La capra è anche un messaggio politico che ci propone il recupero urgente della montagna

Prima o poi spero di incontrare Ivo e la sua famiglia, per adesso ringrazio il mondo virtuale che ci ha mesi in contatto. Qualche tempo fa mi ha scritto, mandandomi il suo contributo per illustrarmi la sua storia, la sua realtà. Una bella storia, ma leggendo tra le righe possiamo anche intuire le fatiche e i sacrifici che permettono a questa azienda di esistere, affrontati grazie alla passione, alla forza della famiglia, alle idee e agli ideali.

(foto I.Boggione)

In mezzo all’attesa dei parti ho partorito anch’io una paginetta sulla mia esperienza con le capre, anche se magari non ti servirà un granché perché immagino che siano cose che un po’ tutti ti dicono delle capre…. comunque mi fa piacere condividere e confrontarci. Mi chiamo Ivo e vivo a San Benedetto Belbo, nel Sud del Piemonte, in Alta Langa, precisamente in Alta Valle Belbo.

(foto I.Boggione)

Le capre sono parte ormai della mia famiglia, del mio tempo, della mia vita… Addirittura credo che siano una proposta furba per il lavoro e per il futuro per tutti, nella direzione di un ritorno alla terra e alla famiglia contadina, e nella ricerca di un’armonia tra allevamento e agricoltura e di uno stile di vita sobrio e rispettoso. La mia attività principale è l’apicoltura, ma fin da ragazzo ho accresciuto l’interesse per l’allevamento e la pastorizia, ed in particolare per le capre. Al momento devo anche lavorare qualche ora fuori per motivi economici. Riesco a seguire un centinaio di alveari e, per ora, 20 capre. Non da solo ovviamente, ma con l’aiuto di mia moglie, che è davvero speciale… Sarà per le sue origini montane, infatti viene dalla Valle Varaita, o perché semplicemente essendo una donna ha una sensibilità, una cura ed una marcia in più a favore di tutto ciò che è vita, bellezza, semplicità e bontà. E poi le capre hanno bisogno di una famiglia più che di una stalla! E i miei bimbi sono forse i loro amici preferiti.

(foto I.Boggione)

Ivo scrive su facebook che, al momento, per i formaggi occorre ancora attendere, dato che il latte lo stanno mangiando i capretti... “Alleviamo capre meticce, incroci di alpina comune e camosciata; sono capre molto rustiche, che si adattano al pascolo estensivo integrale da Pasqua ai Natale, e che negli altri mesi riescono a tirare avanti con un buon fieno. Quando partoriscono, solitamente tra gennaio e febbraio, i capretti rimangono con le madri e imparano da loro. Ne vengono fuori delle capre piuttosto selvatiche, ma che crescono sane e robuste e soprattutto molto rustiche e capaci di adattarsi alle giornate di pascolo nei boschi.

(foto I.Boggione)

Da casa nostra in cima al paese, fino alla cima della collina verso Mombarcaro, da 20 anni ormai i terreni della valle sono stati abbandonati, essendo ripidi e terrazzati, ma sono il luogo ideale per le capre. Dobbiamo ringraziare tutta la gente del nostro paesello, che è contenta di vedere rivivere quei pendii sui quali avevano lavorato, sudato, cantato e pregato i loro nonni… e quante storie ci raccontano del passato… quando ci fermiamo dalla stradone a guardare la collina e i muri e i “ciabot” di pietra e i “crutin” che piano piano riemergono dai rovi e dalla boscaglia. Le capre così sono maestre di storia e ci danno una mano a farci rivedere il nostro passato; e credo che oggi ci diano una lezione sulla sobrietà dei nostri antenati e che ci invitino a fare come loro: ad accontentarci di poco, ad inerpicarci ostinati sulle difficoltà del cammino in salita, senza paura, e a portarci dietro con occhio vigile e premuroso i nostri piccoli, nella boscaglia, nella vita dura e vera. La capra è anche un messaggio politico che ci propone il recupero urgente della montagna e che grida il dovere di rispettare l’equilibrio e le regole della natura. La capra non consuma gasolio, ma produce e dà da mangiare. Ci dà un buon latte e ottimi formaggi, e anche un buon letame per concimare i terreni più comodi da coltivare per il grano, le verdure e la frutta.

I prodotti dell’azienda Bôgiôn cit li trovate presso di loro a San Benedetto Belbo o ai mercatini ai quali partecipano. Seguiteli su Facebook per maggiori informazioni.

Non riesco neanche a spiegarlo: è un amore troppo grande!

Ancora un’intervista ricevuta via internet. Stavo però controllando sulle mappe e… penso che ci siano buone probabilità di conoscere Gloria molto presto, dato che mi hanno contattata da un paese vicino al suo per presentare i miei libri nel mese di aprile durante una manifestazione zootecnica che è in via di organizzazione. Ma veniamo alla storia, all’entusiasmo e alla grande passione di questa giovane amica.

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

Mi chiamo Gloria e sono del 1998. Vivo a Barchi in Val Trebbia tra Genova e Piacenza. Ho un piccolo allevamento di capre per passione ma mi piacerebbe continuare e riuscire ad avere un bel gregge. Adesso ne ho una quindicina, principalmente incroci, camosciate/saanen ma mi sto attivando per comprare qualche capra di razza. Mi piacerebbe avere delle Frise, Valdostane o delle Alpine. Queste perché sono molto belle, rustiche, e comunque si prestano ai miei territori.  La mia prima capra l’ho comprata nel 2011, si chiamava Polifema perché aveva un occhio solo. L’avevo presa per far compagnia al cavallo e da quel giorno è scattata la malattia. Qualche mese dopo ne avevo già un’altra e da lì in poi non mi sono più fermata.

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

La passione per gli animali l’ho sempre avuta, sono il mio mondo, a partire dai cani, passando ai cavalli fino ad arrivare alle capre. La mia famiglia ha le bestie da generazioni, ce l’ho nel DNA! Io personalmente adesso ho solo le capre ma appena finisco la scuola ho intenzione di acquistare di nuovo i conigli e un cavallo. Mio zio invece ha un centinaio di vacche e una decina di cavalli.

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

Le capre le ho scelte perché sono delle bestie fantastiche: molto intelligenti ma anche dispettose… “O le ami o le odi” e io ho scelto la prima opzione. Il bello delle capre è che se riesci a farle affezionare a te, non ti lasciano più. Sono particolari, fanno un sacco di dispetti ma tengono anche puliti gli spinai e nessun animale pulisce come loro. Non riesco neanche a spiegarlo: è un amore troppo grande! L’unica cosa che non mi piace è l’odore del becco nel periodo del calore: quello proprio non lo sopporto.

