Un libro da leggere

Quando uno dei tanti amici di questo blog mi aveva segnalato questo libro, leggendone le recensioni on-line subito avevo detto: “Qualcuno mi ha già rubato l’ispirazione!“. Infatti avevo trovato alcune tematiche del mio romanzo attualmente “in cantiere”.

Ho poi conosciuto il suo autore ad Ormea, durante una giornata che ci ha visti entrambi ospiti per presentare i nostri rispettivi libri. Anche lui è un blogger ospite su questa piattaforma (Baroni Rampanti), e qui trovate la sua sintesi dell’opera. Io adesso tenterò di farvene la recensione.

Ho letto “Nel tempo dei lupi” sul treno che mi portava a Roma la settimana scorsa. Qui anche voi potete leggerne l’incipit. Ci sono tante cose in questo romanzo che si legge tutto d’un fiato. Il contrasto tra l’uomo iper moderno, guidato dal navigatore, dipendente dal palmare, dalle e-mail, dalle connessioni e chi ancora vive in luoghi isolati dalla civiltà, ancora più isolati perchè… “non c’è campo”. Guido è l’uomo moderno, Giusè il pastore/eremita, che non sa nemmeno cosa sia internet. Ci sono lingue quasi scomparse, come quella parlata a Realdo, nell’entroterra ligure. Ci sono quei posti “di confine”, dove la frontiera esiste sulla carta, ma le popolazioni (umane ed animali) si sono sempre mescolate senza curarsi troppo delle convenzioni che fanno sì che con un passo sei in Italia, con l’altro in Francia. E poi c’è il lupo. Che da quelle parti c’era, ma poi per decine e decine di anni non si era più visto.

L’Autore descrive con estremo realismo una realtà che conosce bene, quel territorio ad un passo dal mare, ciò nonostante dimenticato da tutti, sconosciuto ai più, terra dove qualcuno ancora resiste, magari un pastore o qualche bracconiere, i cavatori di pietra d’ardesia, qualche anziano. Giusè, il pastore, pare di vederlo. Ho incontrato alcuni personaggi che gli assomigliavano molto, qua e là nelle vallate, con l’unica differenza che a me li avevano descritti come scorbutici e diffidenti, ma poi ho sempre trovato un’ottima accoglienza anche da parte dei più riservati. Una sorte ben diversa da quella del primo incontro di Guido e Giusè. Se posso fare una critica al libro, che nel complesso mi è piaciuto molto, forse ho trovato un po’ eccessivi alcuni atteggiamenti estremi ed estremisti del pastore (quando “riceve” Guido nella sua casa, leggete e capirete) o nel modo di fare dei bracconieri. Mi hanno ricordato la donna che, nel film “Il vento fa il suo giro”, arrivava al punto di mozzarsi un dito della mano pur di incolpare il forestiero. Forse un’esagerazione?

Guido deve installare un’antenna; l’unico che, in mancanza del segnale GPS, può portarlo nel posto adatto a posizionarla, è il pastore, che accetta dopo qualche ritrosia iniziale. Abbandona però il suo ruolo di guida quando capisce che lì, a poca distanza del suo gregge di capre, c’è un pericolo. Un lupo, o meglio, una lupa gravida. E’ proprio vero che il lupo è tornato. Così il pastore va a mettere in salvo i suoi animali e smette di aiutare l’uomo del XXI secolo, per iniziare ad escogitare un mezzo per catturare il predatore.

Non vi racconto tutto il romanzo, lo lascio leggere a voi, per vivere pagina dopo pagina la trasformazione di Guido, il progressivo distacco dal suo tempo, la sua trasformazione in uomo che sa vivere e cavarsela nella natura più ostile e povera, lasciandosi alle spalle tutto il progresso che, all’inizio, lo rendeva incapace di gestire i propri problemi in mancanza di supporto tecnologico. Sullo sfondo si aggira sempre la lupa, astuta più di chi la vorrebbe catturare, che stabilisce con Guido una strana simbiosi. E’ una lupa per cui ci si sente di prendere le parti contro i bracconieri ostili d’oltreconfine, così arroganti e ignoranti, anche perchè è una lupa che rispetta chi ha rispetto di lei.

Leggendo “Nel tempo dei lupi” ci troveremo a riflettere sul nostro rapporto con la vita “naturale”, ma anche sulla progressiva scomparsa di quei personaggi, veri custodi di una memoria fatta di gesti, di toponimi, di conoscenze (le erbe medicinali, saper leggere i segni del territorio). Quando non ci saranno più loro, anche con tutta la tecnologia più innovativa, sarà impossibile recuperare quello che soltanto loro erano in grado di fare.

Una risposta

  1. Grazie Marzia.
    Personalmente sono convinto che abbiamo troppa teconologia.
    Non riusciamo più a gestirla, me ne rendo conto anche sul lavoro.

    La tecnologia sta diventanto mostruosa.

  2. La tecnologia serve come ausilio, non come sostituto. Quello che non bisogna dimenticare è la conoscenza della natura. Il rispetto della natura. La tecnologia, nelle sue varie forme, ha sempre accompagnato gli uomini.
    Ma la tecnica, senz’anima, non serve.

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