Paesaggi elvetici

Qualche giorno di vacanza in Svizzera e come sempre ci si riempie gli occhi di panorami. Non è solo che il territorio sia più bello: certo, sicuramente alcune zone hanno ambienti particolari, ma c’è una questione di cura e di corretto utilizzo da parte dell’uomo. Quello che magari ci sembra “paesaggio naturale”, in realtà presuppone qualche forma di gestione antropica.

Cercherò di farvi fare un “giro” con me, ovviamente concentrandoci su luoghi e panorami che hanno a che fare con il contenuto di questo blog. Anche in Svizzera ci sono stazioni sciistiche ad alto impatto paesaggistico o realtà visivamente poco gradevoli. Concentriamoci però su quello che cerca una buona fetta dei turisti che si recano da quelle parti. Si cerca proprio il paesaggio, la quiete, il relax, le passeggiate.

Va bene il castello, ma… non sarebbe la stessa cosa se tutt’intorno non venissero sfalciati i prati per fare fieno, con una cura che comprende anche i punti più ripidi, i margini del bosco, le piante isolate.

Poi magari gli allevamenti non sono più tutti tradizionali come un tempo, ma saranno anche altri animali a consumare quel fieno, non solo vacche, capre e pecore.

Nei giorni in cui siamo stati in Svizzera, il meteo ha giocato qualche scherzo: una nevicata abbastanza abbondante anche a quote relativamente basse. Questo è ciò che, al pomeriggio, restava nei prati di Livigno, dove non era ancora stato tagliato il fieno.

Il sole in giornata aveva sciolto un po’ di neve, ma alle quote maggiori ce n’era ancora abbastanza. Qui siamo di nuovo sul lato svizzero, dietro la Forcola di Livigno, con le pecore scese sull’asfalto per leccare il sale che era stato sparso per evitare la formazione di ghiaccio.

In Svizzera la montagna prima di tutto è di chi ci vive e ci lavora. Benvenuti tutti i turisti, ma devono aver rispetto del lavoro e degli animali. Si incontrano spesso questi cartelli, che segnalano agli escursionisti la presenza di vacche nutrici, di modo che tutti siano avvisati del potenziale “pericolo”. Dovrebbe essere scontato che un animale, di qualunque specie, difende il proprio piccolo, ma ormai queste cose non si sanno più…

Non ricordo di aver visto così tanti cavalli in Engadina in passato, anche se era ormai da qualche anno che non ci venivo. Allevamenti di tutte le dimensioni, pensioni per cavalli, cavalli al pascolo nei prati e sui pendii di montagna. Chissà, forse allevamenti bovini sono stati riconvertiti in questo modo? Altre rese economiche, meno lavoro, poi il cavallo pascola alla perfezione anche quello che altri erbivori scartano.

La quota è abbastanza elevata, ma gli animali sono comunque più a monte. Lì nella “pianura” si fa fieno, ma i prodotti dalla montagna scendono, così nel distributore automatico di latte si può acquistare latte d’alpeggio, formaggi, yoghurt. Latte a 1 € al litro (1,20 CHF), formaggio (della scorsa stagione) a 23 CHF al chilo.

Una volta passato St. Moritz, i suoi alberghi, i suoi negozi di lusso, si scende tra paesini abbastanza ben conservati, dove l’attività agricola e turistica viaggiano di pari passo: stanze in affitto ovunque, stalle e un gran via vai di persone che tagliano fieno, dato che le previsioni annunciano una breve tregua nel maltempo.

In alto la neve fatica a sciogliere, le temperature sono basse, l’aria gelida. Qua e là si sentono campanacci e si scorgono animali che cercano di pascolare quel poco di erba che esce tra la neve. Sono state sicuramente giornate dure.

Va molto meglio più in basso, dove gli animali sono tornati ad essere circondati dall’erba. Accanto alle razze tradizionali, sono in aumento gli Angus: meno bestie da latte e più animali da carne anche qui, a quanto sembra.

Il meteo spesso non consente di far asciugare completamente l’erba, che o viene portata nei seccatoi presso le cascine, o il fieno parzialmente secco viene fasciato con gli appositi teli. Oltre a quelli bianchi, se ne vedono qua e là di azzurri, rosa, verdi. Direi che nemmeno loro stonano nel paesaggio!

Nei paesi di montagna non è raro vedere anche qualche piccolo allevamento di capre. Non grossi numeri, cosa che peraltro vale un po’ per tutto. Non abbiamo mai visto greggi o mandrie immensi, segni di sovrapascolamento, ma tutto pare essere a misura d’uomo e di territorio.

E così, in questo bel panorama, dove ci sono sì gli scorci alpini, ma anche i paesini ben curati, boschi che si alternano a prati e pascoli, la gente viene, gira in auto, a piedi, in bici, in treno, trovando esattamente quel che si aspetta.

Altro passo, altre mandrie al pascolo di fianco alla strada. Qualcuno mi sa dire qualcosa sulla vacca nell’immagine? Ne ho viste alcune, a tre colori così, ma non so se si tratti di incroci casuali o di qualche particolarità.

Ed ecco la classica “mucca svizzera”, la bruna. Dopo un periodo in cui venivano totalmente decornate, oggi viene dato un contributo agli allevatori che scelgono di non bruciare le corna agli animali. Visivamente, a mio parere, sono molto più belli. Questa pratica viene effettuata per ridurre i rischi di incidenti tra animali e anche per l’allevatore quando gli animali sono lasciati liberi in stalla.

La neve pian piano scioglie e anche le pecore, alle quote più alte, trovano erba da brucare. Si tratta di greggi incustoditi, lasciati a pascolare in vaste porzioni di montagna completamente recintate.

Con il bel tempo procede a pieno ritmo la fienagione e ciò vale proprio per tutti… In un tardo pomeriggio di sole, tra le vie di un villaggio ben esposto a mezza quota, un carro carico attende di essere portato in cascina. Si impara giocando a far gli agricoltori di montagna, poi appena possibile di inizierà a dare concretamente una mano.

