico di burocrazia, cosa di cui parlavamo anche mentre Simone terminava la canaula. Bisogna darsi da fare, bisogna avere una buona dose di passione anche per essere un agricoltore/falegname. Il socio di Simone, Marco, invece realizza gioielli in argento. Nell’esposizione di Fenestrelle trovate anche i suoi lavori, ma la sua residenza è nella borgata Fondufaux. Qui il suo sito. Tra l’altro, un pastore vagante pascola intorno alla casa di Marco, durante la stagione d’alpeggio. Visto che il mondo è piccolo?

Pascolo vagante per tutti?

Spero di non essere anch’io un po’ responsabile di questo fenomeno… Sicuramente no, non ho di questi poteri! Però ogni tanto mi capita di ricevere delle e-mail in cui qualcuno mi racconta di essere un appassionato lettore di questo blog e… di aver voglia di lanciarsi in una nuova vita, di dedicarsi al pascolo vagante.

In questi giorni, facendo visita a questo o quel pastore, un po’ scherzando, un po’ sul serio, consideravamo come ormai vi fossero pecore ovunque. E non poche! Ci sono le grosse greggi “storiche”, quelle che da anni ed anni passano in zona, transitano per poi continuare il cammino nella pianura, magari fino a raggiungere le colline del Monferrato. Anche in questo caso c’è chi storce il naso e vorrebbe che questi pastori “camminassero”, andassero oltre senza fermarsi giorni e giorni, come se l’erba da queste parti dovesse rimanere “intera” per chi non fa tanti chilometri e gira solo in un breve raggio intorno a casa.

Ci sono pastori nuovi, che hanno iniziato e stanno “crescendo”. Ma hanno anche loro il diritto di portare avanti il proprio cammino. Ovviamente bisognerebbe rispettarsi l’uno con l’altro e non pestarsi i piedi, invece non sempre è così. Purtroppo, sia toccandolo con mano, sia sentendolo raccontare, si vede che la guerra tra poveri è sempre più “cruenta”. Una guerra a colpi di erba “rubata”, strappata uno all’altro. Fanno le corse per superarsi l’un l’altro oppure tizio compra l’erba che l’anno prima pascolava caio.

Insomma, già non è un mestiere facile… Altro che preoccuparsi solo del tempo, che da mesi e mesi vede più pioggia che cielo azzurro, oppure badare alle nascite, al benessere del gregge. Da una parte c’è la burocrazia e dall’altra tutti i problemi per trovare i pascoli. Assurdo parlarne in un’annata in cui è tutto verde e non sembra poter mancare l’erba.

Eppure da queste parti si parla quasi solo di questo: vai da un pastore, vai dall’altro e ti raccontano le stesse cose. “L’erba nel tal posto me l’ha presa il tale…“, peggio ancora quando vai a vedere le zone che dovevi pascolare nelle settimane successivi e le trovi già mangiate o con fili/reti tirate e animali dentro. Se lasci da pagare l’erba, il contadino il numero di telefono per rintracciarti lo trova, ma per chiedere se il pascolo ti interessa anche quest’anno… Questa è la realtà del pascolo vagante.

Ma ha senso lavorare così? Vai a trovare un pastore e quasi fatichi a trovarlo perchè ci sono altre 2-3 greggi lì vicino e ti perdi a seguire le tracce sulle strade. Vedere più greggi a distanza ravvicinata raramente significa che lì i pastori vanno d’accordo e si spartiscono i pascoli in amicizia… Vuol dire che uno non ha accettato di spendere tot per l’erba e allora il contadino l’ha offerta ad un altro. Comunque i prezzi salgono sempre più e certi pastori faticano a far quadrare i bilanci. C’è chi pensa che il pastore vagante non spenda niente perchè non ha cascina-fieno-paglia. Le cose, almeno da queste parti, funzionano diversamente.

Mi è capitato di riflettere con molta amarezza sullo scarso rispetto che vige oggigiorno. Non conta più la parola (i contratti per l’erba tra pastore e contadino sono ancora tutti orali), si guarda l’interesse e ci si calpesta gli uni con gli altri. Altro che poesia del pascolo vagante! Ho sorriso nel ricevere un’e-mail in cui mi si chiedeva se, secondo me, era possibile iniziare con una ventina di capi e coprire le spese. Forse dell’erba che mangiano quella ventina di pecore, ma devi anche acquistare le reti, la batteria, fieno se viene a nevicare e… e tu intanto di cosa vivi?