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

I momenti difficili capitano a chiunque. Ho avuto una capra morta di parto, una morsicata da una vipera, una uccisa dal lupo, un becco ammazzato da un montone, capretti vari ecc.  Inoltre non sono potuta andare in stalla per alcuni mesi per due operazioni al polso. Non mancano mai i compaesani che si lamentano giustamente per i danni e tanti altri avvenimenti, ma fa tutto parte del gioco, non si deve mai mollare!

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

Le maggiori soddisfazioni me le hanno date le capre che ho comprato selvatiche e che dopo alcuni mesi sono diventate come cagnolini. La nascita dei capretti la considero la più grande emozione che io possa provare: è inspiegabile l’agitazione che hai prima di entrare in stalla quando sei nel periodo delle nascite.
Per adesso non mungo anche perchè sarebbe un impegno troppo grande per me che vado ancora a scuola, e arrivo a casa alle 16. Solo in estate se hanno troppo latte e il capretto non lo ciuccia tutto allora dopo averlo munto lo dò alla mia mamma o alla nonna che lo mischiano a quello delle vacche e fanno i caprini misti. Loro sono le incaricate a fare il formaggio infatti quello di vacca lo facciamo per tutto l’anno, insieme a ricotte e burro.

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

Siamo una grande famiglia! Mio zio e i miei cugini si occupano delle vacche e del fieno, mio papà fornisce i mezzi (ha un’impresa edile con trattori ecc.), la nonna e la mamma, come ho detto prima, fanno i formaggi e ora si sta appassionando alla caseificazione anche mia sorella mentre mio fratello che è ancora un po’ piccolino dà una mano a me, in stalla e nei recinti estivi. Infatti, in primavera e autunno le mollo al pomeriggio e ci sto dietro stando attenta che non combinino qualcuna delle loro mentre in estate le tengo nelle reti che sposto quasi tutte le settimane nelle sponde da pulire. Certe volte ci sto delle ore nel recinto con loro, mi siedo lì e le osservo semplicemente, per soddisfazione personale: mi piace guardarle mangiare e giocare con i capretti.

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

Quando finisco la scuola ho intenzione in estate di portarle su nei pascoli dove pascolano le vacche di mio zio e tenerle su per buona parte dell’anno. Sono ettari ed ettari di pascolo dove non basterebbero 500 capre per tenerli tutti puliti! Le aprirei al mattino e alla sera le rimetterei di nuovo dentro alla baracca che abbiamo su. Sono obbligata per colpa dei lupi. Ne girano molti dalle mie parti e farebbero un banchetto se le lasciassi libere di notte. Non posso neanche prendere i cani antilupo perché passano troppi turisti e si sa come andrebbe a finire.

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

Il mio punto di riferimento è il mio papà! E’ un uomo eccezionale e anche se non se ne occupa di prima persona mi dà consigli e mi aiuta soprattutto nel fornirmi le strutture. Quest’anno ad esempio, mi ha fatto una stalla nuova in modo da rendermi il più autonoma possibile. E’ il primo a darmi “un calcio nel culo” se ce n’è bisogno ma è anche il primo a darmi una mano.

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

Le capre, come tutte le altre bestie, sono una GRANDISSIMA risorsa! E va agevolata. Non di sicuro come fa lo Stato rendendoti la vita impossibile con tutta la burocrazia con cui ti fanno scontrare ogni giorno.  Molti allevatori di capre attualmente sono donne. Secondo me perchè sono animali facilmente gestibili al contrario delle vacche con cui magari serve più prestanza fisica, quindi si concentrano più su questo genere. A me personalmente le vacche non piacciono di per sé perchè sono più tonte rispetto alle capre. Da quando ho le capre la mia vita è più incasinata perchè naturalmente sono un impegno costante, ogni giorno dell’anno, sono un lavoro assicurato, anche quando vorresti non uscire di casa magari durante una nevicata o quando vorresti andartene in vacanza. Ma ho la fortuna di avere un sacco di persone su cui poter contare e qualche giorno libero riesco sempre ad averlo. Nonostante tutto ciò la mia vita è più ricca: ricca di emozioni, di risate, di orgoglio e anche di problemi ma ne vale pena!

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

Se qualcuno mi dicesse che vorrebbe iniziare a tenere le capre sarei molto contenta. Mi piacerebbe molto avere qualcuno con cui parlarne e magari trattare qualche esemplare. Qui le abbiamo in pochissimi.
Il Mondo dell’allevamento, soprattutto in città, adesso è visto in modo molto superficiale, se non, purtroppo, trascurato del tutto. Vige un’ ignoranza generale da far gelare il sangue. Secondo i pensieri odierni, chi alleva è ignorante e sfigato. Il problema è che non capiscono che se tutti noi smettessimo il pianeta non potrebbe andare avanti. Ma vaglielo a spiegare ai vegani che spopolano su Facebook. E’ una battaglia persa! Certo è che se un giorno scoppierà qualcosa, noi sapremo sopravvivere, loro no.

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

Ogni mia capra ha un nome come lo hanno avuto tutte quelle che sono passate nella mia stalla. E’ una tradizione di famiglia: anche le vacche di mio zio hanno un nome e ne avrà avute quasi un migliaio in tutti questi anni. Certi nomi ti vengono d’istinto, in base alle caratteristiche dell’animale mentre per altri è più difficoltoso.
Il mio prossimo acquisto sarà il cane da pastore. Sogno di riuscire ad addestrarlo nei migliori dei modi ed essere un tutt’uno con lui e le capre. Oramai io ho un legame con gli animali. In qualsiasi parte del mondo io andrò loro saranno la prima cosa che noterò. Senza di loro, sono vuota. La passione non la puoi gestire, fa parte di te.

Un appuntamento ed una ricetta

Dopo un periodo di stop, ecco che riprendono le serate di presentazione dei miei libri. Il primo appuntamento è per questo venerdì, 3 marzo.

Vi aspetto alle ore 21:00 presso la sede CAI di Coazze (TO) per raccontarvi le “Storie di pascolo vagante” e per chiacchierare di alpeggi, pastorizia e montagna.

Veniamo alla ricetta. Passato il Carnevale, iniziamo a pensare alla Pasqua. Così come una certa propaganda ignorante inizia a bersagliarci con foto fasulle di agnelli neonati strappati alle madri che li hanno appena partoriti (sic!), io inizio a proporre qualche ricetta con cui cucinare l’ottima carne ovicaprina, sia di agnello, sia di capretto. La premessa, come sempre d’obbligo, è quella di ricercare carne italiana, locale, meglio ancora riuscire ad accordarsi con l’allevatore per andare a ritirarla direttamente al macello.

