Tutto a piedi

Sabato scorso ho preso parte ad una tappa di una transumanza. E non parlo di un gregge, di un pastore vagante che si avvicina alla pianura pian piano pascolando mentre ridiscende la valle. Sono stata invitata da dei margari a vedere il passaggio della loro mandria nel centro del paese, ultima tappa per raggiungere la loro cascina. Però perchè andare in pianura? Se la transumanza era tutta a piedi, era la montagna che avrei preferito vedere!

Così sabato scorso raggiungo il Colle di Sampeyre, tra la Val Varaita e la Val Maira, senza badare troppo alle previsioni meteo non ottimali. La transumanza era iniziata il giorno prima quando, dai pascoli dell’alpeggio di Elva, si era appunto raggiunto un luogo dove fare sosta lungo l’antica strada militare che percorre tutto lo spartiacque tra le sue vallate. C’era ancora un minimo di visibilità, il maltempo e il freddo già avevano caratterizzato il primo tratto di cammino e la nottata.

Si inizia attaccando un po’ di campanacci. Si sostituiscono quelli “da pascolo” con quelli per la transumanza. Fa freddo e le nuvole si stanno abbassando. La stagione è già decisamente avanzata, per queste quote. Terminato il lavoro, c’è giusto il tempo per un sorso di qualcosa di caldo, un pezzo di cioccolato, poi inizia a piovere.

La pioggia però gira subito in neve. Fa freddo, è ottobre, si è oltre i 2000 metri. La speranza è che non sia una nevicata di lunga durata, sia per la transumanza, sia per venire la sera a recuperare le auto che rimangono lì. Ci si incammina, inizialmente le vacche non sembrano molto convinte di riprendere la strada.

Questo percorso avrebbe potuto essere molto panoramico, è un luogo molto bello. Con il sole, i colori dell’autunno, le montagne innevate sullo sfondo, qui ci sarebbero state da scattare infinite foto. Invece un po’ il freddo, un po’ la pioggia, la neve, la mancanza di panorama, tutto contribuisce ad avanzare quasi meccanicamente, pensando innanzitutto a scaldarsi un po’.

Qua e là ci sono ancora accumuli di neve dei giorni scorsi, di quella prima nevicata che ha fatto scendere la maggior parte di quelli che erano ancora in alpeggio. Adesso sta cadendo nuova neve, che si ferma sulla terra dura, gelata, e sull’erba ingiallita. Qui non c’è più nessuno da tempo, nè bovini, nè il gregge di pecore che pascola questi versanti.

La strada si abbassa un po’ di quota o forse si alzano le temperature, comunque smette di nevicare e piove soltanto più. Gli animali rallentano dove il fondo è più sassoso, il cammino prosegue a passo regolare. Chiedo a Federica se tutti gli anni scendono a piedi in questo modo. “Siamo a Elva da quattro anni, i primi due abbiamo caricato, poi lo scorso anno… Abbiamo pensato di andare giù a piedi. La strada del Vallone adesso è chiusa, fare il giro dall’altra parte a piedi è comunque lungo, prima di arrivare ad un posto dove puoi caricare sui camion. Qui c’è questa strada dove passi senza dar fastidio a nessuno. Abbiamo trovato dei posti dove fare tappa e così…

E così si cammina. Partenza al venerdì, arrivo al martedì, ovviamente ogni giorno bisogna sia spostarsi, sia riuscire a far pascolare gli animali. Si scambia versante, smette di piovere, ma la nebbia resta fitta. I passi percorsi iniziano ad essere tanti, gli animali hanno anche fame, le foglie dei lamponi lungo la strada li attraggono irresistibilmente.

Nel rivedere le foto a distanza di una settimana sembra un po’ di osservare dei quadri, con i colori dell’autunno nel momento migliore della loro bellezza. Quando però uno era lì a camminare nell’umidità, nel freddo, con la stanchezza e la fame che aumentavano, tutto era meno romantico e bucolico.

Anche nel resto della valle il tempo non è migliore, ma almeno abbassandosi di quota si può godere di un po’ di panorama. A modo suo è pittoresco anche questo e, come ho detto molte volte, spiace lasciare la montagna quando sembra che ci possano ancora essere belle giornate per rimanere su. Però Federica e Luana mi raccontano dell’anno scorso, quando faceva così bello, quando si stava in maglietta tanto faceva caldo…

Si vede la meta, finalmente. Sembra vicina, ma tornante dopo tornante, la strada è ancora lunga. Per quel giorno si percorrerà una quindicina di chilometri, dicono i margari. Io questa strada la conoscevo bene dai tempi in cui la frequentavo in mountain bike e l’avevo pedalata sia in salita, sia in discesa. E’ la prima volta invece che la vedo come scenario di una transumanza.

Quasi al colle invece finalmente ecco parte dello spettacolo che si sarebbe potuto ammirare nel corso di tutta la giornata, con le creste, le montagne, i pendii. Ci sono dei motociclisti tedeschi (la Val Maira e le sue strade sono molto amate dagli stranieri) che si affrettano a riprendere la scena e scattare numerose foto.

E’ inevitabile pensare alle transumanze di un tempo, alle transumanze in cui per forza si andava a piedi. Ma non si passava in alta quota, si percorreva qualsiasi strada, perchè erano i percorsi in cui naturalmente transitavano gli animali. I mezzi a motore sono arrivati dopo, ma le strade sono (quasi) solo più loro. Non tutti sono contenti del fatto che una transumanza passi nel centro del paese, emergono mille problematiche nuove, responsabilità, paura che qualcuno di lamenti perchè gli animali “sporcano”.

L’ultimo tratto di cammino per quel giorno. La strada corre in piano, le vacche camminano in fila, cercando di evitare sassi e ghiaia, che già ne hanno pestati a sufficienza. L’asfalto non sarebbe stato meglio. E il viaggio sui camion? Lo stress del salire e scendere sulle pedane, sui piani degli autotreni? Molto meglio questo cammino naturale, anche se lungo.

Sono le 14:00 quando la mandria lascia la strada e sale nel bosco, per uscire nella radura. Sembra tutto giallo e secco, ma dopo qualche istante le vacche abbasseranno la testa ed inizieranno a pascolare. C’è anche una vasca e dell’acqua per farle bere. Per quel giorno il cammino è finito, non si andrà oltre.

Dal pick up vengono scaricati fili e picchetti. La modernità permette di non dover rimanere lì a sorvegliare gli animali al pascolo mentre si va a mangiare un boccone. Appena l’ampio recinto sarà stato fatto, si attaccherà la batteria per la corrente e si potrà andare al coperto a mangiare un meritato boccone di pranzo. Sì, sono le tre del pomeriggio, ma le transumanze e il lavoro non hanno orari definiti.

Finalmente poi arriverà un po’ di bel tempo, quello che si attendeva fin dal mattino. La speranza per i margari è di avere condizioni migliori per i successivi giorni di transumanza, visto che le prime due tappe hanno visto pioggia, neve e nebbia.

Quando c’è il sole, l’autunno e la montagna regalano scorci di rara bellezza, dove gli animali al pascolo aggiungono quella nota di vita che niente altro può dare. Presto la montagna sarà totalmente silenziosa, muggiti e campanacci risuoneranno solo alle quote inferiori, laddove c’è ancora qualcuno che alleva qualche animale. Poi inizierà l’inverno.