Ci sono pastori che hanno già ridotto il numero di pecore, altri che vogliono farlo. Pastori che hanno sempre fatto questo. E poi ci sono tutti quelli che iniziano. Magari hanno un altro lavoro e tengono chi 40, chi 50, chi anche 80-100 pecore. Non è solo un hobby, perchè entrano in competizione con chi vive esclusivamente di pastorizia, sia nell’accaparrarsi i pascoli, sia nell’immettere sul mercato gli agnelli. Un mercato che, come sappiamo, fatica sempre di più. Il pascolo vagante non è per tutti, non fatevi prendere dall’entusiasmo e dalla poesia…

Ogni pastore una storia

In dieci e più anni di pastori ne ho incontrati tanti. Ciascuno con la sua storia. Ma mi piace sempre ascoltarne di nuove e condividerle con voi che mi seguite. Anche nei miei libri ho parlato dei pastori che, una volta, emigravano in Francia per lavorare. Poi sono arrivati in Italia i pastori dalla Romania, a fare gli operai per gli allevatori locali. E adesso?

Immagini che vi ho già mostrato tante volte. La campagna autunnale, un gregge in cammino, alla ricerca di nuovi prati, stoppie o incolti. Il pascolo vagante, insomma. Questo gregge in particolare non l’avevo mai fotografato. Ho incontrato il pastore alla Fiera di Luserna e mi ha chiesto se potevo andare da lui a scattare qualche foto.

Il pastore è una vecchia conoscenza. La prima volta che ci siamo incontrati, anni fa, lui lavorava insieme a Fulvio. Avevano gli animali in società e, per qualche stagione, ha seguito il cammino di quel gregge dalla montagna alle colline dell’Astigiano. “Fulvio è il mio maestro. Ho imparato tanto da lui. A volte magari non era facile lavorarci insieme, ciascuno ha il suo carattere, ma non l’ho mai visto lasciar morire un agnello. Piuttosto si inginocchia nel fango, sotto la pioggia, per cercare di farlo succhiare, per tentare il tutto per tutto.

Il gregge si sposta nelle campagne. Deve arrivare nell’Astigiano prima che il suo padrone riparta. E qui allora devo iniziare a raccontarvi questa storia… Sapete che, tra pastori, le notizie viaggiano alla velocità della luce. C’è “radiopecora” che le diffonde, tra passaparola, telefonate e gossip. Già due estati fa infatti avevo saputo che Piero, il pastore che conduce questo gregge, aveva fatto la stagione oltreconfine, in Svizzera. Me lo aveva confermato lui stesso, quando lo avevo incontrato, sempre alla fiera.

Poi però avevo sentito dire che aveva lavorato là anche d’inverno. Pascolo vagante come quello del film “Hiver nomade“? Viene subito in mente il gelo, la neve, le parole che avevo sentito da un pastore che, per tutta la vita, aveva lavorato in terra elvetica. Qui però abbiamo un gregge, pecore e capre, che si spostano e che salgono in alpeggio in Piemonte. Ho mille domande da fare per cercare di capire questa storia.

Dopo aver attraversato la strada, si torna in aperta campagna. Trattori nei campi che si affannano ad arare o a portare via le rotoballe dalle stoppie del mais. E’ prevista pioggia, così i contadini si affrettano. I pastori sperano che non ne cada troppa, che il terreno non si inzuppi, che gli animali non sprechino troppa erba.

Il padrone del prato ha preceduto il gregge fin qui, per mostrare dove fosse. “Gli altri anni chiedevo ad un altro pastore, ma alla fine non è mai venuto a pascolarla… falla mangiare tutta, quest’erba!“. Gli animali non si fanno pregare. I pastori scaricano gli agnelli più piccoli dal furgone, i cani sorvegliano. Piero mi racconta che è proprio grazie ai cani da guardiania che è finito in Svizzera. Era stato invitato oltreconfine da una veterinaria per portare la sua esperienza di lavoro con questi animali insieme al gregge e là ha sentito parlare dello stipendio mensile per chi fa la stagione estiva. “Per quelle cifre, ci vengo io! Un anziano mi ha sentito, mi ha chiesto se scherzavo, abbiamo parlato tutto il tempo del pranzo e alla fine…

