Sabato scorso ho preso parte ad una tappa di una transumanza. E non parlo di un gregge, di un pastore vagante che si avvicina alla pianura pian piano pascolando mentre ridiscende la valle. Sono stata invitata da dei margari a vedere il passaggio della loro mandria nel centro del paese, ultima tappa per raggiungere la loro cascina. Però perchè andare in pianura? Se la transumanza era tutta a piedi, era la montagna che avrei preferito vedere!

Così sabato scorso raggiungo il Colle di Sampeyre, tra la Val Varaita e la Val Maira, senza badare troppo alle previsioni meteo non ottimali. La transumanza era iniziata il giorno prima quando, dai pascoli dell’alpeggio di Elva, si era appunto raggiunto un luogo dove fare sosta lungo l’antica strada militare che percorre tutto lo spartiacque tra le sue vallate. C’era ancora un minimo di visibilità, il maltempo e il freddo già avevano caratterizzato il primo tratto di cammino e la nottata.

Si inizia attaccando un po’ di campanacci. Si sostituiscono quelli “da pascolo” con quelli per la transumanza. Fa freddo e le nuvole si stanno abbassando. La stagione è già decisamente avanzata, per queste quote. Terminato il lavoro, c’è giusto il tempo per un sorso di qualcosa di caldo, un pezzo di cioccolato, poi inizia a piovere.

La pioggia però gira subito in neve. Fa freddo, è ottobre, si è oltre i 2000 metri. La speranza è che non sia una nevicata di lunga durata, sia per la transumanza, sia per venire la sera a recuperare le auto che rimangono lì. Ci si incammina, inizialmente le vacche non sembrano molto convinte di riprendere la strada.

Questo percorso avrebbe potuto essere molto panoramico, è un luogo molto bello. Con il sole, i colori dell’autunno, le montagne innevate sullo sfondo, qui ci sarebbero state da scattare infinite foto. Invece un po’ il freddo, un po’ la pioggia, la neve, la mancanza di panorama, tutto contribuisce ad avanzare quasi meccanicamente, pensando innanzitutto a scaldarsi un po’.

Qua e là ci sono ancora accumuli di neve dei giorni scorsi, di quella prima nevicata che ha fatto scendere la maggior parte di quelli che erano ancora in alpeggio. Adesso sta cadendo nuova neve, che si ferma sulla terra dura, gelata, e sull’erba ingiallita. Qui non c’è più nessuno da tempo, nè bovini, nè il gregge di pecore che pascola questi versanti.

La strada si abbassa un po’ di quota o forse si alzano le temperature, comunque smette di nevicare e piove soltanto più. Gli animali rallentano dove il fondo è più sassoso, il cammino prosegue a passo regolare. Chiedo a Federica se tutti gli anni scendono a piedi in questo modo. “Siamo a Elva da quattro anni, i primi due abbiamo caricato, poi lo scorso anno… Abbiamo pensato di andare giù a piedi. La strada del Vallone adesso è chiusa, fare il giro dall’altra parte a piedi è comunque lungo, prima di arrivare ad un posto dove puoi caricare sui camion. Qui c’è questa strada dove passi senza dar fastidio a nessuno. Abbiamo trovato dei posti dove fare tappa e così…”

E così si cammina. Partenza al venerdì, arrivo al martedì, ovviamente ogni giorno bisogna sia spostarsi, sia riuscire a far pascolare gli animali. Si scambia versante, smette di piovere, ma la nebbia resta fitta. I passi percorsi iniziano ad essere tanti, gli animali hanno anche fame, le foglie dei lamponi lungo la strada li attraggono irresistibilmente.

Nel rivedere le foto a distanza di una settimana sembra un po’ di osservare dei quadri, con i colori dell’autunno nel momento migliore della loro bellezza. Quando però uno era lì a camminare nell’umidità, nel freddo, con la stanchezza e la fame che aumentavano, tutto era meno romantico e bucolico.