Ancora altri animali al pascolo: vitelli e manzette a quote maggiori, poi due becchi più in basso vicino ai villaggi: tra non molto verrà il momento di portarli dove ci sono le capre quando inizierà la stagione dei calori.

Ancora paesaggi agricoli: villaggi, prati, alberi da frutta, piccole aziende mescolate alle case.

Per non parlare poi dei pendii sfalciati punteggiati dalle casette scure, un tempo usate come fienili. Oggi penso che non abbiano più quello scopo, ma fortunatamente vengono ancora mantenute in perfetto stato, dando al panorama quel “tocco in più”.

Per finire, lasciatemi spendere ancora qualche parola sulla fienagione: guardate la pendenza di dove viene tagliato il fieno… Ovviamente vengono utilizzati macchinari appositi, come le falciatrici con le ruote munite di appositi denti e altri mezzi in grado di affrontare quelle pendenze. Poi… anche tanto olio di gomito… E così si costruisce e si mantiene questo paesaggio, questo territorio.

Una segnalazione e ancora un po’ di Svizzera

Dalla Lombardia mi inviano la locandina di una manifestazione che si terrà questo fine settimana, che pubblico immediatamente. Degli altri eventi vi avevo già parlato l’altro giorno.

Domani e domenica quindi chi è in zona può andare a Bossico (BG). Qui sul sito della Proloco tutte le informazioni dettagliate. Per chi mi ha chiesto, “Tempo di Migrar” a Premia (VB) si tiene nel primo fine settimana di ottobre, sabato 3, ma pubblicherò la locandina prossimamente.

Devo ancora finire di raccontarvi il mio breve viaggio in Svizzera. Avevo assistito alla transumanza, ma non avevo voglia di tornare con un noioso viaggio in autostrada in pianura. Confidando in un meteo non troppo brutto ho quindi allungato di molto la strada del rientro e sono sconfinata nel Canton Uri e nel Vallese. Zone che già conoscevo, ma fa sempre piacere vedere dei bei posti. Qui siamo lungo la strada che porta al Passo della Furka.

La stagione si avvia anche lì verso la fine, nell’alpeggio lungo la strada sembra non esserci già più nessuno, le vacche da latte devono essere scese, restano solo animali giovani. Turisti in giro ce ne sono ancora tanti, in auto, in moto, in bici, ma sono tutti alle prese con la strada, più che con il panorama. Questi sono percorsi “classici” per gli amanti dei passi di montagna. Scendere dal proprio mezzo per venire maggiormente a contatto con animali e territorio sembra non attirare molta gente, anche perchè soffia un vento gelido.

Più in alto, lungo la strada, ci sono decine e decine di reti tirate, le pecore sono sparse qua e là a pascolare. Chissà se gli animali sono incustoditi o se c’è un pastore? Chi avrà sostituito quassù il pastore Luigi? Forse le reti sono solo per riparare la strada, adesso che anche il gregge non pascola più ad alta quota.

Non ci sono reti ovunque, infatti in corrispondenza di uno slargo dove posso parcheggiare comodamente la macchina, ci sono queste pecore vallesane che hanno appena attraversato l’asfalto. Altre pascolano poco sopra. Razza locale, sono un po’ un simbolo di queste zone e le loro immagini riscuotono sempre grande successo, per l’aspetto quasi da peluche. Mi ricordo però che Luigi mi aveva raccontato di come fossero testarde, lente nel seguire il gregge, con la tendenza ad isolarsi e stare per conto proprio.

Una lunga discesa, attraverso villaggi pittoreschi, vallate dove il territorio è interamente rurale. Le vacche da latte sono effettivamente scese dagli alpeggi e si vedono dappertutto, a pascolare i prati dove lo scorso anno invece avevo visto tagliare il fieno, in piena estate. Ce ne sono ovunque, anche tra le case, con i fili tirati sul confine del giardino, dell’orto. Da queste parti infatti è raro vedere una recinzione intorno ad una casa, gli spazi sono aperti ed è uno degli elementi che ispira sensazioni di pace e tranquillità.

Scendo verso le città, il vento è ancora più forte, dai finestrini vedo altri animali, stalle, piccoli greggi accanto ai paesi, poi prati, campi, frutteti, vigneti a perdita d’occhio, il tutto circondato da montagne tra le quali si aprono vallate dai nomi “famosi”. Per rientrare in Italia devo imboccarne una di queste, altrimenti proseguire mi porterebbe in Francia! Sarebbe bello fermarsi ovunque, già solo nei villaggi lungo la strada, ma di chilometri da percorrere ce ne sono ancora molti. Purtroppo incontro di nuovo il maltempo, nebbia bassa, il passaggio sul passo avviene senza che quasi io capisca dove sono, talmente la visibilità è scarsa. In discesa, lungo la strada, un alpeggio da cui gli animali sembrano appena esser partiti proprio quel giorno. Più in alto, nella nebbia, un coro di belati confusi…

Le campane suonano…

Come già vi avevo mostrato, non ho avuto fortuna con le condizioni meteo, mentre ero in Svizzera. Anche il giorno successivo il tempo non era buono. Anzi, era peggio dei precedenti! Nella notte la neve era arrivata fino alle baite ed anche più a valle, al mattino pioveva, le nuvole erano basse.

Andare a cercare le pecore era un’impresa praticamente inutile. Altro discorso sarebbe stato dover andare al pascolo, ma il gregge era già libero di pascolare, quindi… Avrebbe continuato a farlo! Il pastore mi propone di cambiare versante, andare a controllare che le pecore non siano scese in basso, superando le reti tirate nei punti di passaggio, e risalire verso l’alpe delle vacche. Certo, con il bel tempo sarebbe stato maggiormente spettacolare, ma comunque… ci mettiamo in cammino, tra nebbia e pioviggine.