Oggi vi presento un piatto dalla Sardegna. Colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato a mettere insieme un buon numero di ricette a base di carne di capra/capretto per il mio futuro libro. Mattea Usai è una di loro, la ricetta è sua. Io l’ho sperimentata nella variante con l’agnello.

Capretto del Campidano

Ingredienti: carne di capretto mista, polpa e parti con osso; limoni; uova; cipolla; aglio; alloro; olio; sale.
Rosolare la carne in un tegame basso e largo con un velo di olio extra vergine di oliva. Tritare finemente una cipolla grossa e due o tre spicchi di aglio. Aggiungere alla carne rosolata alcune foglie di alloro e far stufare, senza farla colorire. Salare e mentre la cipolla appassisce spremere alcuni limoni in una ciotola e aggiungervi i soli rossi delle uova. Salare leggermente, amalgamare e tenere da parte. Rosolata la carne ed appassita la cipolla, coprire con acqua tiepida a filo. Chiudere con un coperchio e portare a cottura a fuoco basso. Tirar su la carne cotta con una schiumarola e tenerla in caldo. Far freddare il fondo. Filtrarlo e aggiungerlo all’insieme di uova e succo di limone. Assaggiare e regolare di sale e di succo di limone, che si deve sentire. Rimescolare bene. Al momento di andare in tavola rimettere la carne nel tegame e scaldarla per bene. Togliere dal fuoco e versarci sopra la miscela di uova, limone e fondo di cottura. Rimettere il tegame sul fornello a fuoco basso e non rimescolare ma solo scuotere il tegame. La salsa si addenserà piano piano nappando per bene la carne.
La ricetta può avere delle varianti. Al momento di aggiungere l’acqua o il brodo si possono aggiungere carciofi in quarti, oppure finocchietto selvatico antico o finocchi bianchi.

Io l’ho servita con un contorno di purè di patate, non avendo aggiunto alcuna verdura nella cottura con la carne. Buon appetito a tutti (la carne di agnello la si trova tutto l’anno, quella di capretto invece ha una reperibilità più stagionale, quindi generalmente la trovate soltanto a Pasqua).

Le mie capre, oltre ad essere funzionali, sono esteticamente meravigliose

Oggi vi racconto la storia di una mia quasi coetanea che molti di voi avranno “conosciuto” ieri, dato che è stata tra i protagonisti della puntata di Linea Verde del 26 febbraio. Isabella però mi aveva già scritto qualche tempo fa per “partecipare” al libro sulle capre con la sua esperienza. Perchè lei alleva capre, ma non solo.

(foto I.Biafora)

(foto I.Biafora)

Abito in Calabria, in un pezzo di Sila che si chiama Jure Vetere a 1100 mt slm, in Provincia di Cosenza. Ho un allevamento estensivo di 150 capi di capre da latte, razza Nicastrese. E’ una razza autoctona del mio territorio e si adatta perfettamente alle caratteristiche impervie del luoghi dove vive. Riesce a produrre latte con caratteristiche organolettiche eccelse nutrendosi di solo pascolo, resistente alle malattie, ai climi rigidi invernali della Sila e si adatta benissimo anche al forti caldi estivi. Ha una buona produzione di latte anche senza l’aggiunta di mangimi, 2 litri al giorno, e i parti sono solitamente gemellari e trigemini. Allevo anche altri animali, tutte razze autoctone calabresi, Pecore Sciara detta anche Moscia di Calabria, Asini Calabresi, Vacche Podoliche, Cani da Pastore della Sila.

(foto I.Biafora)

(Pecora Sciara, foto I.Biafora)

Oltre ad essere un’allevatrice, sono un agronomo zoonomo, quindi è una scelta che ho fatto fin dai primi studi. Già da piccola sapevo che avrei fatto lo zoonomo. Ha influito in parte mio padre che iniziò per hobby ad allevare vacche da latte 40 anni fa, per cui fin da bambina ho avuto contatto stretto con natura ed animali.

(foto I.Biafora)

(foto I.Biafora)

Ho scelto questo tipo di capre, per la loro adattabilità al territorio, perché producono a costo quasi zero, e per le caratteristiche eccelse del loro latte. Della capra apprezzo l’adattabilità ai terreni impervi e la capacità di alimentarsi dove nessun’altra specie domestica riesce. Così sfrutto al 100% il mio terreno di pascolo. È un animale di intelligenza superiore, nato per essere libero ed arrangiarsi in qualsiasi situazione, economico nel suo mantenimento e con produzioni in carne e latte qualitativamente più salubri, da un punto di vista nutrizionale, rispetto alle carni e ai latti delle altre specie zootecniche. Ovviamente parlando sempre di animali allevati al pascolo. Le carni e i latti derivanti da animali allevati in stalla con fieni acquistati e mangimi sono di qualità molto scadente.

(foto I.Biafora)

(foto I.Biafora)

Forse una delle cose più belle è il fascino che ancora provo quando le guardo pascolare tutte in gruppo, tutte uguali, perfettamente in armonia con la bellezza del paesaggio silano, i suoni delle campane, i giochi sui massicci di granito, ed io resto incantata a guardarle come un bambino a cui si comprano per la prima volta i pesciolini nell’acquario. Vivo in un territorio particolarmente bello, la Sila, e le mie capre, oltre ad essere funzionali, sono esteticamente meravigliose. Difficile non rimanerne affascinato…

(foto I.Biafora)

(foto I.Biafora)

Mungo sia la capre che le pecore e prossimamente anche le Podoliche. Il latte al momento viene venduto al caseifici della zona. Sto partecipando ad una pratica di PSR della Regione Calabria per chiudere la filiera del latte in Azienda con caseificio e spaccio aziendale. So già caseificare per diletto, l’ho sempre fatto perché l’ho sempre visto fare. Fin da piccola ho sempre frequentato i caseifici dove l’azienda versava il latte. Ho solitamente l’aiuto di un dipendente per quanto riguarda la mungitura e il periodo della fienagione. Io mi occupo di tutto il management aziendale, dai piani di selezione, la scelta delle colture dei seminativi, la commercializzazione e la gestione economica.

(foto I.Biafora)

(foto I.Biafora)

Il terreno aziendale è tutto recintato, gli animali pascolano da soli con l’ausilio dei Cani da Pastore della Sila come deterrenza per il Lupo. Quello che più mi entusiasma è la selezione delle razze pure, la capacità di fare accoppiamenti che migliorano sia la morfologia che le produzioni, da tantissima soddisfazione. Inoltre è altrettanto soddisfacente riuscire a selezionare mantenendo la caratteristiche di rusticità che permettono di allevare con facilità queste razze calabresi.

