La transumanza a Pragelato

Ormai sono vari anni che, il 2 giugno, l’appuntamento a Pragelato è quasi fisso. E’ un giorno di festa, ma i camionisti per la transumanza possono richiedere un permesso speciale. Così al mattino il gregge viene caricato in pianura, poi prende l’autostrada, risale la valle e arriva lassù.

Prima ancora del gregge, ci sono i curiosi e altri piccoli allevatori che conducono sul posto i loro animali, per affidarli a Fulvio per la stagione estiva. Greggi con pecore marchiate di vernice, per identificarle e distinguerle a fine stagione, quando bisognerà di nuovo dividerle per riportarle a casa.

Man mano dai telefoni di uno e dell’altro giungono aggiornamenti sul dove si trovi la carovana. Poi all’orizzonte arriva il primo camion, seguito dal secondo, poi il terzo e… eccoli tutti schierati nel piazzale alla base dei trampolini olimpici. Il viaggio è finito.

Diversamente da quanto accadeva in passato, adesso i camion vengono scaricati uno ad uno. I camionisti aprono i portelloni e man mano fanno uscire gli animali, mentre un addetto del consorzio forestale provvede a contarli.

Questa operazione non vale solo per gli animali adulti, ma anche per tutti gli agnelli, che sono stati caricati separatamente. Questi escono belando e chiamando a gran voce le madri, che accorrono con un coro altrettanto concitato di belati.

Nonostante il freddo e la brutta giornata, anche questa volta c’è comunque un “buon pubblico”. Parecchi amici e conoscenti del pastore sono arrivati lì grazie al passaparola, poi ci sono abitanti del paese e, soprattutto, quei pochi turisti che sono saliti in montagna approfittando del ponte, anche se il tempo non è dei migliori.

Quando finalmente il gregge è tutto riunito, sono terminati i conteggi e gli obblighi burocratici, arriva il momento di ripartire. I camion pian piano se ne vanno, anche i turisti e quelli che erano venuti solo per assistere allo scarico. Forse l’arrivo del gregge ha un significato anche un po’ simbolico: essere lì a vederlo ogni anno significa che la vita continua, va avanti nonostante tutto.

E poi è tutto come sempre: qualcuno davanti, qualcuno dietro, lo spostamento non richiede grossi sforzi. Anche se visto e rivisto, questo è un momento che comunque, ogni anno, regala le sue emozioni.

Si attraversa il centro abitato, poi un brevissimo tratto sulla statale, quindi si svolta ancora. C’è pochissimo traffico, in pianura il tempo è ancora peggiore, le previsioni parlano di altra pioggia, quindi il turista che cerca il sole e il relax non si è messo in viaggio verso i monti.

La transumanza prosegue, il fiume di pecore occupa interamente la stretta strada che sale a Gran Puy. Belati e campanelle, passo lento e cadenzato, il cammino non è lunghissimo, nemmeno un’ora e si arriverà a destinazione.

Mi fermo e lascio scorrere il gregge: pecore, agnelli, capre, montoni, asini. In cielo si addensano sempre di più le nuvole e l’aria si fa sempre più umida. La stagione in alpeggio si aprirà anche quest’anno sotto la pioggia, com’è già accaduto altre volte in passato.

Rispetto agli scorsi anni la stagione è in ritardo o, come ho già scritto altre volte in questi giorni, forse è normale, mentre è stato in passato che il caldo aveva fatto sì che, ad inizio giugno, l’erba fosse già più alta e le fioriture più avanzate. Il gregge si sparpaglia a pascolare, i pastori, amici ed aiutanti si riuniranno per il pranzo, ma la pioggia arriverà di lì a poco, per dare a modo suo il benvenuto alla transumanza.

Tutto a piedi

Sabato scorso ho preso parte ad una tappa di una transumanza. E non parlo di un gregge, di un pastore vagante che si avvicina alla pianura pian piano pascolando mentre ridiscende la valle. Sono stata invitata da dei margari a vedere il passaggio della loro mandria nel centro del paese, ultima tappa per raggiungere la loro cascina. Però perchè andare in pianura? Se la transumanza era tutta a piedi, era la montagna che avrei preferito vedere!

Così sabato scorso raggiungo il Colle di Sampeyre, tra la Val Varaita e la Val Maira, senza badare troppo alle previsioni meteo non ottimali. La transumanza era iniziata il giorno prima quando, dai pascoli dell’alpeggio di Elva, si era appunto raggiunto un luogo dove fare sosta lungo l’antica strada militare che percorre tutto lo spartiacque tra le sue vallate. C’era ancora un minimo di visibilità, il maltempo e il freddo già avevano caratterizzato il primo tratto di cammino e la nottata.

Si inizia attaccando un po’ di campanacci. Si sostituiscono quelli “da pascolo” con quelli per la transumanza. Fa freddo e le nuvole si stanno abbassando. La stagione è già decisamente avanzata, per queste quote. Terminato il lavoro, c’è giusto il tempo per un sorso di qualcosa di caldo, un pezzo di cioccolato, poi inizia a piovere.

La pioggia però gira subito in neve. Fa freddo, è ottobre, si è oltre i 2000 metri. La speranza è che non sia una nevicata di lunga durata, sia per la transumanza, sia per venire la sera a recuperare le auto che rimangono lì. Ci si incammina, inizialmente le vacche non sembrano molto convinte di riprendere la strada.