L’alpeggio è completamente avvolto nella nebbia fittissima, non si vede nemmeno il rifugio poco sotto. Veniamo accolti con gioia e invitati a pranzo. Anche gli allevatori qui sono intralciati nei loro lavori dalla nebbia. Due di loro sono comunque ancora fuori, sono andati a vedere le manze. L’indomani invece le vacche da latte scenderanno a valle, nell’altro tramuto accanto al lago. Chiacchieriamo, io soprattutto ascolto. Il giro delle strutture lo faremo dopo, a partire dalla cantina piena di formaggi. Parte della produzione è già stata portata giù con la teleferica (per fortuna che c’è!), parte resterà qui a stagionare fino al prossimo anno, appesa in dei sacchi di rete, in modo da non avere la necessità di venire girata.

Le strutture sono belle, moderne. Mungere qui all’aperto, con un clima così, mette al riparo dalla pioggia, ma non dal freddo e dall’aria. Sull’alpeggio, oltre al conduttore, c’è un giovane originario della Lombardia, che lavora stagionalmente coma aiutante, già da diversi anni su questa montagna. Poi c’è una giovanissima ragazza originaria della Svizzera tedesca. Ha studiato da maestra, ha fatto lettere all’università, poi è andata a dare una mano in un’azienda di una signora anziana d’inverno ed ha cercato un posto per l’estate in un alpeggio. “All’inizio l’ho vista così dolce, mi sembrava fragile… Adesso do a lei da portare il sale a spalle, così riesco a tenerle dietro quando saliamo dalle manze!“, scherza (ma solo fino ad un certo punto) il malgaro.

Gli animali non sono ancora stati messi al pascolo, si spera che la neve se ne vada via. Per fortuna il giorno dopo si scende. Si sta bene nella baita con la stufa accesa, il pranzo che cuoce. Fuori fa freddo, l’umidità non accenna a diminuire. Una delle sale del caseificio è dedicata all’affioramento della panna e al burro, burro quindi da latte e non da siero! Questo viene portato a valle ogni pochi giorni. “Quando non c’era la teleferica, a tutti quelli che passavano di qui, chiedevamo se potevano portare giù un po’ di burro!

Il formaggio prodotto qui viene interamente venduto direttamente, senza intermediari. Questo garantisce una buona rendita e la sopravvivenza di una piccola azienda di montagna. Qui in alpeggio, oltre agli animali del conduttore dell’alpeggio, ci sono quelli di altri allevatori della valle, affidati per la stagione estiva. Anche questo alpeggio è di proprietà del patriziato, come per l’alpe delle pecore. Il punto vendita giù in basso, accanto al lago, garantisce un buon afflusso di turisti. Vengono prodotti anche yoghurt e formaggelle.

Dopo pranzo, le vacche vengono messe al pascolo. La nebbia continua ad essere molto fitta, ma almeno sembra aver smesso di piovere e la neve se n’è andata quasi tutta. Ogni animale ha una campanella al collo, piccole campane, fondamentali per localizzarli nella nebbia o nel buio del mattino, quando si esce per andarli a prendere e condurli alla mungitura. Eppure il gestore del rifugio lì accanto si è ripetutamente lamentato per il suono delle campane, che lo infastidisce e infastidirebbe pure i suoi clienti. “Sai qual è il problema? Il problema è che non c’è soluzione…!“, gli era stato risposto. Montagna, alpeggio, vacche al pascolo e campane. Fai il turista in montagna? C’è anche questo, così come se dormi in un albergo in città c’è il traffico, il treno…

L’indomani devo ripartire, ma decido di aspettare, anzi, di andare incontro alla transumanza! Poso i bagagli in macchina e risalgo (nuovamente tra nuvole basse e pioggia) verso l’alpeggio, fin quando sento le campane e i richiami delle persone che stanno accompagnando gli animali. Il primo tratto di sentiero è bello, poi vi sono alcuni passaggi delicati. Il giorno precedente avevo sentito criticare a lungo il lavoro di chi doveva sistemare il sentiero, che teneva conto più dei turisti che non delle esigenze degli animali. Non solo in Italia, allora…

Dopo il passaggio sul torrente che fa da immissario al lago, inizia un tratto abbastanza pianeggiante, che però “taglia” dei versanti molto ripidi. Mi chiedono di non stare troppo vicina alle bestie, c’è un po’ di tensione, perchè in effetti i passaggi sono delicati e le Brune sono animali pesanti, pochi agili.

La foto scattata da lontano in effetti non riesce a rendere l’idea di come fosse questo punto: il sentiero stretto, un accumulo di terra e pietrame che l’ha invaso parzialmente, cadendo dal canalone soprastante, le vacche passano lentamente. Sotto, il canalone roccioso precipita direttamente nel lago. Per fortuna gli animali avanzano uno ad uno, attraversare qui con una mandria nervosa, vacche che si spingono, sarebbe troppo rischioso!

Dopo il cammino è più semplice, il sentiero è una vera autostrada. Per fortuna ha smesso di piovere, la transumanza si conclude nel migliore dei modi. Non abbiamo nemmeno incrociato turisti, non in quest’ultimo tratto, mentre prima ve n’erano alcuni che salivano al rifugio, altri che già scendevano. Da queste parti meno che altrove ci si fa intimorire dalle condizioni meteo avverse.

Le vacche sfilano lungo il lago. Tra una settimana scenderanno anche le pecore e la montagna resterà silenziosa, senza campanelle, senza cani da protezione, con buona pace del gestore del rifugio e dei turisti! Non avrei pensato che questi “problemi” esistessero anche altrove, pensavo che le montagne di Heidi fossero più sane, più rurali, e che la dimensione sempre più da parco giochi/parco avventura fosse una prerogativa italiana, invece ciò che ho visto ed ascoltato mi ha fatto capire che un po’ ovunque le cose si ripetono.

Ed ecco che le ultime vacche arrivano all’alpe. Resteranno qui ancora qualche settimana, poi anche questa stagione si concluderà. Per me invece si è concluso il soggiorno in Svizzera, per il giorno dopo il tempo si annuncia ancora peggiore, quindi anticipo il rientro e mi metto in viaggio. Ma non sceglierò la via più breve per tornare a casa…

Se le pecore mangiassero i mirtilli e i rododendri…

Quel giorno il pastore voleva farmi fare un giro della montagna, all’incirca il giro che lui percorre tutti i giorni, in questa stagione, per capire più o meno dov’è sparpagliato il gregge. Però quel mattino c’era già la nebbia e le speranze di vedere pecore/panorama erano ben poche.