(foto I.Biafora)

(foto I.Biafora)

Quello che veramente mi ha cambiato la vita è stato passare da un sistema d’allevamento intensivo di vacche da latte ad un allevamento estensivo della varie specie. Tutto è molto più facile, tutto costa di meno, ne ho guadagnato in serenità e tempo libero. Credo che negli ultimi anni, nonostante la crisi economica che ha completamente spezzato il due il mondo agricolo italiano, l’agricoltura in generale sia rimasto l’unico settore economico non saturo, per cui molti vi si stanno avvicinando vedendolo come una reale possibilità di guadagno. Quello che non mi convince in questo quadro è che, per fare agricoltura e allevamento, ci vuole prima di tutto tanta competenza e nessuna improvvisazione, perché è un mondo dove, anche se sembra tutto calcolato alla perfezione, 2+2 spesso non fa 4. E quando non fa 4 bisogna prima di tutto essere preparati psicologicamente. Ci vuole quindi tenacia, oltre che competenza. Non so se tutto questo ritorno alla terra di cui si sente tanto parlare sia reale o solo ‘’un’idea romantica’’

Cosa ne pensate delle piste?

Il post di oggi nasce sotto lo stimolo delle riflessioni di alcuni amici che, casualmente e senza conoscersi tra di loro, mi hanno scritto chiedendomi sia il mio punto di vista sia, più ampiamente, quello delle persone che, come loro, seguono questo blog (allevatori, appassionati di montagna, curiosi). L’argomento è quello delle piste agro-silvo-pastorali, in particolare quelle che raggiungono gli alpeggi. Forse ne ho già parlato in passato, ma riprendo volentieri la questione e vi sottoporrò anche un sondaggio.

(Val di Susa)

Avendo io frequentato la montagna sotto diversi aspetti (come semplice turista/escursionista/ciclista, ma avendo anche vissuto la vita d’alpeggio), proverò a dirvi cosa ne penso. In linea di massima sono favorevole alle piste che raggiungono gli alpeggi. Però… c’è una serie di considerazioni da fare, perché il discorso non può essere semplicemente liquidato con un sì o un no.

(Val Pellice)

(Val Pellice)

Prima di continuare con il mio punto di vista, vi inviterei a leggere, sul blog dei Camoscibianchi, la posizione di Werner Bätzing, un’analisi approfondita sulla situazione nelle Valli di Lanzo. “Per una gestione moderna e durevole delle Valli di Lanzo è necessario e irrinunciabile che frazioni, alpeggi e boschi siano raggiungibili con autoveicoli e piste, ma ciò non significa che, per questo motivo, ogni nuova pista agrosilvopastorale debba per forza essere costruita.” Condivido questo punto di vista, perché è inutile realizzare opere faraoniche, spesso anche mal fatte, laddove non ve ne sia la necessità o dove queste piste servono solo per “depredare” il territorio, senza portare alcun beneficio.

(Bassa Engadina)

(Bassa Engadina)

Non è detto che la pista debba per forza deturpare l’ambiente. Ovviamente, nel momento della sua realizzazione questa sarà una “ferita” nel paesaggio, ma occorre distinguere tra lavori ben fatti e scempi che permangono anche a distanza di anni. Il lavoro deve prevedere non soltanto la tracciatura del percorso, ma anche la manutenzione e la rinaturalizzazione del territorio circostante, con apposite opere.

(Madonna di Campiglio)

(Madonna di Campiglio)

Inutile tracciare delle “autostrade”: una pista che sale ad un alpeggio non sarà una strada trafficata. Anzi, a mio parere queste opere devono essere chiuse ai non aventi diritto (come peraltro già accade nella maggior parte dei casi). La pista serve a chi deve recarsi in alpeggio per lavoro, per portare o andare a prendere materiali, ecc. Verrà utilizzata anche dagli escursionisti a piedi e da chi pratica la mountain-bike. Nella documento che vi ho indicato prima, si parla della perdita/distruzione degli antichi percorsi preesistenti nel momento in cui vengono realizzate le piste.

(Val Pellice)

(Val Pellice)

E’ vero, questo talvolta accade, anche perchè è inevitabile intersecare sentieri e mulattiere, però altre volte le antiche e le nuove vie hanno esigenze diverse di raggio e di pendenza, quindi si possono mantenere anche gli antichi percorsi. Sta poi al pubblico degli escursionisti scegliere quale seguire. Mi è già successo di vedere che, nel momento in cui c’è la pista, il sentiero viene quasi totalmente abbandonato, anche qualora sia stato mantenuto intatto.

(Engadina)

(Engadina)

Le piste “si vedono da lontano”. E’ vero, anche se ben fatte, specialmente nel primi anni, il loro tracciato può essere individuato anche a distanza. Lo ripeto, bisogna farle bene, senza che siano degli squarci nella montagna. Poi anche una strada asfaltata può divenire parte del paesaggio alpino. Non mi dite che non siete mai saliti in auto ad uno dei tanti passi alpini che ci permettono di passare in Francia, o non sognate guardando in TV i tornanti su cui si inerpicano i ciclisti durante il Giro d’Italia o il Tour de France.

(Val d'Aosta)

(Val d’Aosta)

Certo, potreste anche dire che quelle strade ormai ci sono e non occorre aprirne altre. Che i valloni “incontaminati” devono restare tali. Vero? Falso? Pensate all’ambiente o pensate a voi stessi quando fate un’affermazione di questo tipo? Salite sempre a piedi in montagna, o dove c’è una strada percorribile la utilizzate per avvicinarvi il più possibile alla partenza per la vostra meta?

(Valli di Lanzo)

(Valli di Lanzo)

Riporto ora la testimonianza di una delle persone che mi hanno stimolato queste riflessioni. Così scrive Gianni: “Avendo io vissuto l’infanzia in una frazione di montagna dove portavo gli zoccoli, per andare all’asilo ed a scuola mi facevo più di mezz’ora di mulattiera ripida, per lavarmi la faccia dovevo andare a prendere l’acqua alla fontana con i secchielli agganciati sul bastone a spalla, con la gerla portavo legna, erba, fieno e letame, sapevo mungere la mucca e le pecore ed ero molto in difficoltà con i miei compagni che giù in paese già andavano tranquillamente in bicicletta, mentre io sempre a piedi e quando finalmente dopo tante traversie anche alla mia frazione è giunta una pista, la nostra vita è decisamente cambiata in meglio. La pista era stata fatta bene e con i dovuti criteri poiché se non era così i montanari (cervello fino) non avrebbero mai accettato lavori improvvisati.
Trovo pertanto poco democratico il no assoluto ed intransigente contro le iniziative di miglioramento, avanzato da chi vorrebbe quelle zone destinate solo ed esclusivamente alla contemplazione ambientale, quale sfogo saltuario di evasione dalla città.