Anche nel resto della valle il tempo non è migliore, ma almeno abbassandosi di quota si può godere di un po’ di panorama. A modo suo è pittoresco anche questo e, come ho detto molte volte, spiace lasciare la montagna quando sembra che ci possano ancora essere belle giornate per rimanere su. Però Federica e Luana mi raccontano dell’anno scorso, quando faceva così bello, quando si stava in maglietta tanto faceva caldo…

Si vede la meta, finalmente. Sembra vicina, ma tornante dopo tornante, la strada è ancora lunga. Per quel giorno si percorrerà una quindicina di chilometri, dicono i margari. Io questa strada la conoscevo bene dai tempi in cui la frequentavo in mountain bike e l’avevo pedalata sia in salita, sia in discesa. E’ la prima volta invece che la vedo come scenario di una transumanza.

Quasi al colle invece finalmente ecco parte dello spettacolo che si sarebbe potuto ammirare nel corso di tutta la giornata, con le creste, le montagne, i pendii. Ci sono dei motociclisti tedeschi (la Val Maira e le sue strade sono molto amate dagli stranieri) che si affrettano a riprendere la scena e scattare numerose foto.

E’ inevitabile pensare alle transumanze di un tempo, alle transumanze in cui per forza si andava a piedi. Ma non si passava in alta quota, si percorreva qualsiasi strada, perchè erano i percorsi in cui naturalmente transitavano gli animali. I mezzi a motore sono arrivati dopo, ma le strade sono (quasi) solo più loro. Non tutti sono contenti del fatto che una transumanza passi nel centro del paese, emergono mille problematiche nuove, responsabilità, paura che qualcuno di lamenti perchè gli animali “sporcano”.

L’ultimo tratto di cammino per quel giorno. La strada corre in piano, le vacche camminano in fila, cercando di evitare sassi e ghiaia, che già ne hanno pestati a sufficienza. L’asfalto non sarebbe stato meglio. E il viaggio sui camion? Lo stress del salire e scendere sulle pedane, sui piani degli autotreni? Molto meglio questo cammino naturale, anche se lungo.

Sono le 14:00 quando la mandria lascia la strada e sale nel bosco, per uscire nella radura. Sembra tutto giallo e secco, ma dopo qualche istante le vacche abbasseranno la testa ed inizieranno a pascolare. C’è anche una vasca e dell’acqua per farle bere. Per quel giorno il cammino è finito, non si andrà oltre.

Dal pick up vengono scaricati fili e picchetti. La modernità permette di non dover rimanere lì a sorvegliare gli animali al pascolo mentre si va a mangiare un boccone. Appena l’ampio recinto sarà stato fatto, si attaccherà la batteria per la corrente e si potrà andare al coperto a mangiare un meritato boccone di pranzo. Sì, sono le tre del pomeriggio, ma le transumanze e il lavoro non hanno orari definiti.

Finalmente poi arriverà un po’ di bel tempo, quello che si attendeva fin dal mattino. La speranza per i margari è di avere condizioni migliori per i successivi giorni di transumanza, visto che le prime due tappe hanno visto pioggia, neve e nebbia.

Quando c’è il sole, l’autunno e la montagna regalano scorci di rara bellezza, dove gli animali al pascolo aggiungono quella nota di vita che niente altro può dare. Presto la montagna sarà totalmente silenziosa, muggiti e campanacci risuoneranno solo alle quote inferiori, laddove c’è ancora qualcuno che alleva qualche animale. Poi inizierà l’inverno.

Ecco, per concludere, la foto ricordo di tutte le persone che hanno accompagnato la transumanza quel giorno. Ogni tappa vedrà un susseguirsi di amici, di accompagnatori che verranno a dare una mano o anche solo a percorrere qualche chilometro con la mandria, fino alla conclusione con il passaggio attraverso il paese di Busca.