Comunque si parte ovviamente lo stesso. Ogni tanto qualcosa si vede. Il pastore mi “spiega” la montagna, dove pascola man mano nel corso della stagione. Mi confida anche che, se il prossimo anno tornerà ancora qui, gli piacerebbe (se i proprietari degli animali sono d’accordo) cambiare “giro”, per utilizzare meglio i pascoli. Ci sono zone che, secondo lui, andrebbero pascolate prima per sfruttarle meglio. Altre le pecore le dovrebbero mangiare salendo e non scendendo, come questo canalone dove l’erba sarebbe buona, ma gli animali la calpestano solo, sprecandola.

Nei pressi di una delle baite che il pastore utilizza ad inizio stagione, ci sono alcune pecore, poi una capra con i suoi capretti sull’altro versante. Già il giorno prima il pastore mi aveva detto che era stato obbligato a pascolare così in questa parte dell’anno, con gli animali liberi di andare in tutta la montagna, a loro piacimento, altrimenti non c’era erba a sufficienza per concludere la stagione.

Si sale per un sentiero molto ripido tra le rocce, sempre avvolti nella nebbia, ed ogni tanto piove. Il pastore mi mostra i tratti che ha sistemato lui per passare più agevolmente con gli animali. Ci sono sassi ovunque, grossi blocchi di granito, e lui mi spiega che non è raro che si stacchino dalle pareti, rotolando a valle. Finalmente la salita finisce e si raggiunge la capanna. E’ una sorta di bivacco, il pastore invece ha in uso un container poco lontano.

All’interno della capanna c’è il solito foglio illustrativo sui cani da protezione, i cartelli li avevo già incontrati altrove lungo i sentieri. Mi aspettavo, qui in Svizzera, di non ascoltare le solite lamentele riguardanti i turisti, invece… Nonostante il bellissimo video che spiega come comportarsi, nonostante tutte le informazioni, succedono gli stessi incidenti. Persone che gridano, che agitano bastoni e racchette da trekking, persone che vengono morsicate, pantaloni strappati, scenate isteriche, denunce, lamentele da parte del patriziato, dei gestori dei rifugi. E dire che i cani sono tutt’altro che aggressivi! Solo che loro fanno il loro lavoro e il turista esagitato per loro è un elemento pericoloso, quindi…

Tra uno scroscio di pioggia e un denso banco di nebbia, ogni tanto si vede qualcosa. La parte alta di questo vallone è impervia, tante rocce, qualche pianoro, poi pietraie e montagne ripide. Pecore quassù adesso non ce ne sono più, ma nel corso della stagione hanno pascolato quel che c’era. Impossibile tenere il gregge unito anche per il forte rischio che gli animali smuovano qualche roccia instabile, che può ferire o uccidere le sottostanti.

Si sale ancora, nel momento in cui la nebbia è più fitta si sente un cupo rombo che dura per un paio di minuti. Sono pietre che si sono staccate dalle pareti più ripide e sono rotolate a valle, nello stretto vallone. Il pastore dice che è normale, che succede spesso, ma la cosa non è rassicurante. Poi smette di piovere e per qualche istante si vede persino il lago, laggiù a valle.

Ancora salita, poi delle conche, sassi ovunque e qualche pecora sui versanti ripidi. “Dalle nostre parti la gente pensa che in Svizzera sia tutto facile, magari adesso che lo vedi tu e lo racconti ci crederanno! Questa montagna è così… E più in basso, erba cattiva, rododendri e mirtilli. Ecco, se le pecore imparassero a mangiare rododendri e mirtilli, allora questa sarebbe una bella montagna!“, scherza il pastore.

Lascia che le pecore presenti in questa zona pascolino tranquille, tanto si ritireranno da sole più in basso verso sera. Avrebbe abbassato altre pecore eventualmente più a monte, ma la visibilità torna ad essere pessima, non riusciamo a capire se ve ne siano. L’aria è fredda, già in precedenza erano cadute delle palline di pioggia gelata, non grandine, non neve.

Ad un certo punto però inizia davvero a nevicare. Sembra non debba tenere, poi però la precipitazione si fa più intensa e in pochi minuti diventa tutto bianco. La stagione è proprio finita, quella poca erba ingiallita è appena sufficiente per le pecore, ma se arriva la neve… Chissà poi se le pecore si abbasseranno da sole, o bisognerà andarle a recuperare nei posti più impervi?

Fortunatamente, abbassandosi di quota, la neve torna ad essere pioggia. Poi l’aria fredda diventa più forte e le nuvole si squarciano. Forse questa precipitazione porterà un po’ di bel tempo a seguire? I canaloni sugli altri versanti, innevati, paiono ancora più ripidi. Il pastore mi indica alcuni gruppi di pecore qua e là, che dovranno essere recuperati al più presto nei giorni successivi, sperando nelle condizioni meteo.

Il cane viene mandato a recuperare un gruppetto di pecore che si intravvedeva più a monte. Scompare, riappare, il pastore grida i comandi, ma chissà se l’animale riesce a sentirli, con il rumore del torrente? Ad un certo punto però le pecore, in fila indiana, iniziano a scendere lungo il crinale. I giorni successivi saranno tutti così, i cani avranno di che consumarsi le zampe!

Ed ecco il gruppetto di pecore. Pensando al fatto che ve ne sono più di mille e, fino ad ora, ne ho visti solo dei piccoli greggi isolati qua e là, il lavoro che attende il pastore mi sembra davvero complesso. Dovrebbero venire anche alcuni dei proprietari delle pecore negli ultimi giorni, ma lui preferisce far da solo, perchè sa come muoversi e come usare i cani. Poi, l’ultimo giorno, il gregge verrà portato giù e tutti verranno a dividere e riprendere i propri animali.