(Val Pellice)

(Val Pellice)

Sì alle piste fatte bene, piste fatte seguendo criteri ben precisi, piste utili, piste realizzate e utilizzate con buon senso. Potreste anche obiettare che le priorità sono altre, che vi sono migliaia di persone che abitano in luoghi dove la viabilità è danneggiata, strade a rischio di frane, strade crivellate dalle buche, che vengono percorse quotidianamente, mentre una pista per un alpeggio serve al massimo un paio di famiglie per pochi mesi all’anno. E’ vero, ma secondo me entrambe le cose sono necessarie, una non deve annullare l’altra. Prima di chiedervi il vostro punto di vista con un sondaggio, voglio ancora farvi riflettere su alcuni aspetti della vita d’alpeggio.

(Val Pellice)

(Val Pellice)

Non possiamo pretendere che nelle “terre alte”, molto alte in questo caso, si debba per forza continuare a vivere come uno o due secoli fa. Il mondo è cambiato, chi siamo noi per decidere che qualcuno invece debba rimanere indietro perché a noi non piacciono le piste? E poi comunque sono cambiate anche le esigenze e le modalità lavorative anche di chi pratica questo antico mestiere.

(Val Pellice)

(Val Pellice)

Non si può più scendere con il mulo, le tome e il burro nelle gerle come un tempo, l’asl avrebbe qualcosa da ridire in proposito! Asini e muli si usano ancora dove la strada non c’è per il giorno della transumanza, ma capirete anche voi che non possono sostituire completamente il bagagliaio di un fuoristrada. Poi oggigiorno anche il margaro o il pastore in alpeggio devono poter scendere in giornata, vuoi per motivi burocratici, vuoi per altre incombenze che cento anni fa non esistevano.

(Val Pellice)

(Val Pellice)

Può essere pittoresca una scena del genere, ma i diretti interessati ne farebbero anche a meno, se possibile. Pensate poi se quella transumanza avesse dovuto aver luogo in un giorno di maltempo! Le cose da portare in alpeggio e da riportare a valle a fine stagione sono molte, legate al mestiere e alla vita quotidiana dell’allevatore e della sua famiglia.

(Val Chiusella)

(Val Chiusella)

Già, la famiglia… Un tempo si saliva ad inizio stagione e si scendeva in autunno, uomini e bestie, tutti insieme. Oggi ci sono allevatori con mogli che fanno un altro mestiere e che raggiungono i mariti solo nel fine settimana. Salgono portando viveri freschi, vestiti puliti, le auto stipate di tutto quel che serve. Se non si può fare diversamente, ci si adatta e ci si sacrifica, ma ben venga la possibilità di fare una vita un leggermente migliore. Se si hanno dei figli giovani, magari hanno anche voglia di scendere una sera e incontrare gli amici, una volta terminati i lavori. Non pensiate che chi fa l’allevatore sia solo un sognatore filosofo votato alla solitudine, che tragga soddisfazioni sufficienti dallo stare con gli animali e dagli splendidi scenari che l’alpeggio offre!

(Val Chiusella)

(Val Chiusella)

Le piste servono a portare le attrezzature di cui non si può fare a meno: fili, picchetti e batterie, reti per le pecore, sale, cibo per i cani. Una volta come si faceva? Una volta c’erano meno animali, più gente e si lavorava diversamente. Provate a pensare che, al posto del filo e dei picchetti, c’erano anche bambini piccoli che andavano da soli al pascolo degli animali con un tozzo di pane duro in tasca o una fetta di polenta da far durare fino a sera.

(Val d'Aosta)

(Val d’Aosta)

Ci saranno alpeggi dove probabilmente mai verrà costruita una strada: perchè utilizzati per poche settimane all’anno, perchè lassù non si munge e caseifica, perchè tanto non c’è una famiglia, ma solo un operaio che sorveglia gli animali. Certi alpeggi verranno abbandonati, perchè non c’è la strada. E’ già successo: nei valloni più impervi, alle quote maggiori, vi sarà capitato di vedere alpeggi crollati e pascoli non più utilizzati.

(Valle Stura)

(Valle Stura)

Oppure, mancando una pista, quelle montagne verranno caricate con animali in asciutta, manze, vacche con vitelli lasciati incustoditi o soggetti a sorveglianza saltuaria da parte dell’allevatore o di un suo incaricato. Certamente, se viene realizzata una pista di servizio per l’alpeggio e se questo è comunale, il Comune può mettere nei regolamenti clausole ben precise, per esempio riguardo la manutenzione dei pascoli, il loro utilizzo, l’attività di caseificazione e così via. Insomma, richiedere che la montagna venga gestita opportunamente, sia una risorsa di cui può beneficiare anche il turista.

(Val d'Aosta)

(Val d’Aosta)

Ci saranno irriducibili che continueranno ad alpeggiare anche laddove non ci sono le strade, specialmente con greggi, come si è sempre fatto. Non che loro non abbiano esigenze, ma si sacrificheranno. Magari c’è anche qualche allevatore che preferisce così, quindi in quel caso il problema non si pone  e saranno tutti contenti, gli ambientalisti, i turisti, i pastori. Ma quanti ne conosciamo, di questi casi?

Ecco infine il sondaggio, potete dare risposte multiple. E’ solo un modo per capire come la pensate, poi ovviamente potete commentare sotto l’articolo per esprimere in maniera più approfondita le vostre opinioni.

Gli aiuti sono partiti

E’ passata una settimana da quando ho rilanciato l’iniziativa nata spontaneamente da alcuni amici allevatori e simpatizzanti per aiutare le zone colpite dal terremoto e dalle eccezionali nevicate nelle regioni dell’Italia centrale. Come promesso, vi documento lo svolgersi dell’iniziativa. Ieri sera mi sono state inviate queste foto e questo testo.

Con sommo piacere e tanta emozione possiamo comunicare a tutti che: oggi a distanza di una settimana dall’inizio dell’iniziativa spontanea siamo riusciti a completare il primo carico di mangime presso il mangimificio Mottura di Ferrere d’Asti destinato agli allevatori delle zone terremotate! In queste ore Lorenzo Vaccari è alla guida del camion della protezione civile dipartimento Verbano-cusio-ossola e scaricherà presso ARA REGIONE UMBRIA CORCIANO (PG) e da lì verrà smistato alle Az. agricole. Presto seguiranno ulteriori aggiornamenti. Ricordiamo a tutti quelli che volessero contribuire che la sottoscrizione è attiva all’IBAN IT52G0608547420000000001173 INTESTATO A MANGIMI MOTTURA FERRERE D’ASTI, CAUSALE UN GRANDE CUORE A 4 ZAMPE. Per chi volesse ulteriori informazioni può contattare Gaetano Caudera. Rammentiamo che stiamo organizzando il secondo viaggio ed abbiamo bisogno ancora del vostro aiuto! Quindi vi ringraziamo fin d’ora per la vostra generosità!! Gaetano Caudera, Marcella Mottura, Aldo Pastrone, Claudia Berton. Grazieeeee!!!!!

