Ci va la passione comunque, anche allevando in questo modo

Dopo una realtà altamente tradizionale, dove l’allevamento è passione e quasi non comporta reddito, seguendo la mia guida, mi sposto di pochi chilometri per visitare un’azienda molto diversa. Lasciamo le pendici di Monte Bracco e ci inoltriamo nella bassa Valle Po, area ormai quasi totalmente frutticola. Meli, kiwi, piccoli frutti. E’ proprio tra i frutteti che c’è la stalla di Giuliano, nel comune di Revello.

Il titolare è appena arrivato da una riunione. Guardandolo non potrei definirlo un “pastore”, ma piuttosto un imprenditore. “Ho iniziato nel 2014 con le capre. Qui prima l’azienda era solo frutticola, ma mio nonno e mio papà erano margari, sono anche sposato con una margara. Qualche bestia per passione c’è sempre stata. Nell’azienda avevo un ricovero per gli attrezzi che era sovradimensionato, così ho deciso di fare un allevamento intensivo di capre. È stata una sfida per differenziare l’azienda, prima di iniziare ho visitato allevamenti di capre in tutta Italia.

Questo è un allevamento di capre da latte, la razza è la Camosciata delle Alpi. Non ci sono pascoli intorno alla stalla, gli animali mangiano fieno ed altri alimenti conservati. “Da giugno 2016 siamo certificati bio, tutta l’alimentazione è certificata, non usiamo mangimi OGM. Siamo anche un allevamento indenne CAEV e Scrapie. Questo è importante per la vendita di caprette ad altre aziende. Noi le prime quaranta le abbiamo comprate a Pavia, poi altre da Luisella Rosso a Bibiana.

L’obiettivo è di arrivare a 200, di più la stalla non può tenerne. Mungiamo e vendiamo il latte. Sono vestito così perchè oggi sono andato dal notaio. Con un’altra azienda caprina del Saluzzese abbiamo creato una cooperativa, la Biancoviso, abbiamo firmato proprio oggi l’atto costitutivo, per la vendita di latte di capra UHT biologico. I negozi dicono che c’è richiesta, ma fin quando non usciamo a gennaio con il prodotto, non si può dire. Vogliamo immetterlo nella grande distribuzione locale, dove adesso siamo già presenti con la frutta.

Una stalla moderna, animali di alta genealogia, ben tenuti, dotati di tutti i confort! Ma anche un modo totalmente diverso di concepire l’allevamento rispetto a molte altre realtà che ho visitato in questi mesi.  “Se abbastanza intensivo, era una forma di allevamento che dava un reddito più facile delle vacche da latte, per uno che deve iniziare totalmente da zero. Bisogna fare grossi investimenti, non ho problemi a dire le cifre. Già solo per la sala mungitura, ho speso 30.000 euro, mentre per un impianto per le vacche ce ne sarebbero voluti 100.000, per quello base. Solo di strutture, più di 200.000 euro di spese.

È un’altra concezione di allevatore, forse il tradizionale ha meno grattacapi di me, qui ti esponi tanto. Abbiamo diversi operai nell’azienda e uno si occupa solo delle capre. A lavorare così ti passano tutte le poesie, ma l’allevamento deve essere redditizio. Guardi la genealogia, la mammella, la resa. Ovviamente in un certo senso mi scontro con il mondo tradizionale, sono visto come un blageur (uno sbruffone)  ma a me tocca vestirmi da festa ben sovente per andare a gestire la mia azienda. Adesso con altri allevatori andremo in aereo in Francia a Capr’Inov, un salone esclusivamente dedicato alla filiera della capra da latte, una fiera specializzata. In Francia un allevamento come il mio è considerato piccolo.

Fuori dalla stalla, un appezzamento coperto di pannelli fotovoltaici, con pecore Ouessant ad occuparsi della “manutenzione” e dello “sfalcio”. “Le pecore mangiano gli avanzi di fieno delle capre e pascolano sotto ai pannelli. Ho anche delle Suffolk, sono ancora in montagna. Qualche animale in azienda comunque l’ho sempre avuto anche prima. La passione per le capre è un qualcosa di innato, ci va la passione comunque, anche allevando in questo modo. L’altra sera ho fatto la cena dei coscritti per i quarant’anni,  quando ho detto quel che facevo, una compagna delle elementari mi ha detto che già da bambino dicevo che volevo avere le capre!