Il cielo torna a coprirsi, mentre scendo alla baita. Non c’è nebbia, ma fino a quando? L’indomani mi augurerei di riuscire a vedere un po’ più di panorama, magari salire ad un colle, andare in cresta. C’è qualche pecora anche nel recinto vicino alla casa… Non si può nemmeno dire di avere la compagnia del gregge, nei giorni di nebbia, dato che gli animali sono così sparpagliati.

Il tramonto è all’insegna del maltempo, infatti con il buio arriverà di nuovo la pioggia, intensa, e persino la neve. Appena una spruzzata intorno alle baite, qualcosa in più alle quote maggiori, il mattino dopo. Certo, non ho avuto fortuna con il tempo, ma anche queste sono testimonianze di cosa significa fare questo mestiere. Va già bene che qui almeno c’è una baita dotata di ogni comfort, dalla stufa al bagno con la doccia, ambienti accoglienti, dove cucinare, asciugarsi, pernottare dopo un’intera giornata all’aperto.

Chissà che belle montagne…

L’estate è davvero agli sgoccioli, l’estate sta finendo, c’è già chi è sceso e chi si appresta a farlo. Tra i tanti posti dove avrei dovuto andare, c’era il Canton Ticino in Svizzera, anche per far visita al mio amico pastore che da alcune stagioni lavora su quelle montagne a badare ad un gregge. Il commento più comune, tra chi invece pascola qui in Piemonte, riguardava la bellezza delle montagne svizzere, intesa come la qualità dell’alpeggio, dell’erba, del territorio in cui il loro collega sicuramente lavora.

Certo, una volta superate le zone urbanizzate, salendo per la vallata alpina il paesaggio è quello che ci aspettiamo: ordine, pulizia, prati sfalciati in modo uniforme, senza un angolo abbandonato, con un’armonia che fa bene alla vista. Gli alpeggi però sono più su.

L’alpe delle vacche accanto al lago adesso è vuota, gli animali sono ancora più a monte, ma non tarderanno a scendere. Tutti gli altri pascoli invece sono destinati al gregge affidato al pastore, un gregge composto da pecore di svariati proprietari. Gli alpeggi qui sono gestiti dai patriziati, un sistema diverso da quello piemontese, con alpeggi pubblici (comunali), privati o consortili. Ecco il sito di un patriziato confinante con quello dove sono stata.

Nei pressi della baita utilizzata in questo periodo dal pastore ci sono alcune pecore, che si sono ritirate in questa zona per la sera. Il gregge è libero, deve ancora rimanere quassù per due settimane all’incirca, ma il pascolo ormai è scarso, pertanto solo lasciando gli animali liberi di spostarsi a piacimento un po’ in tutto l’alpeggio questi avranno modo di nutrirsi a sufficienza.

Il pastore raggiunge un’altra area dove le pecore scendono la sera. Il gregge è anticipato dai tre cani da guardiania, che corrono giù per avere la loro razione di crocchette quotidiane. “Dovrebbero mangiare in mezzo al gregge, per fare le cose correttamente. Fossero dei cuccioli, non farei così. Ma ormai questi sono cani adulti che svolgono perfettamente il loro lavoro. Anzi, il fatto che arrivino prima delle pecore, permette che mangino senza che ci siano incidenti, senza che le pecore cerchino di andare vicino a rubare il cibo.

Dopo aver nutrito i cani, il pastore inizia a distribuire il sale sulle rocce. Nel frattempo, a piccoli gruppi, arrivano delle pecore, ma sono solo una piccola parte dei mille e più animali presenti su questa montagna. Sarà un lavoro non semplice radunarle tutte per la discesa dall’alpe, specialmente se le condizioni meteo non saranno buone.

Non riesco ancora a rendermi ben conto di come sia l’alpeggio, ma non c’è bisogno di percorrerlo tutto per capire quanto i versanti siano ripidi, impervi, quasi irraggiungibili in alcune parti. Il pastore mi spiega quali siano i confini dei suoi pascoli e mi indica qualche puntino bianco qua e là, una pecora con i suoi due agnelli in un posto apparentemente irraggiungibile, un altro gruppetto allargato a pascolare tra due canaloni profondamente incisi. I cani avranno di che consumarsi i polpastrelli, nei prossimi giorni, ma anche gli scarponi di passi dovranno farne…

Per quel giorno il sole tramonta sull’alpeggio, tra nuvole in arrivo e nebbie che se ne vanno. L’indomani vedrò meglio il territorio di questo alpeggio, ma per quella prima sera già mi sono resa conto di come questo non sia un paradiso: la qualità dell’erba non è un granché, pietre ce ne sono in abbondanza. “Metti poi le foto, che altrimenti se lo dico soltanto io in Piemonte non ci credono!

Dagli amici

E’ inevitabile ormai… Chi mi conosce, di persona o anche solo in questo mondo virtuale, se andando in giro vede delle pecore, spesso pensa a me. Per fortuna molti, oltre al pensiero, attivano anche una macchina fotografica o un cellulare.

(foto I.Rivoiro)

Ringrazio così Irene: “…appena tornata dallo Yorkshire, in Inghilterra, la patria delle pecore, lana e mulini. Ho pensato molto al tuo blog e le notizie che pubblichi e ho pensato ti facesse piacere vedere questi paesaggi con pecore ovunque. Un tipo di allevamento diverso. Lì i prati verdi sono ovunque, sicuramente non devono spostarsi per cercare l’erba!

(foto A.Malacarne)

 

Il Nordest continua a collaborare attivamente con questo blog. In attesa di riuscire ad organizzarmi per fare un “tour” da quelle parti, incontrare pastori e scattare foto, mi appoggio a quelle degli amici. Qui Celestino Froner e il suo gregge ritratto da Adolfo Malacarne.

Passiamo poi ad alcuni dei tantissimi scatti che ci manda costantemente Leopoldo Marcolongo. In Valsugana, dai fratelli Fronza, questa volta con la “nursery”, il gregge delle pecore degli agnelli.

Ecco il nostro amico insieme al giovanissimo pastore.