Un grazie a tutti quelli che hanno partecipato alla raccolta fondi. L’emergenza non è finita, quindi chi volesse ancora contribuire, può farlo come indicato sopra. Sui social con grande piacere sto vedendo quante di queste iniziative spontanee si sono verificate un po’ ovunque: camion di fieno partono dalle singole aziende, dai Comuni, da gruppi di allevatori. Non lo si fa per essere eroi, ma perché si comprende e si condivide la disperazione, l’angoscia, lo sconforto di chi si è trovato in quelle condizioni. Ancora grazie a chi si è prestato a questa operazione e ai volontari della Protezione Civile.

Meglio le capre degli uomini che bisticciano in tribunale!

Le bozze del libro hanno preso forma, si sono arricchite di tutti i contributi, le notizie, le interviste. Anche se sarebbe molto bello poter ascoltare sempre nuove storie, pian piano mi devo avviare alla conclusione della mia opera, inserendo anche i contributi ricevuti on-line. Invito quindi tutti coloro che si erano fatti mandare il questionario ad inviarmelo via e-mail, altrimenti pubblicherò la vostra storia solo qui e non sul libro.

Oggi cedo la parola a Fabrizio da Vasia (IM). “Tengo le capre per passione ne ho solo una decina. Soprattutto i miei genitori si sono chiesti molte volte da dove avessi preso questa passione, visto che loro non l’hanno mai avuta. O meglio, mio padre ha sempre avuto una capra, mia madre da bambina aveva anche la mucca, ma certamente non per passione. In paese un tempo ogni famiglia aveva animali, ogni famiglia faceva il fieno e viveva nei campi. Ora tutto è abbandonato, solo io ho questo piccolo allevamento e “faccio notizia”!! Quando ero bambino andavo dall’unica signora che aveva le pecore. Possedeva anche due capre ed io ero affascinato da loro. Andavo ogni pomeriggio all’ora della mungitura e provavo… poi la signora mi dava un po’ di latte per la colazione. Alcuni anni dopo mia sorella ha sposato il figlio di quella signora e quindi sono diventato uno di loro. Ogni domenica, quando l’impegno della scuola prima e dell’università dopo me lo permetteva, andavo al pascolo con lei o a raccogliere foglie nel bosco per usare da lettiera. Abbiamo recuperato alcuni prati e comprato l’imballatore per farci il fieno. Con gli anni l’allevamento ha cambiato un po’ le sue caratteristiche. Le pecore le abbiamo date via, a me non piacevano un granché. Ho aumentato invece il numero delle capre, ora ne ho nove.
Mi piacciono molto gli erbivori in genere: il mio sogno sarebbe tenere una mucca ma credo sia troppo difficile da gestire, visto anche il fatto che ho una famiglia con tre bimbi e dunque a volte si va in vacanza… Le capre posso lasciarle a mia sorella ma la mucca proprio no.  Allevo anche i conigli, sempre per passione!

(foto F.Viani)

(foto F.Viani)

Una passione che porta a fare delle scelte. “Ho fatto l’università a Genova, giurisprudenza. Ho anche fatto la scuola specialistica per avvocati, compresi i due anni di praticantato… Poi ho abbandonato con gioia questa strada: meglio le capre degli uomini che bisticciano in tribunale! Lavoro in una amministrazione pubblica. Ho una piccola azienda olivicola e coltivo gli ulivi per amore, così come tengo le capre. Concimo le piante con il loro letame. Con mia moglie abbiamo anche aperto un piccolo agriturismo: mia suocera cucina, io servo ai tavoli. Insomma, non ci facciamo mancare nulla!!!  Per noi la capra è una risorsa: grazie a loro tengo puliti i prati che faticosamente ho sottratto all’abbandono, così come alcuni uliveti. Mungo il latte due volte al giorno e faccio il primo sale e la ricotta. Al mattino alle 5 vado in stalla e poi porto il latte fresco ai miei tre bimbi per la colazione. Amano il latte, ma non il formaggio, preferiscono quello di mucca. Ovviamente non vendo il formaggio, mi capita di regalarlo a qualche mio amico, quando mi rimane buono!

(foto F.Viani)

(foto F.Viani)

Mi ricordo un anno eccezionale per i parti: tre capre dieci capretti!!! Due capre hanno partorito tre capretti ciascuna, una ne ha fatto quattro!!! Tutti in splendida salute. Non è mai più successo!!! La cosa più originale per me è come una vecchia signora del piccolo paesino in cui abito possa aver influito così tanto sulla mia vita. Quando ero piccolo non vedevo l’ora di andare da lei in stalla, non mi interessava del pallone o degli altri bambini. Volevo andare dalle capre e basta. E poi la casualità a fatto si che questa signora sia entrata nella mia famiglia… questo è fantastico! Con lei ho condiviso un sacco di cose, è come una seconda mamma! Qui non ci sono altri allevatori di capre. Mi sono cercato alcuni contatti con altri appassionati. Grazie al tuo sito “Pascolo vagante” sono rimasto amico di Marta e Luca di Sambuco, andiamo spesso a trovarli e sono in contatto con loro! 

Grazie a Fabrizio per la sua testimonianza, mi aveva già scritto tempo fa per raccontarmi la sua passione, ben prima che iniziassi le ricerche per il libro. Aspetto le vostre ultime storie, devo chiudere le bozze al più presto per i tempi tecnici necessari alla pubblicazione…

Allevatori nelle zone terremotate

I fatti di questi ultimi mesi, settimane, giorni hanno profondamente toccato tutti. C’è un proliferare di iniziative di ogni tipo per cercare di essere d’aiuto. Ho scelto di dare una mano in questa, pubblicandola qui, perché nasce da persone che conosco. Semplicemente tutto nasce da amici allevatori che dicono: “Non possiamo aiutare in qualche modo i nostri colleghi?”. In questo momento gli animali, privi di stalle o con stalle precarie, con il fieno difficilmente raggiungibile a causa della neve, hanno soprattutto bisogno di essere ALIMENTATI. Ci sono grossi problemi sulle vie di comunicazione, è impensabile spostarli (per andare dove, poi?).

Abbiamo quindi deciso di far arrivare del mangime. Questa è l’iniziativa che stiamo condividendo sui social network.