Così adesso Piero è diventato uno strano pastore vagante. Il suo gregge resta in Piemonte, sorvegliato da altri: “Avevo pensato di venderle, ho fin chiamato il commerciante a vedere, ma poi non me la sono sentita… le capre soprattutto!” Lui d’estate lavora in alpeggio, in Canton Ticino, badando agli animali di una quindicina di proprietari. D’inverno invece conduce al pascolo il gregge di un unico allevatore. Animali in asciutta e montoncini da ingrasso. “Lo scorso anno ho fatto la prima stagione invernale. Per fortuna non è stato un inverno troppo freddo…

Qui le pecore stanno chiamando gli agnelli, in Svizzera invece le fattrici restano in cascina, non seguono il gregge. “Là è tutto diverso. Ogni Cantone c’è un solo pastore. La gente è gentile. Io non parlo Tedesco, ma in qualche modo… Arrivi nei paesini e vengono le mamme con i bambini per vedere le pecore. Portano un cesto, con dentro il thermos, la torta! Altro che da noi! Un giorno una ragazza è venuta e mi ha fatto capire che voleva fare la foto con me. Dopo un’altra ha tradotto quello che diceva. Era il suo compleanno e, il fatto che il pastore fosse arrivato nel suo paese proprio quel giorno, era di buon auspicio. Per quello ha voluto la foto!

Riflessioni sulla figura del pastore

Riflessioni su “chi è il pastore” ne avrei da fare per ore, senza però arrivare ad una definizione univoca che vada oltre il “chi conduce al pascolo un gregge di pecore e/o capre”. Però posso raccontarvi un po’ i miei pensieri dopo una gita oltralpe di qualche settimana fa.

Sulla pastorizia francese abbiamo già parlato più volte. Incontrare un ragazzo italiano, che ha frequentato la scuola di Merle e attualmente lavora in alpeggio per un allevatore della Crau può essere molto interessante per capire qualcosa in più. In più occasioni ho già avuto l’impressione che (generalizzando, ovviamente esistono casi molto diversi tra loro) ci sia una grande differenza tra la maggior parte di quelli che “vanno a fare i pastori” in Italia e altrove. Anche da noi ci sono giovani (e meno giovani) che desiderano cambiar vita e avvicinarsi al mondo dell’allevamento come scelta di vita, ma in Francia molti lo fanno con un’ottica differente.

Dal momento che l’allevamento ovino in Francia è strutturato diversamente, con le grosse aziende e gli allevatori, che a loro volta impiegano pastori salariati, chi sceglie di fare il pastore lo fa con un’altra filosofia. Sceglie soprattutto un mestiere che implica un determinato stile di vita. Nomade, lontano dalla società, con rapporti stretti più con gli animali che non con le persone. Ovviamente in qualunque caso fare il pastore ti porta ad un’esistenza particolare, ma una parte dei “pastori salariati” esistenti oltralpe in più occasioni mi ha dato l’impressione di una sorta di “scelta di vita alternativa”, che però garantisce anche un buon stipendio.

E qui sta la grossa differenza con l’Italia. Non l’unica, ma è comunque un punto rilevante. Poter pagare stipendi dignitosi ai pastori (grazie ad un mercato dell’allevamento ovino più redditizio, grazie a contributi destinati agli allevatori evidentemente pensati diversamente, ecc ecc) fa sì che chi vuole fare questo mestiere possa dedicare del tempo alla formazione e in seguito vivere del proprio lavoro. Con un allevamento di pecore da carne, chi può permettersi di pagare stipendi mensili per un aiutante che superano anche i 1500-2000 euro? Non a caso si parla già di alcuni pastori italiani che hanno ripreso ad emigrare come un tempo, per andare a lavorare in Svizzera! E non parlo di giovani che hanno fatto “la scelta di vita”, ma vero e propri pastori che hanno trovato soluzioni alternative per i propri animali qui e… via a badare ad un gregge su altre montagne, percependo uno stipendio che qui nemmeno ti puoi sognare.