Ecco, per concludere, la foto ricordo di tutte le persone che hanno accompagnato la transumanza quel giorno. Ogni tappa vedrà un susseguirsi di amici, di accompagnatori che verranno a dare una mano o anche solo a percorrere qualche chilometro con la mandria, fino alla conclusione con il passaggio attraverso il paese di Busca.

L’erba del vicino non sempre è più verde

Solo ieri parlavo di come la pioggia fosse stata una benedizione su pascoli che cominciavano a mostrare chiazze di ingiallimento. Poi però mi è capitato, poche ore dopo, di essere in Val Maira ed ho toccato con mano la situazione in una delle valli in cui invece la siccità è già un drammatico problema.

Vedere scene del genere salendo lungo il Vallone di Marmora è impressionante. Finchè era l’erba gialla lungo la strada nel fondovalle, sulle rocce dove c’è poco suolo ed il vento soffia spesso, può essere ancora normale, a fine luglio. Ma poi salendo lungo i valloni laterali fa male al cuore scorgere simili panorami, specie quando si hanno in mente i verdi pascoli ricchi di fioriture di questi luoghi.

Le considerazioni da fare riguardo la siccità sono molte. Da una parte quelle sul clima, che troppo spesso sono solo parole… C’è chi dice: “L’ha sempre fatto, annate buone ed annate cattive, caldo e freddo, alluvioni e siccità!“. Vero, certo, ma gli esperti ci parlano di clima che cambia, innalzamento delle temperature (medie), eventi sproporzionati (brevi precipitazioni intense, anzichè distribuite, con conseguenze spesso drammatiche).

Poi qui possiamo riflettere su cosa la siccità voglia dire per il mondo degli alpeggi. Non ricacciano i pascoli già utilizzati, ma anche altrove l’erba è poca, era già poca quando si è saliti. Anzi, qualcuno è arrivato su che quasi non c’era niente da mangiare. Come si farà ad arrivare alla fine della stagione? Ma non sanno, gli allevatori, cos’è meglio per i loro animali? Ed ecco che entrano in gioco le leggi e… i soliti contributi. Cosa centrano? Centrano eccome! Per percepire alcuni di questi premi, bisogna fare un minimo di giorni di pascolamento (in questo caso in alpeggio), se si scende prima, niente soldi. Ovviamente le Associazioni di rappresentanza stanno già segnalando il problema alle Autorità, ma perchè dev’essere sempre tutto così complicato? Certo, per evitare i furbi, quelli che altrimenti prenderebbero i soldi senza pascolare davvero.

Le vacche della foto precedente erano state spostate da poco, prima avevano pascolato qui… La foto si commenta da sola. La Val Maira è terra di margari, la Val Maira è ricca di pascoli e di alpeggi, alpeggi che negli anni hanno visto carichi di bestiame sempre più imponenti. Maledetti contributi, anche qui la colpa è loro? Non so, però sentir parlare di 300, 400 vacche su di un alpeggio… Certo, magari la portata massima negli anni migliori può anche essere quella, però in annate così cosa succederà? Il danno su quelle montagne sarà doppio, da una parte quello “naturale” della carenza di acqua, dall’altra il sovrapascolamento e calpestamento di un cotico già sofferente. Le conseguenze le si vedranno negli anni a venire e non sarà facile porvi rimedio.

Alle quote maggiori solo apparentemente le cose vanno meglio. Si vede sì del verde, ma l’erba è molto bassa, i fiori sono già secchi, gli steli delle graminacee corti ed ingialliti. Qualcuno ha tardato a salire, fino alla seconda settimana di luglio, addirittura. Altrimenti gli animali non avrebbero avuto da mangiare a sufficienza ed in poche settimane si sarebbe esaurito il pascolo dei mesi successivi. Si pagano le conseguenze anche dell’inverno povero di neve. Piovesse ora per certi versi sarebbe comunque tardi, ma l’acqua serve lo stesso, fosse anche solo per alimentare sorgenti e torrenti.

Non siamo abituati a vedere le nostre montagne così gialle. Il ricordo va al 2003, quando alla siccità si era accompagnato anche un caldo eccezionale. Ma oggi si dimentica in fretta, sono tante, troppe le notizie che ci investono, non è più come al tempo dei nostri nonni, che sapevano citare la data e l’anno di una nevicata estiva, di una grandinata eccezionale, di un’alluvione. Adesso più che altro ci si preoccupa di chiedere i danni, danni per questi eventi che colpiscono  l’agricoltura, l’allevamento. Non lo so, a me il sistema sembra sempre più malato ed insostenibile. Con il tuo piccolo gregge, la tua piccola mandria, in qualche modo magari ti salveresti, spostando gli animali un po’ qua, un po’ là. Ma oggi hai centinaia e centinaia di capi da sfamare quotidianamente, hai i vincoli dei contributi, hai dovuto segnalare ad inizio stagione quando ti trasferivi da un alpeggio ad un altro… Se già la situazione della montagna e degli alpeggi è in grave pericolo, non avere nemmeno più il verde dell’erba a dare speranza mi fa sentire pessimista.

Qualcuno deve fare questi lavori mantenendo queste tradizioni ed essendo felici

Un’altra storia di un giovane la cui passione è così grande da fargli scrivere con la maiuscola il nome dei suoi animali, le capre, mentre il suo invece l’aveva scritto minuscolo…

Sono Felice Griseri, nato il 2 12 94. Abito a Villanova Mondovì, un paese di 6 mila abitanti, vicino alle montagne e ai boschi. Abito con la mia famiglia, ho due sorelle più grandi, poi ci siamo io e mio padre, mia madre l’ho persa per colpa di un brutto tumore al seno. Io ho 79 Capre, 3 mucche, 2 cani, 2 gatti, un po’ di galline e 5 conigli. La mia passione nasce quando da piccolo ho cominciato ad andare con mio padre, da lì ho cominciato a capire cosa voleva dire stare in campagna mi piacevano tanto le Capre perché erano simpatiche e mi piaceva giocare con loro e poi mi piacevano tanto i capretti perché sono come i bambini piccoli. E’ stato mio padre a cominciare, lui era nato già in una famiglia dove avevano già Capre e altri animali, però mio padre quando diventò grande andò a lavorare in fabbrica e ha lavorato per un paio di anni. Quando si sposò la passione per le Capre gli rivenne, smise di andare in fabbrica e cominciò a costruire la stalla. Poi mia madre si ammalò e se ne andò dopo 9 mesi di sofferenze. Allora da lì io cominciai sempre di più a frequentare mio padre. Mentre crescevo, mio padre mi stava insegnando tutti gli insegnamenti su come lavorare la terra, come tenere le Capre, come a fare a commerciare e pian piano la nostra azienda cresceva con qualche difficoltà di soldi (ma abbiamo pagato tutto con sacrifici e sudori e adesso siamo ben contenti). La nostra azienda produce capretti da carne per il mese di Pasqua, poi il latte ne facciamo qualche forma di formaggio per nostro uso, amici, cugini, ecc… La mia azienda è tradizionale ed il mio maestro che mi ha fatto imparare a fare formaggi è stato mio padre.

Io vado in montagna per altri, guardo le bestie del padrone della montagna, nel mentre guardo anche le mie Capre. A me piace la montagna perché è bella, tutta da esplorare e poi si sta bene, l’aria è buona, l’acqua è buona e si sta bene con gli animali.