Questo percorso avrebbe potuto essere molto panoramico, è un luogo molto bello. Con il sole, i colori dell’autunno, le montagne innevate sullo sfondo, qui ci sarebbero state da scattare infinite foto. Invece un po’ il freddo, un po’ la pioggia, la neve, la mancanza di panorama, tutto contribuisce ad avanzare quasi meccanicamente, pensando innanzitutto a scaldarsi un po’.

Qua e là ci sono ancora accumuli di neve dei giorni scorsi, di quella prima nevicata che ha fatto scendere la maggior parte di quelli che erano ancora in alpeggio. Adesso sta cadendo nuova neve, che si ferma sulla terra dura, gelata, e sull’erba ingiallita. Qui non c’è più nessuno da tempo, nè bovini, nè il gregge di pecore che pascola questi versanti.

La strada si abbassa un po’ di quota o forse si alzano le temperature, comunque smette di nevicare e piove soltanto più. Gli animali rallentano dove il fondo è più sassoso, il cammino prosegue a passo regolare. Chiedo a Federica se tutti gli anni scendono a piedi in questo modo. “Siamo a Elva da quattro anni, i primi due abbiamo caricato, poi lo scorso anno… Abbiamo pensato di andare giù a piedi. La strada del Vallone adesso è chiusa, fare il giro dall’altra parte a piedi è comunque lungo, prima di arrivare ad un posto dove puoi caricare sui camion. Qui c’è questa strada dove passi senza dar fastidio a nessuno. Abbiamo trovato dei posti dove fare tappa e così…

E così si cammina. Partenza al venerdì, arrivo al martedì, ovviamente ogni giorno bisogna sia spostarsi, sia riuscire a far pascolare gli animali. Si scambia versante, smette di piovere, ma la nebbia resta fitta. I passi percorsi iniziano ad essere tanti, gli animali hanno anche fame, le foglie dei lamponi lungo la strada li attraggono irresistibilmente.

Nel rivedere le foto a distanza di una settimana sembra un po’ di osservare dei quadri, con i colori dell’autunno nel momento migliore della loro bellezza. Quando però uno era lì a camminare nell’umidità, nel freddo, con la stanchezza e la fame che aumentavano, tutto era meno romantico e bucolico.

Anche nel resto della valle il tempo non è migliore, ma almeno abbassandosi di quota si può godere di un po’ di panorama. A modo suo è pittoresco anche questo e, come ho detto molte volte, spiace lasciare la montagna quando sembra che ci possano ancora essere belle giornate per rimanere su. Però Federica e Luana mi raccontano dell’anno scorso, quando faceva così bello, quando si stava in maglietta tanto faceva caldo…

Si vede la meta, finalmente. Sembra vicina, ma tornante dopo tornante, la strada è ancora lunga. Per quel giorno si percorrerà una quindicina di chilometri, dicono i margari. Io questa strada la conoscevo bene dai tempi in cui la frequentavo in mountain bike e l’avevo pedalata sia in salita, sia in discesa. E’ la prima volta invece che la vedo come scenario di una transumanza.

Quasi al colle invece finalmente ecco parte dello spettacolo che si sarebbe potuto ammirare nel corso di tutta la giornata, con le creste, le montagne, i pendii. Ci sono dei motociclisti tedeschi (la Val Maira e le sue strade sono molto amate dagli stranieri) che si affrettano a riprendere la scena e scattare numerose foto.

E’ inevitabile pensare alle transumanze di un tempo, alle transumanze in cui per forza si andava a piedi. Ma non si passava in alta quota, si percorreva qualsiasi strada, perchè erano i percorsi in cui naturalmente transitavano gli animali. I mezzi a motore sono arrivati dopo, ma le strade sono (quasi) solo più loro. Non tutti sono contenti del fatto che una transumanza passi nel centro del paese, emergono mille problematiche nuove, responsabilità, paura che qualcuno di lamenti perchè gli animali “sporcano”.

L’ultimo tratto di cammino per quel giorno. La strada corre in piano, le vacche camminano in fila, cercando di evitare sassi e ghiaia, che già ne hanno pestati a sufficienza. L’asfalto non sarebbe stato meglio. E il viaggio sui camion? Lo stress del salire e scendere sulle pedane, sui piani degli autotreni? Molto meglio questo cammino naturale, anche se lungo.

Sono le 14:00 quando la mandria lascia la strada e sale nel bosco, per uscire nella radura. Sembra tutto giallo e secco, ma dopo qualche istante le vacche abbasseranno la testa ed inizieranno a pascolare. C’è anche una vasca e dell’acqua per farle bere. Per quel giorno il cammino è finito, non si andrà oltre.

Dal pick up vengono scaricati fili e picchetti. La modernità permette di non dover rimanere lì a sorvegliare gli animali al pascolo mentre si va a mangiare un boccone. Appena l’ampio recinto sarà stato fatto, si attaccherà la batteria per la corrente e si potrà andare al coperto a mangiare un meritato boccone di pranzo. Sì, sono le tre del pomeriggio, ma le transumanze e il lavoro non hanno orari definiti.

Finalmente poi arriverà un po’ di bel tempo, quello che si attendeva fin dal mattino. La speranza per i margari è di avere condizioni migliori per i successivi giorni di transumanza, visto che le prime due tappe hanno visto pioggia, neve e nebbia.