Certo, se fai il pastore devi amare gli animali, avere la passione per le pecore. Ricordo però cosa mi diceva un grande pastore, mio amico, che nella sua vita ha sempre solo lavorato come salariato. “Il mio rimpianto è non aver avuto pecore mie.” Fai del tuo meglio per tener bene gli animali che ti affidano, ma non sei tu a scegliere le agnelle da allevare, il maschio da utilizzare come riproduttore. Anche se lavori estate ed inverno con lo stesso gregge, non hai comunque le soddisfazioni che ti darebbero animali tuoi. Sono sottigliezze che solo chi è del mestiere può arrivare a percepire. Anche il pastore salariato ha l’orgoglio di voler scendere dalla montagna con un gregge che faccia bella figura, perchè quello è il frutto del suo lavoro estivo, ma credo che vi sia una mentalità diversa tra il generico “pastore” che incontro normalmente sulle nostre montagne e molti di questi berger salariati. Il 27 avrei intenzione di tornare alla fiera di Barcellonette, ma nel frattempo vi invito a riguardare queste immagini di una edizione degli anni scorsi.

Quest’anno la stagione è stata difficile. Qui abbiamo una bella giornata di sole, ma sappiamo bene come molto spesso non sia stato così. Pioggia, nebbia, pecore zoppe, immaginatevi cosa possa significare per un pastore “neofita”, salito in alpe per la prima volta con un gregge, anche se con alle spalle un anno di scuola in cui ha svolto parecchia pratica. Non so se sia un caso, ma spesso, nel corso dell’estate, sull’apposita pagina facebook leggevo spesso annunci del genere: “Recherche urgent un(e) berger(e) pour fini estive dés que possible jusqu’au 10 octobre environ 1750 brebis a garder au col du… s’adresser à… “, a testimonianza del fatto che, nel corso dell’estate, qualcuno non ce la faceva più a portare avanti il lavoro. A volte i sogni sono diversi dalla realtà!

Qui infine vedete il ricovero d’alpeggio. Il pastore mi spiega che questo rappresenta il minimo sindacale previsto dai contratti, dal momento che non c’è la luce e nemmeno l’acqua interna. E’ sicuramente spartano, come alloggio, ma già meglio di certe situazioni che ho incontrato nelle vallate piemontesi. Il giovane pastore dice che, chi vuol fare questo mestiere, deve andarsene dall’Italia! Sembra di capire che lui, dopo aver guadagnato un po’ di soldi come salariato, voglia mettersi in proprio. E’ un’utopia pensare che qualcosa possa cambiare anche da noi? Ovviamente è inutile pensare a fare una formazione specifica se poi nessun pastore può garantire uno stipendio decente ai suoi aiutanti.

La delusione dei giovani

La mia presenza qui diminuisce proporzionalmente con l’impegno legato alla pastorizia “sul campo”. Vale per tutti quelli che praticano il mestiere dell’agricoltore o dell’allevatore. Ciò nonostante, la maggior parte dei giovani (e non solo) di oggi cerca di ritagliarsi un po’ di tempo per “condividere” con il resto del mondo sui social network pensieri, preoccupazioni, immagini. Ci si sente meno soli, meno incompresi.

(foto M.Colombero)