La mia giornata inizia alle 6:30, si comincia ad far allattare i capretti sotto le madri per più o meno due ore, poi do il fieno alle capre, tolgo il letame, dopo di che preparo il latte ai capretti e glielo do. Do da bere alle capre e alle mucche, finisco tutto a mezzogiorno e un po’. Al pomeriggio inizio alle 14:30 dando fieno alle capre e mucche. Mentre mangiano, faccio qualche lavoro, poi alle 16:00 gli do da bere, alle 17:00 comincio a far puppare i capretti sotto le mamme, alle 18:30 preparo il latte e glielo do. Però mi aiuta ancora mio papà e questo succede adesso, in primavera le giornate cambiano. Come altri lavori faccio il fieno, porto il letame, tolgo la neve.

Ho studiato a Cuneo al’Enaip, una scuola professionale, dove ho scelto il termoidraulico, ma quella non era la mia strada e infatti quando ho compiuto 16 anni ho smesso e ho cominciato a darmi da fare a casa. Io ho abbandonato perchè la scuola serve solo per quelli che devono studiare, perchè se tutti studiano non c’è posto per tutti, qualcuno deve fare questi lavori mantenendo queste tradizioni ed essendo felici.

Quello che mi piace di questo mestiere è tutto, mi piace vedere gli animali che stanno bene, vederli mangiare. La mia soddisfazione è quella di vedere crescere in salute le caprette che allevo e vedere la mia azienda crescere. Non c’è niente che mi pesa perché mi piace tanto lavorare, perché impari cose nuove e progetti per il futuro. Un sogno che ho, mi piacerebbe andare in un’azienda a fare il conterzista, infatti ho anche una grande grande passione per i trattori. Adesso qui dalle nostre parti è dura, perché le bestie valgono poco e si hanno tante spese, si tribola a tirar avanti, poi ci sono tante normative e troppa burocrazia. Infatti c’è tanta gente anziana che lascia perdere tutto perché non ce la fa.

I miei amici mi vedono male perché io ho poco tempo libero e un lavoro brutto, sporco, ma queste per me sono balle! Il mio tempo lo passo sempre con loro le mie amate Capre meticce piemontesi.Voglio dire una cosa agli allevatori giovani: dobbiamo essere tutti uniti insieme e farci forza insieme, perché senza di noi non si mangia!

Io volevo ancora dire grazie ai nostri padri, un grazie molte perché sono loro che ci hanno insegnato tante cose e la dignità della vita. Fare l’allevatore è la cosa più bella che c’è perché gli animali sono più intelligenti delle persone: loro non hanno la voce, ma quando gli fai capire che gli vuoi bene, loro lo ricambiano facendotelo capire.

Per finire quest’immagine del luogo dove Felice sale in alpeggio. Su facebook scrive che la caserma che si vede nella foto è la sua casa d’estate. Siamo in alta Val Maira, un posto davvero bellissimo. Auguro a Felice di poter realizzare i suoi sogni continuando a coltivare la sua passione.

Tempo libero ne hai, se ti organizzi

Il mio giro in Valle Maira si è concluso da Roberto, classe 1985, nell'alpeggio ai piedi di Rocca la Meja (Alpe Margherina). Il luogo è splendido, la porzione di pascoli di competenza di quest'alpeggio è forse tra le più belle che mi sia mai capitato di attraversare nei miei viaggi tra le montagne. Mi ricordo che, ai tempi del censimento degli alpeggi (2004), l'unica lamentela raccolta quassù riguardava l'eccesso di marmotte!

Il papà di Roberto infatti raccontava che i bei pianori ed i dolci pendii del suo alpeggio erano letteralmente una groviera a causa delle tane delle marmotte. E le vacche si rompevano le gambe sprofondando nelle buche! Dicono che dove c'è l'erba buona abbondano le marmotte e qui se ne può proprio avere la dimostrazione. Numerose scappano mentre salgo in auto fin davanti alle baite, dove spero di trovare anche questo giovane, che mi è stato segnalato dai suoi vicini di alpeggio.

Ed infatti c'è, quel giorno è addirittura solo, dato che i genitori sono dovuti scendere a valle per qualche incombenza. Mi racconta la sua storia, simile a quella di tanti altri giovani figli di allevatori. Un corso di formazione, un anno di lavoro come meccanico e poi la scelta di seguire la passione… E così è tornato a lavorare in famiglia, con gli animali, conducendo una vita da margari, comprando il fieno per l'inverno. "Non ho mai pensato di smettere, ma se va avanti così finirà che saremo obbligati a fare altro!"

L'isolamento, quassù ad oltre 2000 metri di quota, è solo apparente. La strada permette di spostarsi facilmente e così Roberto racconta di uscire anche spesso. "Volendo tutte le sere, senza problemi! Per fortuna tra qui ed Acceglio ci sono ancora abbastanza giovani, così ci troviamo. Viaggi non ne ho mai fatti, ma andare a fare festa sì! Se ti organizzi, di tempo libero te ne resta, specie adesso, fino a novembre. Dopo, con le bestie in stalla, molto meno."

Roberto spiega com'è organizzato il lavoro qui in montagna, la mungitura, i fili da tirare: "Specie adesso che abbiamo fatto il piano pastorale." Del formaggio invece continua ad occuparsene il padre, che è anche il Presidente della neonata associazione dei produttori di Nostrale d'Alpe. "Giù le metti fuori, le metti dentro, le stalle da pulire…". Quel che piace di questo mestiere è avere animali belli, mentre il lato meno accattivante è dover lavorare ogni giorno.

Quando sono arrivata stava guardando la TV e potrebbe sembrare assurdo, in un posto così. Ma quando vivi lassù ogni estate, quando lavori ogni giorno, puoi anche avere voglia delle stesse distrazioni di chi svolge tutt'altro mestiere. D'altra parte, chi abita in una città d'arte non passa ogni giorno a girare con il naso in su scattando fotografie… Comunque sia, io verrei volentieri in alpeggio quassù! La famiglia di Roberto sale all'Alpe Margherina dal 1967.

Le vacche muggiscono, il giorno prima sono stati venduti dei vitelli… Roberto parla ancora dei prezzi di vendita bassi e delle spese alte, della burocrazia che incombe: "Seguo tutto io la parte burocratica dell'azienda, ma è un gran casino. So usare il computer, ma non ci passo tanto tempo, proprio solo quel che serve." Tra non moltissimo sarà di nuovo ora di lasciarsi alle spalle questi posti: la transumanza sarà una grande festa che coinvolgerà amici e parenti: "…con i rudun e tutto quello che serve!"

Altre montagne come questa… non le ho mai viste!

Sono tornata alla Gardetta per completare il lavoro. Era il mese di luglio quando ero passata di qua ed avevo incontrato Michele, ma all'epoca avevo solo scattato qualche foto, promettendo di farmi viva in un altro momento per l'intervista. Sono cambiati i colori, è cambiato il clima, ma quassù la bellezza del paesaggio può essere apprezzata in qualsiasi giorno, in qualunque stagione.

Michele è nell'agriturismo accanto alla baita, sta prendendosi un caffè, gli rubo qualche minuto per chiacchierare insieme, mentre turisti stranieri (Svizzeri ed Austriaci) stanno pranzando sui tavolini all'aperto. Nonostante le velature in cielo ed il freddo del mattino, adesso si sta bene al sole e non avrebbe senso pranzare al chiuso in un posto così. E' da 21 anni che c'è questo agriturismo: "E' stata un'idea della mamma, dobbiamo dire la verità! E' stato uno dei primi, in alpeggio. E a questa quota, poi… E' una buona integrazione di reddito, anche se però su di qua la stagione è breve. Luglio, agosto, un po' settembre, sempre che il tempo sia buono. Va bene che ci sono tanti stranieri."