Quando c’è il sole, l’autunno e la montagna regalano scorci di rara bellezza, dove gli animali al pascolo aggiungono quella nota di vita che niente altro può dare. Presto la montagna sarà totalmente silenziosa, muggiti e campanacci risuoneranno solo alle quote inferiori, laddove c’è ancora qualcuno che alleva qualche animale. Poi inizierà l’inverno.

Ecco, per concludere, la foto ricordo di tutte le persone che hanno accompagnato la transumanza quel giorno. Ogni tappa vedrà un susseguirsi di amici, di accompagnatori che verranno a dare una mano o anche solo a percorrere qualche chilometro con la mandria, fino alla conclusione con il passaggio attraverso il paese di Busca.

Una segnalazione e ancora un po’ di Svizzera

Dalla Lombardia mi inviano la locandina di una manifestazione che si terrà questo fine settimana, che pubblico immediatamente. Degli altri eventi vi avevo già parlato l’altro giorno.

Domani e domenica quindi chi è in zona può andare a Bossico (BG). Qui sul sito della Proloco tutte le informazioni dettagliate. Per chi mi ha chiesto, “Tempo di Migrar” a Premia (VB) si tiene nel primo fine settimana di ottobre, sabato 3, ma pubblicherò la locandina prossimamente.

Devo ancora finire di raccontarvi il mio breve viaggio in Svizzera. Avevo assistito alla transumanza, ma non avevo voglia di tornare con un noioso viaggio in autostrada in pianura. Confidando in un meteo non troppo brutto ho quindi allungato di molto la strada del rientro e sono sconfinata nel Canton Uri e nel Vallese. Zone che già conoscevo, ma fa sempre piacere vedere dei bei posti. Qui siamo lungo la strada che porta al Passo della Furka.

La stagione si avvia anche lì verso la fine, nell’alpeggio lungo la strada sembra non esserci già più nessuno, le vacche da latte devono essere scese, restano solo animali giovani. Turisti in giro ce ne sono ancora tanti, in auto, in moto, in bici, ma sono tutti alle prese con la strada, più che con il panorama. Questi sono percorsi “classici” per gli amanti dei passi di montagna. Scendere dal proprio mezzo per venire maggiormente a contatto con animali e territorio sembra non attirare molta gente, anche perchè soffia un vento gelido.

Più in alto, lungo la strada, ci sono decine e decine di reti tirate, le pecore sono sparse qua e là a pascolare. Chissà se gli animali sono incustoditi o se c’è un pastore? Chi avrà sostituito quassù il pastore Luigi? Forse le reti sono solo per riparare la strada, adesso che anche il gregge non pascola più ad alta quota.

Non ci sono reti ovunque, infatti in corrispondenza di uno slargo dove posso parcheggiare comodamente la macchina, ci sono queste pecore vallesane che hanno appena attraversato l’asfalto. Altre pascolano poco sopra. Razza locale, sono un po’ un simbolo di queste zone e le loro immagini riscuotono sempre grande successo, per l’aspetto quasi da peluche. Mi ricordo però che Luigi mi aveva raccontato di come fossero testarde, lente nel seguire il gregge, con la tendenza ad isolarsi e stare per conto proprio.

Una lunga discesa, attraverso villaggi pittoreschi, vallate dove il territorio è interamente rurale. Le vacche da latte sono effettivamente scese dagli alpeggi e si vedono dappertutto, a pascolare i prati dove lo scorso anno invece avevo visto tagliare il fieno, in piena estate. Ce ne sono ovunque, anche tra le case, con i fili tirati sul confine del giardino, dell’orto. Da queste parti infatti è raro vedere una recinzione intorno ad una casa, gli spazi sono aperti ed è uno degli elementi che ispira sensazioni di pace e tranquillità.

Scendo verso le città, il vento è ancora più forte, dai finestrini vedo altri animali, stalle, piccoli greggi accanto ai paesi, poi prati, campi, frutteti, vigneti a perdita d’occhio, il tutto circondato da montagne tra le quali si aprono vallate dai nomi “famosi”. Per rientrare in Italia devo imboccarne una di queste, altrimenti proseguire mi porterebbe in Francia! Sarebbe bello fermarsi ovunque, già solo nei villaggi lungo la strada, ma di chilometri da percorrere ce ne sono ancora molti. Purtroppo incontro di nuovo il maltempo, nebbia bassa, il passaggio sul passo avviene senza che quasi io capisca dove sono, talmente la visibilità è scarsa. In discesa, lungo la strada, un alpeggio da cui gli animali sembrano appena esser partiti proprio quel giorno. Più in alto, nella nebbia, un coro di belati confusi…

Le campane suonano…

Come già vi avevo mostrato, non ho avuto fortuna con le condizioni meteo, mentre ero in Svizzera. Anche il giorno successivo il tempo non era buono. Anzi, era peggio dei precedenti! Nella notte la neve era arrivata fino alle baite ed anche più a valle, al mattino pioveva, le nuvole erano basse.