Ricordo infine agli amici che abitano in Svizzera che domani sera, 26 marzo 2015, sarò ad Acquarossa in Val di Blennio (Canton Ticino). Ore 20.00, presso l’Aula Magna Scuole Medie, quarta serata su “il futuro del primario”. Introduce il prof. Luca Battaglini, dell’Università degli Studi di Torino, con proiezione del film “Tutti i giorni è lunedì”, che presenta la figura del pastore sulle Alpi piemontesi. In seguito presentazione del mio libro “Pascolo vagante 2004-2014”.                  

Quando il rovo è ecologico

Torniamo ancora in Svizzera, c’era ancora qualcosa che vi dovevo raccontare sulla mia breve trasferta invernale. E’ quasi impossibile parlare di quelle zone senza riflettere sul paesaggio. Certo, raggiungendo la zona dove si trovava il gregge, ho anche sfiorato città, zone industriali, ma dove il territorio è agricolo, è soltanto agricolo.

Seguendo il gregge tra villaggi, colline, prati, campi, boschi, stando all’aria aperta tutto il giorno, il paesaggio è qualcosa di più di un semplice sfondo. E’ indubbio che, cambiando zone, si apprezza la differenza, mentre spesso si da per scontato quello che si ha quotidianamente sotto agli occhi.

Quello che sicuramente mi ha colpita è la grande presenza di rapaci intorno al gregge. Scusate per la qualità scarsa della foto, ma era un giorno di pioggia e la mia macchina fotografica ha uno zoom non da professionista. Comunque, sulle pecore volteggiavano continuamente dei nibbi. Dalle nostre parti ci sono spesso uccelli che accompagnano il gregge, per lo più ballerine e aironi. Qui nibbi e altri rapaci, oltre ad uccelli di piccole dimensioni, a volte in volo, a volte a terra, tra gli animali che pascolano.

Il pastore mi spiega che, qua e là, ci sono dei pezzi “ecologici”, che non possono far pascolare al gregge. Poco per volta capisco di che si tratta. Possono essere degli spazi anche ampi, magari intorno ad una piccola zona umida: restano incolti, non vengono seminati o pascolati, lì ci saranno fioriture importanti per la biodiversità vegetale e animale. C’è una bacheca, indica le specie vegetali ed animali. Magari c’è anche una panchina. Poi ci sono quelle piccole aree in mezzo al prato, magari con uno steccato intorno per proteggerle sia dai mezzi agricoli, sia dal pascolamento: cespugli di prunus, in questo caso, e un posatoio per gli uccelli.

Presumo che questi interventi ecologico-paesaggistici prevedano anche dei finanziamenti, dei “contributi”, come siamo soliti chiamarli (chi ne sapesse di più e volesse rispondere nei commenti, grazie…). Non un paesaggio fatto di sola agricoltura, ma l’albero lasciato qui, la siepe là, i cosiddetti corridoi ecologici che permettono, anche in un ambiente antropizzato ed agricolo, la vita della flora e fauna selvatica, che possono anche coadiuvare l’agricoltore/allevatore. Per non parlare poi dell’aspetto per l’appunto paesaggistico.

Su di una delle tante colline, c’era un piccolo gregge di pecore. Non ne conosco la razza, potrebbe essere un qualcosa di locale, magari a rischio di estinzione. Erano collocate in recinti fissi, tra un recinto e l’altro c’era uno stretto corridoio di forse mezzo metro, con piante e cespugli, anche rovi. Ecco… Sono stati gli unici rovi che ho visto! Qui il rovo è “ecologico”, è biodiversità, è nutrimento e rifugio per la fauna selvatica.

Tutto il resto invece è paesaggio curato, prati che si alternano a campi, fattorie, alcune antiche, altre più moderne, alberi, siepi, stradine di campagna che sono sia vie per i mezzi agricoli, sia percorsi per passeggiate a piedi, a cavallo e in bicicletta.

Secondo me non è solo questione di contributi, tutto parte dalla mentalità e dalla cultura. Mi sembra giusto aiutare anche economicamente chi coniuga agricoltura e ambiente, perchè questi sono veri investimenti che avranno un’influenza sul futuro. Effetti che magari non vediamo concretamente, ma vediamo invece molto bene il loro contrario. Gli effetti dell’agricoltura e dell’allevamento intensivi, il sovra-sfruttamento del territorio, l’impiego massiccio di pesticidi, la monotonia delle monocolture, ecc…

E quando si attraversa una strada?

La nevicata era stata di breve durata, nella notte le temperature si erano abbassate e il terreno, al mattino, era tutto gelato.

Il primo sole stava arrivando tra le colline, lassù a ridosso del bosco il gregge era già al pascolo, mentre il pastore stava finendo di raccogliere le reti e imbastare gli asini. La neve scrocchiava sotto gli scarponi e, nel fango, le impronte delle centinaia di unghie, erano cristallizzate.

Qui bisogna iniziare presto, al mattino. Gli ordini del capo sono precisi, quando arriva il sole, gli animali devono già mangiare e dev’essere tutto pronto per muoversi. La giornata sembrava promettere bene, ma le previsioni annunciavano comunque altra neve per il pomeriggio/sera.

Non è facile far spostare queste pecore. Anche chiamandole, non partono subito al seguito del pastore. Come vi ho già detto, mandando i cani si “richiudono” a mucchio. L’unica soluzione è il sacchetto del pane secco, che attira il montone castrato, con la campanella al collo, guida designata del gregge.

Così lentamente ci si avvia verso i prati a ridosso del paese. Non c’è più molto da pascolare, bisognerà attraversare la strada cantonale. Ancora una volta, le pecore brucano svogliatamente, l’erba non è di loro gradimento, quindi non si indugia troppo a lungo e si riparte.

Per passare la strada, occorre fare un lungo giro, sia per attraversare il canale, sia per non pestare un campo seminato. Il sole scalda, il terreno inizia a sgelare, tutto un altro clima rispetto al giorno precedente. Su alcuni prati in pendenza la neve è addirittura già sciolta.