Michele (classe 1988) è uno di quelli che, nello stereotipo medio, non corrisponde alla classica figura del margaro. Eppure lo è al 100%. L'avevo incontrato mentre mungeva a mano nei pascoli della Gardetta, adesso mi racconta che a lui piacciono tutti i lavori che questa vita comporta, ma sa anche ritagliarsi qualche momento extra. "Ogni tanto qualche giorno d'estate, e poi d'inverno, per andare a sciare. Quando vai via è per staccare, fare e vedere altro, visto che è già un lavoro che ti obbliga alla quotidianità."

Le soddisfazioni che questo mestiere dà ad un giovane come Michele sono quelle che sento ripetere in ogni intervista: "Quando ti nasce un vitello… Ma comunque deve essere il lavoro in sè a soddisfarti, come lo fai, come riesci a gestire il tutto, aveve ogni giorno davanti a te il risultato di quello che fai. Adesso come adesso riuscire ad andare avanti è già una soddisfazione." Non ha mai pensato di fare altro, già quando andava a scuola aveva ben chiaro in mente di continuare il mestiere di famiglia. "Altrimenti dovrei trovare un altro lavoro che mi dia le stesse soddisfazioni."

I problemi che ti inseguono fin qui in alpeggio riguardano il "resto del mondo". Anche se il telefonino non prende (ma basta andare poco oltre il colle), impossibile riuscire a non pensare del tutto alla burocrazia che incombe. "Anche il nostro lavoro sta cambiando, ma grossi miglioramenti non ne vedo. Continua e continuerà ad essere un lavoro manuale. Miglioramenti possono venire solo dal lato economico, contributi ed altro. Solo che si è buttato via troppo negli anni scorsi. Ormai si convive, con i contributi. E se venissero a mancare?"

Questo è un luogo di grande fascino per chi lo attraversa come turista, ma anche chi lo vive quotidianamente sa rendersi conto della fortuna che ha. "Altre montagne come questa non le ho mai viste! Uno quando è qui non ha nemmeno voglia di scendere, si sta tanto bene, qui… A volte vado fino a Marmora, fino ad Acceglio." I problemi però iniziano quando uno torna in pianura. La famiglia di Michele è famiglia di margari da generazioni e per loro vale ancora la consuetudine di "comprare il fieno", cioè cercare un luogo dove trascorrere l'inverno affittando cascina e stalla, acquistando fieno e pascoli per il bestiame. "Quassù e nostro, ma giù affittiamo. E' cambiato tutto, prima giù c'erano solo cascine e prati, adesso è sempre più difficile trovare una sistemazione."

Nonostante tutto, Michele afferma che la famiglia, specialmente la madre, avrebbe preferito che lui seguisse altre strade. "Così sono obbligati anche loro ad andare avanti qui." Ma a Michele piace quel che fa, dividendosi i lavori con il padre. "I formaggi continua a farli lui, io per adesso non li ho mai fatti, anche se a furia di guardare… Adesso abbiamo fatto l'Associazione del Nostrale, domenica ci sarà la festa proprio qui a Canosio. La burocrazia la seguo tutta io. E' tutto quello che c'è intorno a questo lavoro che stufa, non il mestiere in sè." A confermare la mia impressione iniziale, questo giovane del XXI secolo che a vederlo qui seduto al tavolo non ha niente di diverso dai ragazzi tedeschi e svizzeri che sono arrivati in bici, in moto, con il fuoristrada, sono le sue considerazioni generali sul mondo dei margari. "La gente purtroppo ha una bassa considerazione dei margari, ma è anche colpa di certi… Così poi si forma una figura tipo e c'è una classificazione bassa!". Ma i margari di oggi forse stanno cambiando, perchè ci sono giovani come Michele e come molti altri che ho incontrato in questi mesi. Il futuro di questo mestiere è anche legato ad una mentalità nuova, dove la passione si coniuga con uno sguardo sul mondo, l'amore per gli spazi sconfinati della montagna e la solitudine si alternano con il contatto con il pubblico ed il saper comunicare con le parole, i gesti ed il modo di porsi.
Per chi volesse saperne di più sull'Agriturismo La Meja, qui il loro sito.

Un'esperienza che mi ha aiutata a crescere

Ieri sono stata in diversi alpeggi della Valle Maira, una valle che è nel mio cuore da anni e che ho avuto modo di percorrere in lungo ed in largo nel corso di diverse attività: escursionismo, ciclismo, studi sui pascoli, censimento alpeggi… Fa piacere tornare in un alpeggio dopo anni, essere immediatamente riconosciuta ed accolta con calore e simpatia.

Sono venuta qui all'Alpe Valanghe, vallone di Marmora, sotto il colle di Esischie, perchè qualcuno che non ricordo mi aveva detto che dovevo assolutamente andare ad intervistare per il mio nuovo libro anche la figlia di Giulio, il marghè che sale quassù. Arrivo alla baita in una giornata dal cielo velato e livido, aria fredda d'autunno che avanza. L'accoglienza però è calorosa. Avevo sentito dire che quest'alpeggio era rimasto vuoto e bastano poche parole davanti ad una tazza di latte caldo per conoscere tutta la storia. "Tre anni… ce l'hanno portato via. Siamo dovuti rimanere giù. Siamo saliti solo con le manze. Le baite chiuse, nessuno che faceva il formaggio, in un posto così… In Francia queste cose non succedono." Già anni fa Giulio mi aveva raccontato la storia dei parenti in Francia, che hanno preso l'alpeggio e, se lo gestiscono in modo adeguato, automaticamente viene rinnovato loro il contratto. Qui invece il Comune punta ai soldi e non al lavoro svolto e così succede che l'alpeggio dalla miglior collocazione strategica resta chiuso, con i pascoli utilizzati da altri allevatori che mettono su animali da carne. Adesso però sono tornati loro, producono formaggi di vario tipo ed hanno pure aderito all'Associazione dei Produttori di Nostrale d'Alpe. Speriamo che in futuro le cose cambino in meglio…

Però io sono qui per intervistare Roberta. Classe 1989, una ragazza determinata, appassionata e decisamente un'ottima rappresentante di quello che, secondo me, è l'allevatore del futuro. Anche nel suo caso essere margari è tradizione di famiglia, ma passato e presente convivono dando il meglio, insieme alla giusta dose di apertura mentale e sguardo al resto del mondo. Piace stare quassù, anche se isolati, ma non per questo ci si estrania da tutto e da tutti. "Ho amici ed amiche un po' di tutti i tipi, non solo gente con le bestie. Ogni tanto vengono qui delle ragazze che studiano Scienze Forestali o Veterinaria, fanno domande, stanno con me qualche giorno, si interessano anche se sono al di fuori di questo mondo."

"Una delle soddisfazioni di questo lavoro è anche instaurare un rapporto con una bestia che ti conosce." Roberta è un po' infastidita del fatto che, quando qualcuno le chiede il suo mestiere, susciti stupore la sua risposta. "Come se essere vestiti normali, non dico eleganti, ma normali come tutti i giovani d'oggi non possa voler dire che fai il marghè." Mi mostra con passione gli animali, tutti bovini di razza Piemontese, tranne una barà che è al pascolo lassù in alto verso il colle, insieme alle altre manze. Non è la prima volta che viene intervistata, mi racconta che due cineoperatori sono stati per due giorni in alpeggio: "Mancava solo che ci seguissero anche a letto, hanno filmato tutto!". Mi spiega che si tratta di un progetto dell'ANABORAPI per realizzare un museo e loro sono stati filmati per quello che riguarda la Piemontese in alpeggio.