Andare a cercare le pecore era un’impresa praticamente inutile. Altro discorso sarebbe stato dover andare al pascolo, ma il gregge era già libero di pascolare, quindi… Avrebbe continuato a farlo! Il pastore mi propone di cambiare versante, andare a controllare che le pecore non siano scese in basso, superando le reti tirate nei punti di passaggio, e risalire verso l’alpe delle vacche. Certo, con il bel tempo sarebbe stato maggiormente spettacolare, ma comunque… ci mettiamo in cammino, tra nebbia e pioviggine.

L’alpeggio è completamente avvolto nella nebbia fittissima, non si vede nemmeno il rifugio poco sotto. Veniamo accolti con gioia e invitati a pranzo. Anche gli allevatori qui sono intralciati nei loro lavori dalla nebbia. Due di loro sono comunque ancora fuori, sono andati a vedere le manze. L’indomani invece le vacche da latte scenderanno a valle, nell’altro tramuto accanto al lago. Chiacchieriamo, io soprattutto ascolto. Il giro delle strutture lo faremo dopo, a partire dalla cantina piena di formaggi. Parte della produzione è già stata portata giù con la teleferica (per fortuna che c’è!), parte resterà qui a stagionare fino al prossimo anno, appesa in dei sacchi di rete, in modo da non avere la necessità di venire girata.

Le strutture sono belle, moderne. Mungere qui all’aperto, con un clima così, mette al riparo dalla pioggia, ma non dal freddo e dall’aria. Sull’alpeggio, oltre al conduttore, c’è un giovane originario della Lombardia, che lavora stagionalmente coma aiutante, già da diversi anni su questa montagna. Poi c’è una giovanissima ragazza originaria della Svizzera tedesca. Ha studiato da maestra, ha fatto lettere all’università, poi è andata a dare una mano in un’azienda di una signora anziana d’inverno ed ha cercato un posto per l’estate in un alpeggio. “All’inizio l’ho vista così dolce, mi sembrava fragile… Adesso do a lei da portare il sale a spalle, così riesco a tenerle dietro quando saliamo dalle manze!“, scherza (ma solo fino ad un certo punto) il malgaro.

Gli animali non sono ancora stati messi al pascolo, si spera che la neve se ne vada via. Per fortuna il giorno dopo si scende. Si sta bene nella baita con la stufa accesa, il pranzo che cuoce. Fuori fa freddo, l’umidità non accenna a diminuire. Una delle sale del caseificio è dedicata all’affioramento della panna e al burro, burro quindi da latte e non da siero! Questo viene portato a valle ogni pochi giorni. “Quando non c’era la teleferica, a tutti quelli che passavano di qui, chiedevamo se potevano portare giù un po’ di burro!

Il formaggio prodotto qui viene interamente venduto direttamente, senza intermediari. Questo garantisce una buona rendita e la sopravvivenza di una piccola azienda di montagna. Qui in alpeggio, oltre agli animali del conduttore dell’alpeggio, ci sono quelli di altri allevatori della valle, affidati per la stagione estiva. Anche questo alpeggio è di proprietà del patriziato, come per l’alpe delle pecore. Il punto vendita giù in basso, accanto al lago, garantisce un buon afflusso di turisti. Vengono prodotti anche yoghurt e formaggelle.

Dopo pranzo, le vacche vengono messe al pascolo. La nebbia continua ad essere molto fitta, ma almeno sembra aver smesso di piovere e la neve se n’è andata quasi tutta. Ogni animale ha una campanella al collo, piccole campane, fondamentali per localizzarli nella nebbia o nel buio del mattino, quando si esce per andarli a prendere e condurli alla mungitura. Eppure il gestore del rifugio lì accanto si è ripetutamente lamentato per il suono delle campane, che lo infastidisce e infastidirebbe pure i suoi clienti. “Sai qual è il problema? Il problema è che non c’è soluzione…!“, gli era stato risposto. Montagna, alpeggio, vacche al pascolo e campane. Fai il turista in montagna? C’è anche questo, così come se dormi in un albergo in città c’è il traffico, il treno…

L’indomani devo ripartire, ma decido di aspettare, anzi, di andare incontro alla transumanza! Poso i bagagli in macchina e risalgo (nuovamente tra nuvole basse e pioggia) verso l’alpeggio, fin quando sento le campane e i richiami delle persone che stanno accompagnando gli animali. Il primo tratto di sentiero è bello, poi vi sono alcuni passaggi delicati. Il giorno precedente avevo sentito criticare a lungo il lavoro di chi doveva sistemare il sentiero, che teneva conto più dei turisti che non delle esigenze degli animali. Non solo in Italia, allora…

Dopo il passaggio sul torrente che fa da immissario al lago, inizia un tratto abbastanza pianeggiante, che però “taglia” dei versanti molto ripidi. Mi chiedono di non stare troppo vicina alle bestie, c’è un po’ di tensione, perchè in effetti i passaggi sono delicati e le Brune sono animali pesanti, pochi agili.

La foto scattata da lontano in effetti non riesce a rendere l’idea di come fosse questo punto: il sentiero stretto, un accumulo di terra e pietrame che l’ha invaso parzialmente, cadendo dal canalone soprastante, le vacche passano lentamente. Sotto, il canalone roccioso precipita direttamente nel lago. Per fortuna gli animali avanzano uno ad uno, attraversare qui con una mandria nervosa, vacche che si spingono, sarebbe troppo rischioso!