Qui non occorre agitarsi, quando c’è da spostare il gregge anche attraversando una via trafficata! Per prima cosa, gli automobilisti rispettano scrupolosamente i limiti di velocità, per cui in prossimità dei centri abitati viaggiano ai 50 km/h. Inoltre rallentano quasi sempre già solo nel vedere il gregge al pascolo di fianco alla strada. Se poi questo sta salendo sull’asfalto, si fermano a decine di metri di distanza, spegnendo il motore. Ecco perchè basta un unico pastore per muoversi con un gregge di quasi mille pecore!

Dopo esser passati in mezzo ad alcuni capannoni, il gregge torna in aperta campagna. C’è la pista ciclabile che passa di lì, poi tutta una fitta rete di stradine tra campi e prati, curate alla perfezione, con tanto di segnaletica e, periodicamente, panchine, cestini con i sacchetti per gli escrementi dei cani…

Sembra ci sia un’infinita distesa di prati, da quella parte, ma il pastore confessa di non saper bene se basteranno per la giornata. Erba vecchia, erba sporca di liquami, erba di cattiva qualità. Ha già fatto un giro il giorno precedente, adesso lascia che il gregge si allarghi e pascoli quel che può, poi lo sposterà ancora, sempre avanti fino a trovare dei pascoli come si deve.

Dal mattino fino a notte, questa è la giornata di chi fa questo mestiere. Nel cuore del giorno, spesso il pastore chiude il gregge in due reti e va avanti a piedi a vedere dove trova pascoli, poi ritorna e riprende a far mangiare gli animali. La sera, chiuso il recinto, sfamato i cani, tolto il basto, torna a piedi a recuperare il proprio furgone, con cui poi raggiungerà le prossimità del gregge, trascorrendo anch’egli lì la notte. La mia breve permanenza presso questa realtà è terminata, ma vi racconterò ancora qualcosa su alcuni aspetti del territorio svizzero nei prossimi giorni.

Tutta l’erba a disposizione, ma…

In molti mi stanno chiedendo dettagli su quello che ho visto in Svizzera, anche i pastori delle mie parti sono molto curiosi, sia per quello che riguarda gli animali, sia il lavoro del loro amico/collega, sia… per i pascoli! L’erba del vicino è davvero più verde?

Quel mattino pioveva. Nella notte era caduta un po’ di neve, ma le temperature si erano rialzate. Bisognava andarsene al più presto da quel prato. Le reti erano già state raccolte e caricate sugli asini. Come funziona il pascolo vagante lì in Svizzera? Ogni pastore ha una sua zona, quindi in quel territorio non c’è concorrenza di altre greggi.

Praticamente tutti i prati possono essere pascolati, solo alcuni contadini vengono a dire al pastore di non entrare in un certo pezzo, ma si tratta quasi di eccezioni. Non c’è la necessità di andare “a chiedere l’erba”, ma ci si sposta via via durante la giornata.

Apparentemente, a parte qualche campo coltivato a cereali o a colza, entrambi da evitare, il resto sembrerebbe tutto da pascolare. Il pastore però ovviamente sa distinguere le differenze. Ci sono i prati vecchi, molti dei quali poco appetiti da queste pecore, vuoi per la qualità dell’erba, vuoi perchè molti sono già stati concimati con liquami. Poi ci sono i prati “di copertura”, ma anche lì il foraggio non è un granché. Ciò che si cerca, sono i prati nuovi.

Quindi spesso sembra di avere intorno distese quasi infinite da pascolare, ma quando sposti il gregge da un pezzo all’altro, gli animali non abbassano nemmeno la testa per mangiare, così sai che devi proseguire oltre. A volte il pastore cerca di insistere, quando nel pezzo c’è tanta erba, ma se le pecore sentono l’odore del liquame, anche se sparso mesi prima, pascolano di malavoglia.

Invece il gregge deve mangiare sempre, gli animali devono ingrassare!! Mentre si cercano buoni pascoli intorno al paese, è un continuo via vai di visitatori. Mamme con bambini, bambini da soli, signore di mezza età che portano pacchetti di pane duro, biscotti secchi da dare agli animali. Via via durante i giorni in cui sono rimasta là, ho visto un susseguirsi di episodi simili, persone che vengono a salutare il pastore, chiedono quante sono le pecore e portano chi il caffè ed i biscotti, chi addirittura il pranzo caldo.

Mentre il gregge mangiucchia un pezzo meno peggio degli altri, il pastore va a fare un giro per rendersi conto di cosa c’è sotto la neve. E’ il secondo anno che passa da queste parti, quindi inizia a conoscere il territorio, ma comunque bisogna andare a vedere che erba c’è nei prati, capire dove invece sono campi, e con la neve le cose si complicano, anche se adesso ce n’è poca e piove pure. Dopo si riparte, per vedere se ci sarà qualcosa che incontrerà maggiormente i gusti del gregge.

Si passa a fianco di una grossa stalla, con annessa villa/residenza degli allevatori. Si allevano capre e vacche. Impossibile non notare l’ordine, la pulizia, la bellezza delle strutture. Nonostante i trattori parcheggiati sul retro, non c’è nemmeno fango sull’asfalto e sul cemento davanti all’azienda. Per non parlare della totale assenza di ciò che, ahimè, molto spesso circonda le cascine in Italia: pezzi di macchinari, cose che restano lì “perchè possono sempre servire”, nylon, bidoni…

Si passano numerosi prati, tutti di qualità non eccezionale, intanto non smette di piovere. Il pastore continua ad andare a vedere più avanti, da una parte e dall’altra tra le colline, per scovare uno di quei “prati nuovi” in cui le pecore finalmente possano riempirsi la pancia a dovere. Non che siano digiune, altrimenti non starebbero così ferme. Spiluccano, qualcuna rumina, gli agnelloni giocano, ballano sulla pista pedonale e ciclabile.

Il pastore torna dal giro in avanscoperta poco soddisfatto. Non ha trovato cosa cercava, ma comunque ha deciso quale direzione prendere. Si lasciano perdere alcuni pezzi in una valletta laterale tra le colline, inutile andare in là senza certezze che gli animali mangino poi come si deve.

Si passano velocemente alcuni prati, poi ci si sposta ancora. Fa quasi impressione, pensando a quanto invece starebbero ferme delle pecore nostrane in spazi così estesi. Qui la finalità non è il mantenimento, ma ingrassare gli animali.