Andiamo verso i pascoli, Roberta ama questo luogo ed è dispiaciuta per il fatto che oggi il tempo non sia dei migliori. "A me piace fare foto, ne scatto tantissime d'estate e poi le salvo sul computer. Il computer lo uso soprattutto per quello e per fare qualche ricerca su internet quando mi serve qualcosa, ma non per Facebook o quelle cose lì. Lo scorso anno una mia foto in bianco e nero è stata premiata al concorso dell'ANABORAPI a Cuneo, una foto cui non davo importanza, per me ce n'erano altre più belle tra quelle che avevo mandato."

Questi luoghi li conosce bene e per tre anni è stata su da sola, dai 18 ai 20 anni. "Quando non siamo riusciti ad aggiustarci con la montagna, sono venuta su io con le manze, stavo nella roulotte. Le pascolavo con il filo o, nei posti un po' più brutti, andavo io insieme. E' stata un'esperienza che mi ha aiutata a crescere, mi dovevo fare tutto, avevo delle responsabilità. Proprio sola non ero, perchè avevo una delle mie cavalle… La gente di città ride se dico così, non capiscono cosa significhi il rapporto con un animale." Riprende i discorsi del padre sull'assurdità dell'affitto degli alpeggi, su logiche che fanno sì che non si abbia veramente a cura la montagna e le persone che lavorano adeguatamente per la sua valorizzazione e gestione. "Sulla carta c'è scritto che chi viene qui deve fare formaggi, ma poi nessuno l'ha fatto rispettare, in quei tre anni."

Mentre chiacchieriamo uno dei cani ed il giovane toro si studiano con circospezione. "Per comodità ho studiato all'agrario di Verzuolo, anche se lì è soprattutto sulla frutticoltura. A Cussanio sarebbe stato meglio per la zootecnia, ma non c'erano i mezzi pubblici ed avrebbero dovuto portarmi, così… Ma non amavo tanto i libri. Comunque il diploma l'ho preso, molti altri fanno un anno o due e poi smettono." Le piacciono un po' tutti i lavori, dalla mungitura alla pulitura delle stalle, ma cerca anche di organizzarsi per avere ogni tanto un po' di tempo libero. "Anche solo dieci minuti per fare due passi, sdraiarsi nell'erba ed ascoltare le campane delle mucche, il ruscello che scorre."

Il tempo libero però è occupato soprattutto dalle sue cavalle. "Vorrei poterle seguire di più. La prima me l'hanno regalata quando avevo nove anni, le altre sono le sue figlie. Quando posso le cavalco, l'altro giorno sono andata su fino al Colle del Mulo." Roberta è ottimista: "Penso positivo, che dopo il brutto venga di nuovo il bello. Il mio sogno per il futuro è avere un po' di stabilità, di certezze, non dover cambiare alpeggio o rischiare di nuovo di rimanere giù. La cascina la affittiamo, ma non come una volta che compravi il fieno. Abbiamo un contratto con l'Amministratore e ce lo rinnovano, è una cosa più sicura."

Mi mostra la cantina dei formaggi, le forme di Nostrale marchiate. E' tutto pulito, ordinato, preciso. Restano pochi prodotti, anche la mamma mi diceva che qui non si riesce a produrre mai abbastanza. "Ci sono i clienti fissi che le prenotano, oggi viene uno a prendere sette forme. Anche clienti che ci avevano conosciuti quando siamo saliti a Limone Piemonte o a Demonte e vengono ancora qui." Roberta i formaggi li sa fare, ma per adesso lei si occupa soprattutto della vendita.

Ed il locale per la vendita è un modello nel suo genere. "La gente chiede soprattutto il fresco, ci siamo messi a fare anche yogurt e budini, non sai quanti ne vanno via di quelli!". Alle pareti le foto scattate da Roberta, anche quelle del concorso, "…ma non quella che ha vinto, quella se la sono tenuta." Una simile gestione non andrebbe premiata? Perchè mandare all'asta un alpeggio così? Non si può semplicemente rinnovare il contratto, con eventuali adeguamenti del prezzo d'affitto, se necessari? Giulio non mi ha detto quanto pagano qui, ma dalla sua faccia immagino che la cifra sia a dir poco esorbitante. "Abbiamo solo vacche nostre, non ne prendiamo da altri."

In un angolo in bella mostra alcune delle campane. Una grande passione per questo simbolo della vita dei margari. C'è quella per i diciotto anni, quelle vinte alle gare di mungitura, quelle dedicata ad un'annata particolarmente fortunata e positiva… Risuoneranno presto durante la transumanza, un momento di festa. Ed è vera festa quando scendi e sai che il prossimo anno potrai ritornare lì. Il contratto è di tre anni, speriamo che nel frattempo si intervenga a livello normativo per far sì che non accada più che Roberta e tutti gli altri margari che lavorano onestamente, correttamente e con vera attenzione per la montagna debbano rimanere in pianura o finire in alpeggi senza servizi, senza strutture. "Stiamo facendo anche il piano pastorale, qui…". E infatti mentre me ne sto andando arriva un ex collega dell'Università. proprio per questo motivo. Il mondo è davvero piccolo.

Dove l'erba è più verde

Da qualche tempo vedete qui immagini di pendii ripidi e scoscesi, con animali che sembrano appesi quasi per caso su quei versanti. Pecore, perchè le vacche di oggi lì non possono andare. Un tempo sì, ma erano altre bestie: altra struttura, altro peso. Pendii aspri e difficili dove anche le fioriture sono scarse, l'erba di qualità non eccelsa. Dipende anche dal suolo, dal tipo di terreno, ma comunque con quelle pendenze non si più nemmeno pensare di far dormire gli animali in un recinto per aumentare la fertilità.

Così è stato ancora più bello ed emozionante tornare dopo qualche anno in uno dei luoghi che più preferisco nelle vallate piemontesi. Poter spaziare con lo sguardo, inalare a pieni polmoni quell'aria frizzante e sentire il profumo delle fioriture. Pascoli così vasti, pascoli ancora intonsi, dove gli animali saliranno poco per volta. Vien quasi da chiedersi se ce la faranno a mangiare tutta quell'erba, ma la stagione è ancora lunga.

Poter essere qui con il gregge… E allora sarebbe tutta un'altra vita. Ma questi non sono pascoli da pecore, qui è il regno dei margari. Però sono comunque margari fortunati, perchè in un pianoro del genere i pericoli sono quasi inesistenti. Ricordo anni fa, all'epoca del censimento degli alpeggi, che la lamentela di uno dei margari era stata… riguardante le marmotte! Già, ce ne sono talmente tante che le loro gallerie rappresentano un pericolo per le vacche, che possono rompersi una gamba sprofondando in qualche buca. Ma per il resto non ci sono pendii pericolosi, le strade attraversano i pascoli, il clima è buono…

E l'erba? L'erba è di ottima qualità. Merito anche del terreno calcareo e della conseguente ricchezza di specie. A volte si vedono le pecore camminare, camminare, anche se l'erba è ancora da pascolare. Ma se il piatto non è di loro gradimento, vanno a cercare un'altra mensa. E camminano… Però qui non accadrebbe! Affonderebbero il muso, strapperebbero grandi boccate e, dopo nemmeno tanto tempo, sazie, si fermerebbero a ruminare. Essere qui sarebbe un sogno, altro che quei ripidi, insidiosi versanti nebbiosi…

Qui però si incontrano solo mandrie di bovini, per lo più di razza piemontese. E' l'ora della mungitura pomeridiana che, in quella splendida giornata di sole, avviene all'aperto, in una scena bucolica quasi d'altri tempi. Però chi munge è un ragazzo di oggi, Michele, che tornerò ad intervistare per il mio libro. Lui una storia da raccontare ce l'ha e suo fratello in parte ce l'ha già accennata l'altro giorno commentando il post sugli alpeggi e paesaggio.