Dopo il cammino è più semplice, il sentiero è una vera autostrada. Per fortuna ha smesso di piovere, la transumanza si conclude nel migliore dei modi. Non abbiamo nemmeno incrociato turisti, non in quest’ultimo tratto, mentre prima ve n’erano alcuni che salivano al rifugio, altri che già scendevano. Da queste parti meno che altrove ci si fa intimorire dalle condizioni meteo avverse.

Le vacche sfilano lungo il lago. Tra una settimana scenderanno anche le pecore e la montagna resterà silenziosa, senza campanelle, senza cani da protezione, con buona pace del gestore del rifugio e dei turisti! Non avrei pensato che questi “problemi” esistessero anche altrove, pensavo che le montagne di Heidi fossero più sane, più rurali, e che la dimensione sempre più da parco giochi/parco avventura fosse una prerogativa italiana, invece ciò che ho visto ed ascoltato mi ha fatto capire che un po’ ovunque le cose si ripetono.

Ed ecco che le ultime vacche arrivano all’alpe. Resteranno qui ancora qualche settimana, poi anche questa stagione si concluderà. Per me invece si è concluso il soggiorno in Svizzera, per il giorno dopo il tempo si annuncia ancora peggiore, quindi anticipo il rientro e mi metto in viaggio. Ma non sceglierò la via più breve per tornare a casa…

Grigio-verde

Da quand’è che il clima è “strano”? Sento gente lamentarsi perchè “fa freddo”, ma a me sembra che il freddo non sia ancora arrivato. Non è solo una sensazione, basta guardare le temperature al mattino e, soprattutto, durante il giorno. Adesso sembra che abbia smesso di piovere, ma si parla di temperature miti, anche in montagna.

Pioggia prolungata, non fa freddo, e cosa succede? Un amico pastore mi chiama per mostrarmi le sue pecore. Sono diventate… verdi! Ci scherziamo su, ma c’è anche un pizzico di preoccupazione nelle sue parole. Non si è mai vista una cosa del genere prima. Tosate ad inizio autunno, nel vello mostrano delle strisce verdastre, che per certi animali sono particolarmente estese. La pelle è normale, rosa, ma la lana ha un odore diverso ed è appunto… verde!

Cerchiamo spiegazioni, ma la ragione è lì davanti a noi. Pioggia, alto tasso di umidità anche quando non piove, temperature elevate per la stagione. Così nel vello si sono sviluppate delle alghe. Grigio e verde, i due colori di quest’autunno che degrada nell’inverno senza dar segni di lasciar arrivare il freddo.

C’è chi potrebbe pensare che, a parte la pioggia fastidiosa ed eccessiva, i pastori non hanno ragione di lamentarsi, in un’annata simile. L’erba non manca, ma vi ho già spiegato molte volte che non tutto ciò che è verde è un pascolo per il gregge. Persino in mezzo ai filari delle vigne è tutto verde, a questa stagione!

Chi ha mai visto dei boschetti con l’erba verde a dicembre? Certi anni c’era la neve, oppure l’erba era gialla, gelata, bruciata dal freddo e dalla siccità. Qui il terreno è più sano. Dopo alcune corse avanti e indietro, le pecore si fermano a pascolare. Abituate nelle reti, inizialmente sono ingestibili, quando si trovano libere.

Grigio il cielo, verdi i prati. Fango e pozzanghere, la terra non riesce più ad assorbire l’acqua. Il gregge a lungo andare si riempie la pancia, ma maggiore è il numero di animali, più fatica il pastore a trovare il posto per condurli al pascolo. Chi ha potuto spostarsi verso le colline, dove c’è un terreno più drenante, tribola appena un po’ meno degli altri.

Nelle stoppie del mais non ci si può fermare a lungo. Anche se ci sono pannocchie a terra, è meglio che gli animali non ne mangino troppe. Il mais ha preso tutta la pioggia, potrebbe essere marcio, ammuffito. Solo le pannocchie rimaste in un angolo, su piante che non sono state toccate dai macchinari, sono belle gialle e sane.

Il gregge si sposta in un paesaggio primaverile. Anzi, in passato quante volte vi ho mostrato colori tenui, il verde che stentava ad emergere quando ormai era il mese di marzo? Guardate invece ora le sponde dei campi e dei prati!

Una lunga fila nella stradina tra i campi. Chi cammina dietro al gregge scivola sul fango. Il cielo è di nuovo grigio e pioverà ancora. Presto il grano diventerà giallo per la troppa pioggia. Com’è il detto? “Sotto la neve, pane, sotto la pioggia, fame.

Ancora un prato da pascolare prima che venga notte. Le giornate adesso sono corte, l’oscurità arriva presto. Le giornate durerebbero un po’ di più se non ci fosse quella coltre di nuvole grigie nel cielo, ma per il momento il clima è questo e le pecore sono diventate verdi. La cura? Clima secco e freddo!

Mezze stagioni

Un amico appassionato di meteorologia l’altro giorno commentava: “Non mi dite che non ci sono più le mezze stagioni!“. In effetti l’inverno-inverno e l’estate-estate nel 2014 non li abbiamo visti. Anche questo autunno continua (qui) ad essere eccezionalmente mite.