Riporto qui la lunga e amara riflessione di Michele, margaro cuneese. Non uno di quelli che si piangono addosso e non vedono oltre i confini della propria stalla, ma un ragazzo che vive la sua passione riuscendo anche a trovare del tempo per concedersi qualche spazio per il divertimento e lo sport. “Grazie… grazie all’arpea, all’agea o forse grazie alla Coldiretti o ancora di più a Roma e alla finanza… la mia lista di ringraziamenti potrebbe risultare lunga e strana per chi non comprende, ma credo che ognuno di questi enti citati abbiano bisogno di essere ringraziati, per l’impegno profuso che stanno portando avanti x ucciderci!!
Pac, titoli, anomalie, blocchi, indagini, tare, retroattività e multe e chi più ne ha più ne metta!! …queste sono le uniche cose che da 7 anni rimbombano nella mia testa… 7 anni che sento parlare di questo e basta.
Mai ho sentito pronunciare la parola “valorizzare”, sarà così complicata?! Nessuno li ha chiesti i contributi europei e visto che ormai, più che un’integrazione al reddito o un aiuto all’agricoltura, sono diventati redditi veri e propri, solo x alcuni speculatori come logicamente solo in Italia poteva avvenire… allora perché non li togliamo? Perché non iniziamo a parlare della vita che realmente ogni santissimo giorno svolgiamo? Perché non valorizziamo il lavoro e tutto ciò che comprende esso al suo interno?Perché non analizziamo azienda x azienda e capiamo davvero chi e cosa stiamo portando avanti a livello di tradizione coltura e dedizione al lavoro!? Perché non capite quanto sia difficile al giorno d’oggi (x spontanea scelta x carità) svolgere una vita di infinite rinunce e sacrifici che il mio stile di vita comporta? Quanto sia diventato praticamente impossibile far coesistere questo nuovo e moderno sistema al mio vecchio e tradizionale lavoro (x colpa vostra)!! Perché io che sto dando tutto, che sto cercando di non mollare, che sto cercando di condurre la vita che ho sempre sognato vengo spinto in un imbuto che porta al nulla? E tantissimi davanti e dietro di me spinti al medesimo destino?
Sono stanco perché chiedo solamente di poter lavorare e non di fare una guerra continua e quotidiana x poter stare in piedi! Sono stanco perché in fin dei conti viviamo tutti una volta sola, per quello che sappiamo, e non merito e non accetto di dover fare una vita così, senza più prospettive future senza soddisfazioni ne raggi di sole!! E mangiare merda di continuo, e non perché non so fare il mio lavoro, ma semplicemente perché chi ci gestisce pensa che siamo una categoria di ignoranti, che si accontenta di una bottiglia di vino e di una campana nuova!!! Non lo merito io che sto entrando in punta di piedi, ma soprattutto non lo merita mio padre, mio nonno o chi prima di lui ha condotto una vita fondata sul lavoro sui sacrifici, x poi essere dimenticati in questo modo.
Il nostro lavoro è la nostra passione, perché se così non fosse non ci saremmo più… ma di sola passione non è immaginabile né concesso vivere…
Guardare il cielo e sperare che tutto cambi è l’unica cosa rimasta, ma non può bastare.

(foto M.Colombero)

Non servono tanti commenti, Michele ha già detto tutto. Volevo però ancora riportare alcuni altri messaggi e commenti letti e ricevuti sempre su facebook. Perchè la testimonianza del giovane margaro viene dall’interno di questo mondo. Chi invece lo vede dal di fuori ha tanti sogni e quasi si offende quando cerchi non di scoraggiare il suo entusiasmo, ma semplicemente gli mostri la realtà.

Ancora una testimonianza. Scrive C., titolare di una “piccola” azienda agricola: “Ebbene sì… si lavora per nulla ormai e quasi che devi ringraziare ancora che ti ritirano le bestie… ma svendere dopo il lavoro grande che c’è dietro a ogni bestia è veramente vergognoso… agnelli a 3 euro..uno mi ha detto addirittura detto che c’è un macellatore che li ritira a 1 o 2 euro al kg… con 5 cani che ho ne macello uno alla settimana per loro..spendo meno che comprare crocchette!!!!
quel che mi domando sempre io… ma com’è che ci son certe categorie che son chiamati i “travaj borgnu” e lì paghi e bon parei?????
Ho in andi una pratica noiosa e pesante da un avvocato,con giudice,con perito e notaio me ne son fatta per 5000 euro… per quella cifra devo vendere tutto il mio trup di pecore o ingrassare 5 vitelli per un anno e mezzo per vedere tutti ‘sti soldi…

C’è invece M., che vorrebbe intraprendere questa la strada dell’allevamento/azienda agricola: “Mi sono informato su come potere avere dei finanziamenti x prendere degli animali: code  negli uffici a parte, ma la burocrazia ti distrugge non hai sbocchi concreti.” Moltissimi continuano a scrivere e me e ad altre pagine/siti per cercare lavoro in alpeggio o in azienda agricola, ma si lamentano per la poca offerta o per il fatto che si richieda “esperienza nel settore”. Anche qui delusione da parte di chi dice di aver voglia di fare, ma non viene nemmeno messo alla prova. Anche se ho già scritto altre volte a riguardo, mi riprometto di parlarne ancora appena avrò tempo. Come vedete, non è facile fare il pastore e, con le difficoltà attuali, molte volte non puoi più nemmeno permetterti di pagare un aiutante, anche quando ne avresti bisogno.