L'erba del vicino è sempre più verde, si sa, quindi a malincuore si lascia questo panorama per tornare in altre vallate meno fortunate. Eppure dappertutto si pratica l'alpeggio… Non si può dire che abbia più meriti chi sale in un luogo rispetto ad un altro, ma sicuramente ci sono decine e decine di situazioni differenti ed in qualche posto è più facile fare il pastore, il margaro, in altri invece, agli orari ed ai ritmi di lavoro, si sommano difficoltà ambientali non indifferenti che fanno sì che solo chi ci è nato riesca a resistere, quasi sempre in solitudine, perchè è difficile che altri si adattino, che imparino le malizie, che si impratichiscano del territorio in poco tempo.

Anche le montagne più belle però devono essere gestite correttamente. Cambiamo vallata, ma restiamo nel Cuneese. Ancora ampi versanti erbosi, ancora mandrie di vacche piemontesi. Ma quante sono? Un numero infinito di animali ci viene incontro sulla strada, diretto verso i pascoli. L'altro giorno parlavamo di strutture, di abitazioni d'alpeggio, adesso mi viene da riflettere sui numeri. Ci sono sempre più situazioni in cui ci imbattiamo in mandrie immense, vacche con i loro vitelli, condotte magari da una persona sola. Ovviamente qui non si pratica più la caseificazione ed il lavoro non manca comunque, tra tirare fili e badare agli animali, specialmente ai vitelli.

Come è cambiato l'allevamento negli ultimi tempi! Si caseifica meno, in alpeggio, si punta sull'allevamento da carne e sui grandi numeri, ma la crisi si fa sentire e allora senti le voci di chi ti racconta che persino i vitelli della pregiata razza piemontese valgono sempre meno. Ma ormai le bestie le hai, le spese per il loro mantenimento aumentano, c'è il costo (sempre più alto) dell'affitto dell'alpeggio, quello dei camion per la transumanza e mille altre cose ancora. C'è chi, a mezza voce, si lascia scappare l'ammissione che è tutta colpa dei contributi… I contributi che hanno drogato il sistema, che l'hanno falsato, che hanno fatto sì che certe cose perdessero il loro vero valore, che hanno illuso, che hanno premiato la quantità a discapito della qualità. Hanno arricchito qualcuno? Forse sì, ma hanno messo in difficoltà molti altri. Sono stati anche la rovina di chi ha preso degli impegni che poi non ha potuto mantenere, perchè negli anni ha dovuto cambiare alpeggio o ridurre il numero di animali. Giustamente, si pretende che tu rispetti gli impegni presi dall'inizio del contratto fino alla fine, ma quando l'alpe va all'asta di anno in anno, perdere la gara è una vera tragedia che può portare alla rovina di un'azienda.

Quante cose ci sarebbero da dire a questo proposito… Forse aveva ragione quell'anziana margara che mi diceva: "Tante bestie, tanti sagrin (preoccupazioni)!". Intanto, le tante bestie lasciano il loro segno sulle montagne, anche sulle belle montagne. Forse le montagne più difficili, quelle meno ambite, hanno il "vantaggio" di non vedere numeri immensi di animali che le percorrono. Magari rischiano di venire abbandonate… ma in queste belle montagne invece le mandrie scavano sentieri, incidono tracce difficili da risanare.

Vicino a certi alpeggi restano chiazze di terra bruciata laddove pernottano queste mandrie immense di diverse centinaia di capi. Se ricrescerà della vegetazione, non sarà erba buona, ma piante come ortiche e romici, caratteristiche dei terreni con eccesso di azoto. C'è chi inizia a chiedersi cosa accadrà con le prossime scadenze delle politiche agricole europee. Verranno tolti i contributi in favore di altri paesi entrati nella CEE? Tra i timori di tutti, sono sempre di più quelli che dicono che un'agricoltura senza contributi favorirebbe quelli che veramente fanno questo mestiere per passione. Tornerebbero i "numeri giusti" per la montagna? I prodotti torneranno ad avere il vero valore? O il mercato sarà invaso da prodotti a basso costo che arrivano da fuori, con conseguenze ancora peggiori? Non lo so, non sono un'economista, ma c'è veramente tutta una serie di segnali sicuramente non positivi.

PROPAST: i problemi della pastorizia… e della montagna

Il 9 marzo l’incontro per il progetto PROPAST si è tenuto in Valle Maira, presso la sede della Comunità Montana che riunisce la Valle Maira e la Val Grana. La presenza di pubblico è stata superiore ad ogni aspettativa e la sala era gremita di allevatori arrivati dalle varie parti delle vallate e dalle cascine di pianura. Il Presidente Colombero, che ha aperto la seduta, si è subito detto molto felice dell’affluenza, sostenendo di non aver mai visto tanta gente ad una riunione, segno che l’argomento interessava e c’era effettivamente qualcosa da dire.
 

 
E così è stato. Problemi dell’allevamento di montagna, ma soprattutto della montagna in quanto territorio e gente che vi abita. Colombero infatti ha subito sottolineato come il lupo sia la risultante di una serie di problemi della montagna e della ruralità, primi fra tutti l’abbandono e l’avanzata del bosco. “Cento anni fa, quando è sparito il lupo, le montagne erano pelate ed era pieno di gente, adesso il lupo è tornato, è pieno di boschi e di gente ce n’è sempre meno.
 

 
Hanno poi preso la parola Michele Corti, che ha illustrato gli obiettivi del progetto e la finalità di questi incontri, e Luigi Ferrero della Regione Piemonte, che ha parlato del fondamentale ruolo della pastorizia e del pascolamento nella gestione del territorio, ricordando che “…un pascolo ben gestito, ben pascolato, ha una capacità di assorbimento (delle precipitazioni atmosferiche) del 20% superiore.
Nonostante fossimo lì per ascoltare gli allevatori, gli interventi si sono susseguiti tra “interruzioni” di vario tipo e l’incontro ha avuto più le caratteristiche di un convegno che non di un dibattito/tavola rotonda. Le tematiche emerse sono però state molto interessanti e, specialmente in confronto con i due incontri precedenti (Valle Stura e Valle Pellice), inizia a delinearsi una situazione molto variegata, con problemi di fondo simili, ma emergenze molto differenti, con una scala di priorità che cambia di volta in volta. Si parte a parlare del lupo, presente stabilmente in valle con segnalazioni che si susseguono nei diversi comuni.

 

 
Fortunato Bonelli, allevatore stanziale a Prazzo, ha quasi totalmente abbandonato gli ovicaprini, concentrandosi sui bovini. Conosce bene la realtà francese dell’Ubaye e mette in guardia tutti dei pericoli che ci si troverà ad affrontare: “Si passerà alla caccia sistematica ai vitelli, nella Vesubie ci sono stati attacchi a puledri, il problema grosso non lo conosciamo ancora, sarà impossibile l’allevamento dei bovini con vitello al seguito sui pascoli. Quello dell’allevamento stanziale economicamente è una realtà di cifre piccole, ma è fondamentale per la presenza umana sul territorio e la conservazione dell’ambiente. I vitelli nati qui vengono mandati subito al pascolo. La Val Maira storicamente non ha tradizione di allevamento ovino, c’erano dei giovani che avevano iniziato, ma poi con l’apparizione del lupo hanno smesso quasi tutti o sono passati ai bovini. Secondo me non si potrà più fare l’alpeggio come oggi, gente come noi non si può permettere di lasciare su una persona che faccia guardia al lupo.
 