Per i pastori vaganti ci sono i lati positivi e negativi, come sempre. Ieri vi ho parlato della “guerra per i pascoli”, ma c’è anche da dire che un clima del genere favorisce la crescita dell’erba per cui, in un modo o nell’altro, alla fine di pascoli ce ne saranno per tutti. I problemi maggiori sono legati alla pioggia, al fango, al terreno che non asciuga più. Il mestiere del pastore vagante è difficile e duro, con il maltempo le cose non possono che complicarsi.

E’ un sollievo mettersi in cammino con il sole. Persino le nuvole nel cielo non sono quelle classiche della stagione. Il terreno non è ancora gelato, raramente si vede la brina. Chi lavora all’aria aperta, avverte i “cambiamenti climatici” meglio di chiunque altro.

Grazie alle piogge ed al clima mite, i colori autunnali sono più brillanti anche in pianura. Il gregge attraversa un tranquillo paesino sperso tra le distese di campi e prati. Poco traffico per le strade, a dire il vero non c’è praticamente nessuno, così le pecore avanzano occupando quasi interamente la sede stradale.

Anche le strade più trafficate, da queste parti, non sono così difficili da attraversare. Per fortuna non c’è nemmeno la nebbia, che negli ultimi anni si fa vedere meno che in passato. Con la nebbia, un passaggio come questo diventa molto più complicato. Invece adesso ci si sposta con maggiore facilità, aiutati dalla presenza di stoppie che possono essere calpestate dal gregge senza causare alcun danno.

Queste frazioni  di pianura sembrano il posto giusto per far transitare un gregge. Piccole, tranquille vie secondarie, case più moderne affiancate ad antiche cascine. Si respira quella sensazione di vita rurale, di ritmo lento che altrove si è perso definitivamente. Forse è l’autunno, forse è questa stagione che dovrebbe preparare al riposo nell’inverno, anche se ormai il mondo moderno prevede di essere sempre di corsa, sempre efficienti per 365 giorni all’anno.

Le montagne innevate sembrano più vicine di quanto non siano in realtà. Neve sui monti, ma qui le temperature si alzano in fretta e già solo a tener dietro al passo del gregge c’è da sudare. Una strana mezza stagione, fin troppo caldo persino per essere autunno!

Non è normale vedere così verdi le sponde dei fossi, i bordi delle strade, a metà novembre. Il grano in certi posti è già alto e persino ingiallito per la troppa pioggia nel terreno. I contadini, nei pochi giorni di bel tempo, si affrettano o a lavorare le stoppie o a buttare il letame nei prati. Quanta erba “sprecata”… E poi, quanto farà bene concimare il prato con l’erba alta più di una spanna? Magari non vogliono le pecore “perchè fanno danno”, poi passano con il trattore e lo spandiletame…

Perchè di erba nei prati ce n’è. Un pastore mi diceva che un suo amico gli raccontava di aver smesso di tagliarla per le vacche perchè: “…è troppo fresca, c’è troppa acqua, la mangiano male!“. Anche le pecore la mangerebbero meglio se fosse più asciutta, più consistente.

Per adesso comunque meglio che di erba ce ne sia “troppa”. Anche se lo scorso inverno i pastori tribolavano per via della pioggia e del fango, che dire di quando si fatica per trovare pascoli? Quando la neve gelata copre la terra? Quando l’erba nuova stenta ad uscire nel mese di febbraio o di marzo? Si vedrà, se prima o poi l’inverno mostrerà la sua faccia. Oggi comunque piove di nuovo, non tantissimo, pioviggina…

Fa notizia solo perchè è successo a Sestriere?

Ormai certe cose “non fanno più notizia”. Però ogni tanto se ne parla lo stesso… La scorsa settimana un caso di gregge attaccato dai lupi è finito sui giornali, ma non è stato (e ahimè non sarà) l’unico di tutta l’estate. Le prime predazioni si sono avute quando gli animali sono saliti in alpe e le ultime avverranno fino al momento della discesa. Non è una novità. Ma questa volta il tutto è successo a Sestriere, nel mese di agosto, quando su non ci sono solo pastori, margari e abitanti della montagna, ma ci sono i turisti!

Anche senza fare il pastore, anche da normale turista, può succedere di trovarsi davanti ad una scena simile. In questo caso io camminavo lungo una strada sterrata, il gregge aveva cambiato vallata qualche giorno prima e il pastore sapeva che gli mancavano degli animali. Non so dire come e perchè questa pecora fosse morta, ma sicuramente qualcuno l’ha mangiata lasciando la pelle, la lana e qualche osso spezzato. Altre volte si trova una gamba di capriolo, qualche osso con brandelli di carne attaccata. E’ la natura, certo. Ma quando il gregge è in una località rinomata come Sestriere, allora l’attacco “fa notizia”. Bisognerebbe però ricordarsi del problema tutto l’anno, perchè il turista in montagna non ha niente da temere, se c’è il lupo. Non più di quanto debba temere il cinghiale, il cervo o la volpe. Per chi invece in montagna abita e lavora, il discorso è diverso.

Quante  volte, su queste pagine, abbiamo già trattato l’argomento? Innumerevoli… E parlar di lupo, ahimè, vuol sempre dire far polemiche. Perchè questo argomento, per i simbolismi che al lupo sono stati attribuiti nel corso di secoli e millenni, deve sempre prevedere uno schieramento netto da difendere ad oltranza. Quando si parla di lupo, con certa gente non si riesce a ragionare, meno che mai in un’epoca in cui, sempre di più, si è perso il legame con il mondo reale che ci circonda. La montagna, la natura da vivere è diversa da quella che si vede in TV o anche solo da quella che scorre dietro i finestrini di un’auto. Come si può pretendere di sapere cos’è giusto e cosa sbagliato, senza conoscere la realtà? Come soprattutto si può giudicare, senza avere la minima idea di cosa significhi, per un allevatore, trovare un suo animale sbranato?