Aiuto agli allevatori delle zone terremotate: UN GRANDE CUORE… A 4 ZAMPE, iniziativa nata spontaneamente in Piemonte: il mangimificio Mottura di Ferrere di Asti si è reso disponibile sia con una donazione, sia con un prezzo di favore 25€ al quintale (7,00 € al sacco)
Per partecipare alla raccolta di mangimi da inviare agli allevatori delle zone terremotate, fate un bonifico con la somma desiderata tramite il codice Iban IT52G0608547420000000001173 intestato a Mangimi Mottura Ferrere di Asti con causale “UN GRANDE CUORE… A 4 ZAMPE ”
Raggiunto il carico di 150 quintali la Protezione Civile effettuerà il trasporto in un centro di smistamento di prodotti per animali nelle zone terremotate. Dei volontari seguiranno il carico per garantire che la consegna vada a buon fin. Un grosso grazie a Gaetano Caudera che si è prodigato per organizzare l’iniziativa e fare da tramite. Grazie anche a Marcella Mottura per la sua generosità e disponibilità.
Superati i 150 quintali, si organizzeranno ulteriori viaggi. La situazione è grave e l’emergenza purtroppo non si risolverà in tempi brevi, ma non aspettate e donate SUBITO! GRAZIE A TUTTI

Altri allevatori si stanno muovendo per inviare del fieno. La solidarietà è tanta… Su Facebook vi terrò progressivamente informata sugli esiti, appena ne verrò a conoscenza.

Non ci ripagheremo mai le spese economiche, ma vieni ripagato in altri modi

In mezzo alla sempre maggiore spazzatura e disinformazione, resta una grande utilità dei social network quando ti permette di “incontrare” certe realtà. Poi sta a noi concretizzare il contatto e andare sul posto.

Sono arrivata a Bugliaga dentro a notte fonda, per fortuna Massimo, il marito di Licia, è venuto a prendermi con il mezzo adatto, perchè già raggiungere Trasquera era stato un po’ avventuroso. Imboccata la strada che sale a San Domenico, avevo visto allontanarsi quelle che, ad occhio, potevano essere le luci del villaggio. Salivo, salivo, il navigatore a casaccio diceva di girare a destra, quando sopra e sotto di me c’erano solo ripidi boschi e oscurità. Quando ormai pensavo di essermi persa il bivio, ecco la freccia. La strada si fa più stretta, sale, scende, passa in una forra su di un ponte che immagino molto alto. Poi però attraverso le frazioni sparse di Trasquera e, in una piazzetta davanti alla chiesa, aspetto Massimo. Il fuoristrada avanza senza problemi anche sul ghiaccio e mi deposita in un luogo da fiaba, che apprezzerò meglio all’alba del mattino dopo.

Siamo a Bugliaga dentro, a poca distanza dal confine svizzero, raggiungibile a piedi proseguendo lungo i sentieri. La vallata è quella del Sempione. Qui si sono trasferiti Licia e Massimo, hanno letteralmente cambiato vita e, dallo scorso mese di maggio, hanno anche aperto un agriturismo. “Siamo due medici di Bareggio (MI), zona a vocazione agricola, mio nonno aveva il caseificio e faceva il taleggio, mia zia aveva la latteria, mi ricordo che da bambina andavamo con il calesse a ritirare il latte.  Avevamo già l’idea di trasferirci in montagna, prima cercavamo qualcosa in Trentino, poi degli amici ci hanno detto di venire a vedere qui e ci siamo innamorati del posto. L’abbiamo preso nel 1999, siamo gli unici che ci vivono davvero. Quando nevica tanto si viene con le ciaspole o con gli sci. Subito non avevamo animali, però avevo chiesto ad amici di conoscere la gente degli alpeggi. Ho conosciuto Gemma, all’inizio non parlava, aveva vergogna, paura di esprimersi davanti a due medici. Ho girato per dieci giorni con lo zaino spostandomi tra gli alpeggi e ho iniziato a stare con gli allevatori. Pian piano ho imparato anche a fare il formaggio. Massimo nel 2000 ha smesso di fare il medico e si è messo a fare il falegname, lui si occupa soprattutto di ristrutturazioni, la parte artistica del legno. Abbiamo preso una stalla, Gemma ci ha intestato le capre, anche se di fatto continuava ad occuparsene principalmente lei. Poi abbiamo rilevato una delle greggi più “antiche” che c’erano qui. Adesso abbiamo 19 capre ed è il primo anno che ce ne occupiamo davvero noi in prima persona.

La loro non è una di quelle storie di romanticismo privo di senso pratico e concretezza, anzi! Hanno lavorato e stanno lavorando duramente per ridare vita a questo posto. “Le capre sono una parte del discorso nel recupero del luogo: i pascoli, il fieno, le strutture. Quando è il periodo del fieno, vedi tutti nei prati, così come quando si sparge il letame. Quando siamo arrivati qui 15 anni fa era tutto abbandonato e le ginestre erano più alte delle case. La gente dice “che bello qui”, ma è così perché c’è gente che ci vive, ci lavora e, soprattutto, ha gli animali, altrimenti non sarebbe così bello. Qui una volta era abitato tutto l’anno. Per vivere a 360 gradi la montagna devi avere gli animali, altrimenti fai solo il turista, il villeggiante, non hai il vero senso della vita in montagna.  Gli “ambientalisti” questo non lo capiscono, la necessità dell’allevamento per far vivere la montagna. Allevare significa necessariamente mungere e macellare. L’animale immagazzina l’energia dell’estate e te la ridà in inverno quando non c’è niente di fresco da mangiare: macellare è un dispiacere, ma è una necessità.

L’agriturismo non è pubblicizzato, non ha un sito, c’è solo su google.maps e sulla pagina facebook di Licia. Eppure il passaparola e la collocazione sugli itinerari escursionistici fa sì che pian piano il passaparola stia portando clienti. “Non avevamo idea di fare un agriturismo all’inizio, però adesso sono felice, stiamo creando un’altra idea di turismo. La gente del posto ci ha accettato, ci hanno aiutato e insegnato. Non vogliamo portare qui “la massa”, ma turisti che capiscano, apprezzino, condividano la nostra filosofia. La nostra attività non è un vero reddito, ma è indispensabile per recuperare e dare un senso a questo recupero. I formaggi e la carne li usiamo nell’agriturismo. Contiamo sulla qualità e non sui grandi numeri, anche sul “fare cultura” di un certo tipo. L’80% della clientela sono Svizzeri. Una cosa così se non hai soldi tuoi non la puoi fare, le “persone normali” non ci riescono. Noi tutti i nostri soldi li abbiamo messi qui, tanto non abbiamo figli.