 
 
Interviene anche un rappresentante dei cacciatori, poi è la volta di Martini Bartolomeo, di Boves, che sale in alpeggio sulle montagne di Limone Piemonte. “Ero un pastore vagante, ma le pecore le ho vendute quasi tutte per colpa del lupo, ho provato a prendere le vacche, mi ha attaccato anche quelle, quest’anno. E’ venuta su una ragazza della scuola da pastori della Francia, era veramente preparata, è stata su otto giorni, ma… Quelli come noi, che sanno com’è, che hanno le loro bestie, stanno su anche in condizioni così, perché da noi non c’è la strada, non c’è la baita, non c’è niente. A me poi il Sindaco di Limone ha vietato di fare i recinti, perché disturbano i turisti, ed anche di tenere i cani, perché spaventano e mordono i turisti, fanno danno al turismo.
 

 
Da Celle Macra parla il signor Giovanni Giraudo. “A sei, sette anni, andavo al pascolo con le mucche. Adesso ho un bambino di otto anni e non mi fiderei a lasciarlo al pascolo da solo con le pecore. Io non voglio i soldi di rimborso, mi sono selezionato le mie pecore negli anni, con quei soldi non posso ricomprare la mia pecora! Non è solo una questione di soldi, è una questione affettiva, noi i nostri animali li conosciamo per nome. Anche i recinti, cosa servono? Il lupo gira intorno, le spaventa, loro buttano giù le reti. Con le 80-100 pecore che ho, le lasciavo al pascolo nelle reti tirate, perché non posso permettermi di pagare una persona per sorvegliarle. Prima ci rendeva già poco, adesso non ci rende più niente. Prima sono arrivati i lupi a due gambe a portarci via tutto, adesso quelli a quattro… E la montagna ormai è tutta boscata, anche se potessi, non riusciresti nemmeno più a sparargli, al lupo. Anche i Sindaci non si rendono conto… Nella nostra montagna, che affittiamo dal Comune, non c’è niente, non si può nemmeno portare su una roulotte. Inoltre qui servirebbe un macello di valle, visto che ormai in casa non puoi nemmeno più ucciderti una gallina.
Queste cose… bisognerebbe portarle in piazza, i nostri rappresentanti non ci rappresentano! Diventa tutto un bosco, e mi dispiace per la Valle Maira, che è la mia valle…
Interviene allora Corrado Bertello della Coldiretti, dicendo che con i meccanismi di filiera corta si sta cercando sempre più di rendere il produttore protagonista dall’inizio alla fine.

 


 
Anna Arneodo di Coumboscuro afferma invece che i Coltivatori non ascoltano i problemi della montagna, ma solo quelli dei grandi allevatori di pianura.
 

 
Il Vicesindaco di Cartignano e rappresentante della Coldiretti Giovanni Fina ribadisce l’utilità del progetto PROPAST, che mette al centro l’allevatore e la montagna. “Adesso serve un progetto NO LUPO. E’ fondamentale creare davvero un sistema con le amministrazioni locali e ridurre la burocrazia. Coldiretti si è spesa per la montagna… Tutti i settori dell’economia montana devono essere collegati: agricoltura, allevamento, turismo, perché uno da solo non riesce a far vivere la montagna. I margari hanno un ruolo fondamentale per la montagna.
 

 
Torna a parlare il pubblico dei protagonisti con Antonio Garnero di Elva: “Adesso bisognerebbe mettere un contributo per eliminare il lupo. Nel 1860 c’era stata una delibera che pagavano 20 lire, che era il valore di una mucca, all’epoca, a chi uccideva un lupo. Diamo anche adesso un premio!
Il senatore Carlotto, autore della Legge per la Montagna del 1994, afferma che i problemi della montagna, in generale, devono essere affrontati in modo drastico.

 

 
Sergio Serra di Marmora prende la parola e, in modo colorito, inizia ad elencare una serie di problemi che affliggono chi, come lui, si ostina a vivere e lavorare lassù, ad oltre 1200m di quota. “Un po’ di tempo fa ho letto che raccoglievano firme per il lupo… Ma si rendono conto??? Noi siamo soli, siamo rimasti in quattro gatti, per portare i bambini a scuola devi scendere e fare 60 km al giorno. D’estate con i turisti non puoi nemmeno passare per la strada con le vacche, portarle a bere alle fontane! Siamo quattro bunumas, siamo come gli indiani nella riserva, chi ci difende ancora? Il lupo è il colpo di grazia, non so cos’altro ci possiamo aspettare! E’ venuta su la Forestale, mi ha fatto la multa perché avevo sparso il letame sulla neve, come si è sempre fatto. Qui ormai è finita… Come fai a metterti a posto con le leggi? Tu che hai 10 mucche e porti fuori il letame con la carriola? No, dovresti fare la concimaia… Ma noi siamo a 1500 metri in montagna, non possiamo competere con la pianura!!
 

 
Lara, che lavora insieme a Giorgio e Marta a Lo Puy, si presenta dicendo di essere originaria della Valsugana: “Da noi c’è un’altra attenzione per la montagna. Qui siamo così in pochi, non abbiamo potere. La situazione ormai è al limite, forse questo progetto nasce troppo tardi.
C’è allora chi si lamenta per il divieto di pascolo in bosco: “Ma ormai qui c’è solo più bosco! Non è più come una volta che non vedevi una pianta, tutto pelato!!”. Chi invece denuncia il problema dei contributi: “Li hanno presi quelli che portavano su i tori, che hanno mandato alle stelle il prezzo delle montagne, ed a noi non solo li hanno tolti, ma ci chiedono pure indietro i soldi!!
Ferrero replica che si sta tentando di fare qualcosa, perché quelle sono leggi europee che ben si applicano ai pascoli irlandesi, ma la situazione alpina crea difficoltà immense ed è complicato riuscire a farle rientrare negli schemi computerizzati.

 


 
Salvatore Ghio, di Celle Macra, allevava cavalli ed ovini. “Sono un ex allevatore di ovini, li ho venduti appena ho saputo che stava arrivando il lupo. Stavo a Cuneo, sono tornato al paese, ho aderito a tutto quello che c’era: PSR, bio, razze in via d’estinzione… Le pecore ho scelto di venderle alla comparsa del lupo, per vedere intanto se cambiava qualcosa. Il primo anno ho avuto un puledro morto, ma non si è potuto dimostrare nulla, dicevano che erano cani, canidi. Ho smesso di produrre, non ho più fatto partorire le cavalle, quest’anno riprenderò a produrre, allevo Merens, una razza di montagna, adatta al territorio difficile in cui sto. Sono i terreni “peggiori”, ma adatti per gli ovini. Il problema è complesso, è di natura storica, sociologica, politica, economica… Ci va una commissione speciale che segua azienda per azienda, caso per caso, in base a tutte le caratteristiche. Ogni azienda ha le sue problematiche, i contributi vanno dati in base a come si lavora, non dalle foto aeree. Per il lupo, ci vorrebbero delle aree entro le quali farlo stare, magari anche alimentandolo.
 