(Foto F.Barreri)

Nel mese di luglio, aveva fatto scalpore la pubblicazione di queste immagini di un giovane margaro di Oncino (CN). Avendo trovato un vitello ucciso e parzialmente consumato, aveva scattato numerose foto della vacca che girava intorno al suo piccolo.

(Foto F.Barreri)

Particolarmente straziante questa, in cui la madre chiama disperata. Sembra quasi una richiesta di aiuto. Se l’animale è impotente, si sente ancora più impotente l’uomo, abbandonato a se stesso lassù in montagna, alla mercè delle parole che altri pronunciano in sedi lontane, tra cemento e asfalto. Fabio è giovane e si è lasciato andare ad uno sfogo, pubblicando queste immagini in un gruppo facebook, accompagnate dalle sue riflessioni. Il fatto è stato ripreso dai giornali locali e da vari siti, i commenti si sono sprecati ed alla fine è stato certificato che l’attacco non era da attribuire al lupo. Come si può infatti vedere, l’animale è consumato nel posteriore, mentre la classica predazione da lupo prevede il consumo a partire dalla pancia: vengono tirati fuori i visceri e poi l’animale inizia a mangiare la carcassa.

Le polemiche si sono sprecate, come al solito, ed il fatto che fossero stati cani e non lupi è servito per l’ennesima volta a chi continua a sostenere che la gran parte degli attacchi non sia da attribuire ai selvatici (nonostante ogni predazione venga certificata e, molte volte, è l’allevatore stesso a vedere il lupo in azione, come nel caso di Sestriere). Bisogna ripetere ancora una volta che i pastori hanno due tipi di cani? Evidentemente sì, visto che molti non l’hanno ancora capito. Ci sono i cani da guardiania, bianchi, grossi, confusi tra le pecore, con il solo compito di proteggere il gregge dagli intrusi, soprattutto se predatori, ed i cani “toccatori”, i cani da lavoro. E i cani randagi, a cui tanti vorrebbero attribuire le predazioni in alpe? Io, in 37 anni di vita, innumerevoli gite in montagna, stagioni passate in alpeggio, solo una volta ho visto due cani vagare in alta quota senza padrone. In un’altra occasione ho trovato un cane da caccia sperso, che ci ha seguito in fondovalle. Secondo me gli attacchi da cane, per lo meno da queste parti, sono da attribuire ad animali che un padrone ce l’hanno, ma è il cancello di casa a non essere sempre ben chiuso! Animali che “vanno a farsi un giro” e ritornano magari con la pancia piena.

Tornando al lupo, quest’anno le condizioni meteo sono a lui favorevoli. Ormai la gran parte dei pastori ha i cani da guardiania, pratica il pascolo guidato (cioè il pastore sta con gli animali tutto il giorno) ed impiega i recinti di notte. Questi sono gli unici tre “strumenti” attualmente utilizzabili per cercare di difendere il gregge, utili, ma non sufficienti a scongiurare al 100% gli attacchi. Attualmente nessun detrattore efficace è consentito dalla legge. Però ci si ostina a non capire che non si vogliono sterminare i lupi. Certo, nell’impeto del momento, più di uno afferma che vorrebbe ucciderli tutti, ma razionalmente poi la gran parte delle persone, allevatori compresi, afferma di non avercela con il lupo, animale selvatico che non ha nessuna colpa, se non quella di volersi cibare. La rabbia maggiore è rivolta verso chi li difende senza voler ascoltare le ragioni di chi si trova, per diversi mesi all’anno, a “combattere” quotidianamente con il timore di veder uccisi i propri animali.

Non mi stancherò mai di ripetere le stesse cose: i capi uccisi spesso sono il minore dei problemi. Il disagio lo patisce in ugual modo chi subisce predazioni e chi invece non perde nemmeno un animale in tutta la stagione. C’è comunque sempre l’ansia, il timore, le spese, la fatica per cercare di proteggere il tuo gregge. Prendiamo una pecora che si rompe una gamba: in passato si ingessava l’arto e si lasciava tranquillo l’animale dove si trovava: questo brucava, poco per volta si rimetteva in forma. Adesso invece bisogna per forza farlo scendere alla baita, magari chiuderlo in una stalla, perchè altrimenti è una vittima quasi certa. Riuscite ad immaginare cosa voglia dire far scendere lungo una traccia di sentiero sassoso un animale pesante con una gamba rotta? Molte volte ciò compromette ancora di più la frattura. Questo non è che un esempio per cercare di spiegare le tante sfaccettature del “problema lupo”.