Finalmente, verso sera, in una valletta tra le colline, sempre sotto la pioggia, si trova IL prato, quello che consentirà di concludere in modo soddisfacente la giornata. Gli animali si fermano, abbassano la testa e brucano senza guardarsi intorno. Ciò è un sollievo per il pastore… che può andare appena più avanti a preparare il recinto per la notte.

Quando ritorna, vado a fare due passi. Il gregge è sempre là che pascola, io cammino veloce (per scaldarmi) sulle stradine asfaltate e, in parte, sterrate che attraversano le colline, uniscono le cascine isolate ai paesi e sono percorse da numerose persone. Chi corre, chi porta a spasso il cane, chi fa una passeggiata mano nella mano, chi sale e scende in bici, in un clima di generale rilassatezza, anche sotto la pioggia, senza ombrello, bambini e anziani.

Volevo infine mostrarvi i tubi, ancora presenti sui prati, che tagliano diagonalmente i pendii. Laddove non si può passare con il trattore e la botte a spandere i liquami, i mezzi si fermano sulle strade e il concime viene distribuito attraverso questi tubi. La speranza è che non sia ancora stato fatto ovunque questo lavoro… Il meteo annuncia neve per la notte e per il giorno successivo.

Vedere altre realtà

E’ facile parlare per luoghi comuni, immaginare che altrove sia tutto migliore, tutto più semplice. Era da tempo che sognavo di vedere il pascolo vagante fuori dall’Italia, in Svizzera soprattutto. Il primo che me ne aveva parlato era stato Luigi Cominelli, ma purtroppo è venuto a mancare troppo presto perchè io potessi raggiungerlo e accompagnarlo nel suo lavoro invernale. Avevo visto questo video, oltre alle foto del libro di Marcel Imsand. Poi c’era stato il film Hiver Nomade…

Questa volta però sono riuscita a toccare con mano anch’io la stagione della transumanza invernale, il pascolo vagante, la vita del Wanderschäfer (pastore vagante, appunto). Il tutto grazie ad un amico, pastore originario della Val Pellice, che da alcuni anni fa le stagioni in Svizzera, sia d’estate in Canton Ticino, sia d’inverno nel Cantone di Lucerna. Il suo datore di lavoro invernale è proprio uno dei fratelli di Luigi, Sandro Cominelli. Così ho preso un po’ di abbigliamento invernale e calzature adatte, il cane e… sono partita.

Arrivare e trovare il gregge è stato semplice. Già sapevo che avrei incontrato la neve. Ero preparata a pecore “diverse”, ma viste dal vivo fan subito uno strano effetto. Il gregge è composto da pecore e agnelloni. Durante la transumanza, nessuna pecora deve partorire: se questo accadesse, la pecore deve immediatamente essere portata alla stalla. Il compito del pastore, da dicembre a marzo, è far mangiare il più possibile gli animali, ingrassarli a dovere. Gli agnelloni sono o di proprietà dell’allevatore o acquistati da esso e, raggiunto un peso adeguato (43kg precisi, siamo in Svizzera!) vengono tolti dal gregge e portati al macello.

E’ tutto un altro modo di lavorare. Certo, bisogna saper fare il pastore, ma anche così, è necessario imparare a svolgere il mestiere come richiede il padrone, il territorio, gli animali. Questi ultimi hanno un carattere diverso da quelli a cui sono abituata qui da noi. Basta il minimo evento anomalo per spaventarli e far sì che si “chiudano” a mucchio, pertanto anche mandare i cani non è semplice, sia per contenerle entro un certo appezzamento, sia per spostarle verso altri pascoli.

Un gregge, gli asini, il pastore e i cani. Come concessione alla modernità, il pastore ha un furgone, ma di questo vi parlerò successivamente. Gli asini trasportano il necessario per il gregge, cioè le reti per fare il recinto la sera. Al mattino, ben prima che venga giorno, bisogna iniziare proprio dal basto, poi si raccolgono le reti e il gregge inizia a pascolare. Non si aspetti che “sciolga”, come da noi che i pastori a volte attendono che vada via la brina per “dare il pezzo”, gli animali devono mangiare, mangiare, mangiare. Le reti vengono poi messe nel basto, così che siano sul posto quando si arriva dove si farà tappa la sera.

Il clima è quello che vedete, e ancora che in questi ultimi anni non ha ancora fatto davvero freddo. Ricordo che Luigi mi parlava di temperature anche di -20°C. Nei giorni precedenti il mio arrivo, c’era stata neve, pioggia, sole, poi mentre io ero lì hanno continuato a susseguirsi giornate di maltempo, con solo qualche intermezzo soleggiato. Gli animali comunque trovano di che sfamarsi sotto la neve e, come accade anche in Italia, quando questa è troppa o è ghiacciata, si interviene con del fieno. Il pastore avvisa l’allevatore e questo se lo procura in loco.

Non è una vita facile, quella del pastore vagante in Svizzera. Ci sono i pro e i contro, come in tutte le cose. Nei prossimi giorni vi racconterò tutto quello che ho potuto toccare con mano stando là. Di sicuro ho goduto di un paesaggio molto diverso rispetto a quello a cui sono abituata. Un paesaggio che rilassa, ma è stato tutto l’insieme ad essere rilassante, pur nella durezza delle condizioni di lavoro.

Solo per fare un esempio, mentre il gregge pascolava l’ultimo prato della sera, dei perfetti sconosciuti hanno accolto me, altrettanto sconosciuta, a casa loro. Amici dell’allevatore, avvertiti all’ultimo momento: a causa di problemi linguistici, avevano frainteso i dettagli sul mio arrivo, ma senza alcuna preoccupazione mi hanno accolta, ospitata e mi hanno concesso piena libertà nell’uso di casa, consegnandomi le chiavi e dicendomi di fare tutto quello che volevo. Andare, venire, usare la cucina, la lavatrice, qualunque cosa. Il giorno dopo quindi ho poi iniziato le mie giornate di pascolo vagante in terra elvetica…