Esperienza

Trattiamo un tema non nuovo, quello del lavoro in un’azienda agricola. Prendo spunto da un paio di “suggerimenti” che arrivano dal web. Oggi pomeriggio inizia il primo dei due corsi dedicati a titolari e coadiuvanti di azienda agricola sul tema della pastorizia. C’era stato chi, anche dalle pagine di questo blog, si era indignato perchè venivano spesi dei soldi (i corsi sono gratuiti) per chi non ne aveva bisogno, mentre servirebbero dei corsi per chi ha il sogno di fare il pastore, ma non ha nessuna esperienza. A parte il fatto che a tutti un po’ di conoscenza in più fa sempre bene…

Non è affatto facile mettere in piedi un corso del genere, una “formazione da pastore“. Specialmente in un momento come questo, dove tutti “tagliano” tutto. Ci siamo provando, ci stiamo muovendo, ma per ora la strada giusta da percorrere non si è ancora trovata. Così uno si arrabbia se mette un annuncio in una pagina dedicata al “lavoro in alpeggio” su facebook e nessuno gli risponde: “o fatto domanda e non mi ha risposto nessuno e vero che non o pratica pero almeno rispondere e dire non o bisogno“. Certo, potevano rispondergli, però un’azienda agricola tradizionale non è un ufficio e magari non è nemmeno detto che leggano le e-mail ogni giorno.

Per tutti i lavori serve l’esperienza, solo che generalmente uno ha l’idea che, se hai la buona volontà, ti fanno vedere e poi tu impari. Solo che, se devi avere a che fare con gli animali, non avere esperienza può anche essere rischioso. Inoltre, chi ha bisogno di personale, generalmente ha una reale necessità urgente e vorrebbe qualcuno che, al primo giorno di lavoro, sia già in grado di mungere la vacca senza dovergli spiegare da che parte si inizia.

Però, tornando al corso per i titolari di azienda agricola che non avrebbero bisogni di aggiornamenti, l’altro giorno mi sono rimasta esterrefatta ricevendo una sere di quesiti da chi un’azienda ce l’ha e pratica pure attività didattica. Così mi sono messa a cercare informazioni su cosa significhi “fattoria didattica” e come ci si muove per aprirne una. Ho visto che in molti casi serve una certificazione per la didattica, ma non sarebbe meglio verificare prima la parte agricola? Sapere come si allevano gli animali (e magari scrivere correttamente sul sito aziendale il nome della razza caprina) potrebbe essere buona cosa, soprattutto se poi lo devi insegnare ai bambini. Già così buona parte delle nuove generazioni non sanno cosa sia una capra, pensano che le vacche siano bianche e viola e rimangono confusi davanti agli animali da cortile, dato che loro mangiano il pollo, mentre lì vedono solo il gallo e la gallina…

Da una parte assistiamo a questa volontà di “ritorno” alle radici, alla ruralità, un po’ per “bisogno fisiologico”, un po’ per moda, un po’ perchè si pensa che così si riesca a sfuggire alla crisi. Dall’altra però bisogna rendersi conto che ormai c’è stato un passaggio dal quel mondo (che è poi solo quello dei nostri nonni o bisnonni) a qualcosa di totalmente diverso, per cui la mancanza di esperienza è davvero totale. Ecco allora perchè un allevatore diffida di chi dice di non avere alcuna pratica, magari (perdonatemi la battuta) teme che vada a mungere il becco per primo, in mezzo al gregge!

Mi hanno parlato di “capre da compagnia” e io sono crollata. Rispondo a tutte le vostre lettere, i vostri commenti, cerco di consigliare e soddisfare le vostre curiosità, di risolvere (se sono in grado) i vostri problemi, ma solitamente mi ero trovata di fronte a persone che avevano un piccolo numero di animali… per passione e non per compagnia! Se hai una fattoria didattica e, riguardo agli animali, dici: “I bambini potranno conoscere il loro ciclo produttivo“… Allora presumo che la capra partorisca e abbia il latte. Invece no, tengono qualche capra (senza maschio) per compagnia. Forse sono io che sbaglio, ma c’è qualcosa che non mi quadra, specialmente in una fattoria didattica! Cosa chiederà il bambino quando tornerà a casa? “Mamma, mi prendi una capretta che mi faccia compagnia?