Il lupo deve tornare ad avere paura dell’uomo, altrimenti non cambierà nulla. Bisognerebbe smetterla con le parole e le polemiche, che tanto ci piacciono, in Italia, e passare finalmente ai fatti. Smetterla con il “tanto ci sono i rimborsi”, “sono i pastori che non sanno fare il loro lavoro”, “è l’uomo che ha invaso territori non suoi”, ecc ecc ecc, classici commenti che si leggono e ascoltano ogni volta che si tira in ballo l’argomento. Il numero di lupi è in crescita, il territorio piemontese è ormai interamente colonizzato, in tutte le valli ci sono stati attacchi e avvistamenti, un lupo è stato investito in pianura, ad una ventina di chilometri da Torino. Si parla ormai anche di ibridi tra cani e lupi. Purtroppo l’attacco a Sestriere sarà solo una delle tante notizie estive per fare un po’ di clamore, poi arriverà l’autunno (stagione in cui si concentra solitamente il picco delle predazioni) e nessuno parlerà del problema. I pastori si sentiranno sempre più soli, saranno sempre più esasperati e delusi, ma nessuno prenderà mai la responsabilità di una decisione in grado di scatenare le proteste degli ambientalisti. Conta di più l’opinione di chi teorizza una wilderness inesistente rispetto a chi invece lavora e mantiene viva la montagna, la biodiversità, i prodotti caseari e non solo…

Riflessioni che non tutti fanno

Da quando ho iniziato a frequentare il mondo della pastorizia “dall’interno”, mi è capitato moltissime volte di ascoltare riflessioni da parte di persone che prima si sorprendono, poi si entusiasmano per le mie scelte. Per quanto io su queste pagine virtuali abbia sempre tentato di presentare la realtà nelle sue varie sfaccettature, noto che c’è sempre una certa percentuale di pubblico che resta affascinato dagli aspetti più pittoreschi e romantici e manifesta “invidia” nei miei confronti. Certo, non capita solo per questo settore. Un conto è fare un lavoro, un conto è un passatempo. Può essere fantastico passare un paio d’ore con un pastore o anche solo sognare come sarebbe bello praticare questo mestiere, un altro è viverlo.

C’è il maltempo, quello di un giorno e quello che si protrae per settimane. I lavori da fare non cambiano, ma un conto è tirare e raccogliere reti quando fa bello, un altro quando piove e non puoi nemmeno tenere in mano l’ombrello. Poi c’è il fango, il non sapere dove condurre il gregge quando i prati sono “troppo molli”, per non parlare di eventi catastrofici come quelli che hanno coinvolto la Sardegna e di cui ormai non si parla già più. Pensate agli animali morti, alle scorte di foraggio distrutte, ai pascoli coperti dal fango…

Non basta un tramonto pittoresco per risollevare il morale, in certi giorni. Certo, essendo al pascolo all’aperto si colgono tutte queste sfumature del mondo intorno a noi che invece sfuggono a chi è chiuso in un ufficio, ma pensate cosa significa essere fradici, camminare nel fango tutto il giorno con gli stivali, le temperature che si abbassano, il gelo che inizia a mordere le mani la sera quando devi prendere un agnello appena nato e convincere la madre ad allattarlo…

Quando torna il bel tempo e anche le previsioni sono buone, allora un po’ l’umore migliora. Con le belle giornate può anche capitare che qualche amico si fermi a scambiare quattro chiacchiere, con il sole puoi riprendere ad andare in giro dai contadini per chiedere se ti vendono l’erba. Meglio non farlo quando i piedi affondano nel fango…

Novembre si chiude con un giorno di neve fino in pianura, ma già il giorno successivo ne restano solo poche tracce nei punti dove non batte il sole. Va tutto bene, allora. No, a volte capita che ci si ammali… La sottoscritta, pur non praticando la pastorizia a tempo pieno, cerca di dare una mano tutte le volte che ce n’è la necessità, oltre a tutte le volte che non ho altri impegni. Qualcosa da fare c’è sempre e una persona in più solleva i pastori da qualche lavoro. Non ci si ferma per un raffreddore…

Stamattina il tempo doveva essere bello e invece già prima del sorgere del sole soffiava il vento, in montagna c’era tormenta e cadeva qualche goccia di pioggia. Tra l’altro era pure Santa Bibiana, giorno “di marca”, quindi ci aspettano 40 giorni e una settimana di incertezza meteo?? Bisognava spostare il gregge tra i frutteti ed i campi, serviva una mano, non era un lungo cammino, ma…

Ma un conto è essere lì fermo, un altro è correre dietro, di fianco al gregge. La pista tra alberi di melo e pesco è fangosa, qua e là tracce di neve e grosse pozzanghere, alcuni agnelli restano indietro. Non è semplice catturarli in condizioni normali, figurarsi quando si è febbricitanti. Un lavoro da invidiare? Come tanti altri, si stringono i denti e si fa quel che c’è da fare anche quando non si è al massimo della forma. Ricordo un pastore che mi raccontava di camminare attaccandosi alla coda delle pecore, vinto dalla febbre e dall’influenza.

Io non sono un pastore al 100% e quindi, una volta raggiunta la destinazione, sono potuta tornare a casa. Il cielo stava schiarendo, di lì a poco sarebbe arrivato il sole, l’aria era fredda. Ciò nonostante volete scegliere questa vita? Bene… allora vi segnalo un annuncio che ho inserito l’altro giorno sull’apposita pagina. Per qualcuno sarà l’occasione per mettersi alla prova!! “Pastore cerca aiutante serio e volenteroso per la stagione invernale di pascolo vagante nella zona di Asti. Tel. 3357086194