 
Riprende la parola il Presidente Colombero: “Qui è una questione MONTANA, il problema lupo è solo l’ultimo arrivato! Serve una politica della montagna, ma a Roma non gliene importa niente… Questo progetto, se ha già solo le possibilità per mettere in rete tutto quello che c’è attualmente, è già buono. Ci sono esempi positivi, lavoriamo si quelli! Siamo in trincea, ha ragione Sergio, saremo quattro gatti, ma facciamoci sentire! Io vado in Provincia, in Regione, ma è la GENTE che deve farsi sentire, scrivere lettere, così si accorgono che ci siamo, che ci siete ancora. E’ positivo oggi vedere una riunione tanto partecipata.

 


Parla ancora Giovanni Cesano, allevatore di bovini a Prazzo. “Ho circa cinquanta capi bovini. Siamo all’esasperazione: cinghiali, cervi… adesso cosa dobbiamo aspettare, l’orso? Noi siamo montanari, siamo tenaci, ci arrangiamo, ma adesso c’è anche la crisi e non ne possiamo più. Io ho tre figli… Verrà un giorno che sarà tutto fai da te, se vorrai restare in montagna. Non fossimo tenaci, non vivremmo qui. Però adesso mi sa che a stalla vuota, chiudiamo le porte. Non so se ce la faremo ancora, bisogna essere ottimisti, certo, ma…
 

 
Il pastore Antonio Lenardi di Stroppo interviene per aggiungere alle problematiche già commentate dai colleghi, quella della frammentazione fondiaria. “Non sai nemmeno più chi sono i proprietari, alla fine non metti i numeri dei mappali e così mi hanno bocciato le richieste di risarcimento per i danni dei cinghiali!
Alberto Pasero, margaro che sale in alpe sui pascoli di Canosio, difende la sua categoria: “Il margaro è l’unico che salvaguarda ancora la montagna, una volta la passione era quello che sosteneva ancora il margaro, ma poi adesso vedi certe cose… Se viene a mancare la passione è finita.
In conclusione, questo incontro ha messo in luce un gran numero di gravi problematiche non soltanto della pastorizia, ma della montagna in generale, nel corso di tutto l’anno (e non solo nella stagione d'alpeggio), specialmente di quelle montagne meno abitate come in Valle Maira, vallata priva di collegamenti con la Francia, quindi poco frequentata salvo nei periodi più “turistici”. C’è veramente tanto da lavorare (soprattutto a livello politico ed amministrativo) per far sì che la montagna non muoia, non ci si può sempre e solo affidare sulla tenacia, sulla cocciutaggine e sulla passione dei montanari, siano questi allevatori, pastori, margari, boscaioli, artigiani…

D'estate, sui pascoli

In queste gelide giornate invernali, quando molti pastori stanno faticando tra ghiaccio e neve (vedrete poi le foto che ho scattato ieri), voglio regalarvi un sogno rivolto alla prossima stagione di alpeggio. E' ancora presto per pensarci? Ma tanto passerà poi anche l'inverno e, fortunatamente, tornerà il momento per prepararsi alla transumanza!

Queste foto me le aveva mandate l'amico Silvio che, con Tiziana, quest'estate era andato a fare una gita in Val Maira. Posti che conosco molto bene… Alpeggi con mandrie immense!

Ottimi pascoli, fioriture multicolori, quelle che si dicono delle "belle montagne".

Certo, in alto ci sono rocce e pendii ripidi… ma molto in alto! Altrimenti sono posti dove tutti i marghè sognerebbero di andare.

Non tutte le baite sono propriamente delle ville, purtroppo! Anche se da queste parti la gran parte degli alpeggi è stata sistemata anche grazie alle strade che raggiungono gli alpeggi, ci sono ancora delle eccezioni. Si spera che poco per volta vengano date condizioni di vita civile a tutti quelli che fanno questo difficile mestiere, specialmente dove gli alpeggi sono di proprietà pubblica.

La maggior parte degli animali su di qui (come un po' in tutte le vallate cuneesi) sono vacche bianche, Piemontesi.

Per "deformazione professionale", Silvio fotografava le campane… E gli veniva in mente che, proprio quel giorno, c'era la "Festa del Rudun" a Salza! Che imperdonabile dimenticanza… Vista però la bella giornata, meritava salire su al Col Maurin.

C'è stato anche qualche incontro ravvicinato con un cavallo.

Grazie ancora a Silvio e Tiziana per le foto. Ne ho ancora molte altre da pubblicare, sempre ricevute da loro… In questa, ahimè, si vede anche come un'errata gestione dei pascoli possa portare a dei problemi, come i marcati sentieramenti che conducono alla baita. Gli alpeggi devono essere utilizzati e non abbandonati, ma con un numero adatto di animali, gestiti e movimentati correttamente.

Altri amici… e anche su Facebook!

Guardate il contatore nella colonna a destra e leggete il numero di contatti che ha raggiunto questo blog… La cosa non smette di stupirmi! La maggior parte di voi è fatta di "lettori silenziosi", che non commenta e che io non conosco… o magari conosco, ma non so che ogni giorno (o quasi) viene qui a leggere. Ogni tanto arriva qualcuno di "nuovo", come Diego.

Mi ha mandato queste foto dalla sua valle, una valle che io amo tantissimo, la Val Maira. Anche se non me l’avesse detto, avrei riconosciuto questo posto immediatamente! Siamo in quel lungo vallone che sale da Celle Macra verso il Monte Tibert e, su in alto, si apre in meravigliosi pascoli ed un panorama splendido.

Certo, quando non c’è la nebbia… Però la montagna bisogna viverla in ogni suo aspetto e, molte volte, parlando della vita d’alpeggio, è meglio mostrare i lati meno conosciuti, quelli meno pittoreschi e romantici…

Leggiamo cosa ci racconta il nostro amico. "Mi chiamo Diego e da un po’ di tempo seguo il tuo blog, lo faccio nella pausa pranzo, sul  lavoro perché a casa ho mille cose da fare, vivo in montagna ma lavoro in pianura. Allevo anche alcune pecore Sambucane e Suffolk, oltre a conigli e galline. Ieri ho preso un giorno di ferie e con moglie e figli, sono andato alla grangia  di mia moglie  sugli alpeggi del monte Tibert nel mio paese, che tu forse conosci, Celle di Macra in valle Maira. La giornata era splendida il mattino, poi il pomeriggio è salita la nebbia, ho fatto alcune foto (purtroppo il pomeriggio con la nebbia) alle mucche dei miei amici margari, te le invio se vuoi metterle sul blog. Sono fatte sui pascoli del vallone di Tibert."

Ecco un’ultima immagine di quei posti dove, certo, vorrei tornare. Ma non ce la faccio, il tempo passa veloce, l’estate scivola via ed io non riesco a realizzare tutti i miei progetti. Sarà per la prossima…

Qui invece c’è un video (il servizio del TG3 Piemonte) sulla transumanza di Saluzzo di cui avevamo parlato qui. Tra l’altro, un altro lettore ci aveva segnalato di aver messo varie foto dell’evento su Facebook qui. E allora… allora l’ho fatto, mi sono iscritta pure io a Facebook (mai dire mai, eh?). La cosa più buffa è che già ieri sera, mentre appena cercavo di capire come districarmi tra le varie funzioni, già piovevano gli "amici" e si rivelavano anche vari di quei "lettori silenziosi" che qui non commentano mai. Vediamo dove ci porterà questa nuova avventura!