Proprio quel giorno, le capre non si fanno vedere. Licia mi spiega che hanno un loro territorio, che sono sempre libere, venivano a farsi mungere mattino e sera, ma adesso sono gli ultimi giorni all’aperto prima di essere portate in stalla. C’è una piccola stalletta dove dovrebbe esserci il gregge, ma quando arriviamo noi ci sono solo le tracce del passaggio del gregge. Nel pomeriggio, quando sarò quasi a casa, mi arriverà un messaggio e delle foto da parte di Licia… ovviamente le capre c’erano, sono solo io che non ho avuto fortuna. Licia e Massimo temono un ritorno stabile del lupo, che manderebbe in crisi tutto questo secolare sistema di gestione della montagna, soprattutto oggi che non è più redditizio come un tempo.

(foto L.Rotondi)

(foto L.Rotondi)

Le capre di Licia sono Vallesane, autoctone di queste terre. Eccole nei giorni scorsi all’arrivo a Bugliaga dentro, per essere condotte in stalla. “Non hanno tantissimo latte, ma producono anche oltre le mie aspettative, poi è molto concentrato. D’autunno diminuisce la quantità, ma faccio quasi la stessa quantità di formaggio.” Un posto da fiaba, ma non sempre le cose sono facili in un luogo che può anche essere isolato in caso di maltempo. Poi una volta qui c’era tanta gente a tener viva e pulita la montagna, mentre oggi Licia e Massimo sono gli unici abitanti. “Sei sperso, lontano da tutti, ma fari certi incontri! Sta diventando un punto di aggregazione. Non ci ripagheremo mai delle spese economiche, ma vieni ripagato in altri modi.

Due (tristi) storie di Natale

Chissà perchè, ma sotto Natale tutti gli anni mi tocca raccontare delle storie per niente belle. L’anno scorso c’erano le capre che pascolavano ancora fuori, visto che non nevicava, e i lupi le avevano disperse… Quest’anno invece i lupi hanno due gambe, si chiamano burocrazia, ottusità, mancanza di buon senso… trovate voi altre definizioni.

(foto S. De Bettini)

(foto S. De Bettini)

Ho due storie da raccontarvi: la prima è una richiesta di aiuto da parte di amici di vecchia data, che mi raccontano cosa si trovano a vivere da un mese a questa parte, cioè da quando l’alluvione di fine novembre ha colpito duramente la strada che porta alla loro casa/azienda agricola.

(foto S.De Bettini)

(foto S.De Bettini)

Così mi scrive Sasha: “Ti contatto a seguito di grossi problemi che abbiamo inerenti ai danni che abbiamo avuto in seguito all’alluvione, la nostra situazione è critica e stiamo cercando perlomeno di farci sentire, se per caso tu avessi voglia di scrivere qualcosa…” Su queste pagine la porta è sempre aperta per tutti. Non posso aiutare concretamente, ma almeno dar voce ad amici allevatori, quello sì, sempre volentieri!

(foto S.De Bettini)

(foto S.De Bettini)

La situazione è la seguente: la nostra strada è pista agrosilvopastorale, non comunale, gestita da consorzio. È franata malamente, soprattutto in un punto. Abbiamo rappezzato un minimo, a spese nostre, giusto per poter passare. Ieri mio papà, presidente del consorzio, ha ricevuto una lettera dal Comune in cui gli si dice che ha 7 giorni di tempo per provvedere alla messa in sicurezza (fatta come viene richiesta da loro, sono circa 50.000 euro di lavoro), in caso contrario la strada deve venir chiusa con transenna e divieto e se qualcuno subisce danni mio papà ne è responsabile in prima persona.

(foto S.De Bettini)

(foto S.De Bettini)

Questo significa che non si può togliere la neve, portare su cibo per gli animali e quant’altro. Lungo questa strada risiedono 7 nuclei familiari, ci sono sei bimbi in età scolare, mio fratello ha mucche capre e un cavallo, i nostri vicini tra tutti hanno 10 cavalli (quindi immagina quanto fieno). Ovviamente siamo tutti arrabbiati e molto amareggiati, si fa tanto parlare di ripopolare la montagna, ma poi nella criticità ci si trova soli… Ti allego le foto della frana peggiore!“. Siamo a Torre Pellice, in via degli Armand, per la precisione. Cosa succederà ora? Cosa potranno fare??

(foto Cascina Soffietti)

Problemi di altro tipo, ma forse ancora maggiori, li ha Fabrizio. Allevatore e veterinario, residente a Murazzano, molti di voi lo conosceranno per le sue consulenze in ambito ovicaprino (era anche stato docente in un corso dedicato appunto agli ovicaprini, che avevamo organizzato in provincia di Torino e Cuneo). Murazzano, terra di formaggi! E la Cascina Soffietti ne produce eccome.

(foto Cascina Soffietti)

(foto Cascina Soffietti)

Purtroppo però le recenti abbondanti nevicate e la pioggia successiva hanno portato al crollo della stalla. Ho letto la notizia qui. Per fortuna il numero di capi deceduti è stato relativamente basso, ma Fabrizio lancia un grido di disperazione dalla sua pagina Facebook. “…che situazione! Ho un buon prodotto, una buona organizzazione, sono l’unico che a Murazzano riesce a tenere una produzione decente anche in inverno con una buona percentuale di latte ovino… un allevamento di pecore delle Langhe di quasi 250 capi in pochi anni… eppure mi vedo costretto ad chiudere la mia attività perché le amministrazioni che da 20 sono a Murazzano mi continuano a fare solo promesse…

(foto Cascina Soffietti)

Fabrizio mi spiega che i terreni li avrebbe, ma il Comune gli nega l’autorizzazione per edificare una stalla. “Mi trovo costretto a… o chiudere, o trasferirmi. Esiste qualche altro Comune che vuole un’azienda come la mia e mi dia la possibilità di sviluppare l’allevamento ovino? …ed avere inoltre un veterinario sul proprio territorio??!!! Datemi una mano!!! A Murazzano non posso più vivere!

(foto R.Ferraris)

(foto R.Ferraris)

In questa immagine vediamo Fabrizio insieme al suo gregge durante un’attività di promozione del territorio. E’ paradossale che ciò avvenga in un Comune territorio di una delle DOP piemontesi. “Io ho personale e svolgo una professione…“, sottolinea, per evidenziare la dimensione reale della situazione.

(foto Cascina Soffietti)

(foto Cascina Soffietti)

Fabrizio cerca quindi un luogo dove trasferirsi al più presto, lui ed i suoi animali: 265 ovini, 50 caprini e 10 bovini. Se qualcuno potesse/volesse aiutarlo, contattatelo su Facebook (Fabrizio Veterinario Barbero) o attraverso il sito della sua azienda Cascina Soffietti. Spero, molto prima del prossimo Natale, di avere modo di raccontarvi il lieto fine di queste due tristi storie.

PS del 23/12/16. Dopo numerose segnalazioni di miei lettori sulla seconda delle due storie, per correttezza vi invito a leggere questo articolo dove viene presentato anche il punto di vista del Comune.