Ho aperto gli occhi e ho visto capre

Era una giornata grigia e umida dalle mie parti, ma ormai avevo combinato per andare in Valle Po a vedere capre ed intervistare allevatori. Mi accompagna Giovanni, che conosce tutti e tutto… Così prima mi porta da un “allevatore tradizionale”, che già avevo incontrato alle fiere zootecniche. Siamo a Rifreddo e saliamo tra strette strade e borgate, ai piedi di Monte Bracco. Per fortuna lì c’era il sole e un bel panorama. Ci sono vacche al pascolo, piccole greggi di pecore, poi vedo più in alto le capre, appena sotto il bosco.

Parcheggiamo nel cortile della cascina e saliamo appena sopra, sui prati. Oggi Livio ha tenuto in basso le capre apposta per noi, altrimenti sarebbe stato su per i boschi a farle mangiare castagne. Monte Bracco è il posto delle capre, avevo già intervistato qualche mese fa una coppia di “famosi” allevatori che abitano sull’altro versante. Oggi ci sono ancora diverse famiglie che hanno capre, da queste parti, ma fino a mezzo secolo fa qui addirittura venivano a svernare centinaia di animali. “Monte Bracco le capre le manteneva anche d’inverno, è ben esposto, ci sono boschi. Si è andati avanti così fino a 45-50 anni fa. Partivano da Rifreddo per andarle a prendere fino in Val Pellice e venivano in qua con 5-600 capre, poi le davano alle varie famiglie, chi ne prendeva una, chi due, chi tre, spesso era gente che aveva già qualche capra sua. Quelli che le svernavano si prendevano in cambio il capretto.

Ho le capre da quando sono nato, ho aperto gli occhi e ho visto capre. Ho una foto che non cammino ancora e mi appoggio a due capretti. D’estate vado a lavorare, faccio qualche ora qua e là, d’inverno sto dietro alle capre. Sono trent’anni che le mando via d’estate perchè giù fa troppo caldo. Le mando al Lausun in Val Germanasca, dai Garnier.

Non solo capre, la passione è anche per le galline e per i colombi. Questa comunque è ancora una storia in cui la capra è soprattutto un piacere. Si vendono i capretti, ma “… se ne trovo una bella che mi piace, se me la vendono, la compro! La soddisfazione è avere una bella capra che ti piace più delle altre. Sono una passione, una passione che costa.” Dopo essere stata da Livio, Giovanni mi porterà in una realtà completamente differente, a pochi chilometri di distanza…

Quando provi a far qualcosa c’è invidia

Da quando, nel mondo degli appassionati, si sta spargendo la voce che ho intenzione di scrivere un nuovo libro a tema “caprino”, in molti mi hanno già contattata chiedendomi di visitare anche la loro azienda. Grazie per la collaborazione! Quello che cerco sono storie da raccontare, non mi interessa la dimensione della vostra azienda, se allevate capre per hobby, per reddito, se mungete o se avete capre da battaglia. L’importante è che la vostra sia una bella storia di veri appassionati e abbiate voglia di raccontarmela.

Di Elena sapevo che… esisteva! Ero passata nei pressi della sua azienda lo scorso anno, casualmente durante una gita e ne avevo accennato qui. Poi un’amica comune, anche lei allevatrice, mi ha portata qui per intervistarla. Saliamo sopra a Paesana, in Valle Po, fino ad arrivare alla stalla di Elena. Lei e Sara chiacchierano, guardano le capre, è pieno di capretti nati nelle ultime settimane. Le capre sono veramente grosse, parecchie devono ancora partorire.

La stalla è nuovissima, ma l’abitazione non c’è ancora, bisognerà ristrutturare le altre baite lì vicino e ci vorrà ancora tempo, si spera meno di quanto è stato necessario per i permessi relativi alla struttura per ricoverare gli animali. “Le prime capre le ho prese nel 2008. Ho sempre avuto la passione, ho studiato Agraria e poi Scienze Forestali. Mentre studiavo, lavoravo nei rifugi in montagna. Sono di Moncalieri, abitavo in un appartamento al terzo piano e i miei genitori sono operai. Mi ero trasferita a Villar Perosa con il mio ex compagno, in una baita, al piano terra c’era la vecchia stalla, intorno tanti rovi. Avevo chiesto agli Agù per comprare delle capre e loro mi hanno mandata da Sara… Ne avevo prese tre e un maschio.

Questo è stato l’inizio di Elena, classe 1983. Mi racconta la sua passione per questi animali a cui sta dedicando interamente la sua vita. “Sono intelligenti, affettuose. Mi sono piaciute per il carattere. Sono furbe, ma anche stronze!“, ride Elena. “Ognuna è diversa, hanno il loro carattere!” Ha imparato man mano sul campo: “Per il primo parto difficile ero agitata, ero sudata, in panico! Ho chiamato per telefono Sara che mi spiegava cosa dovevo fare per tirare fuori il capretto. Poi impari, adesso faccio tutto da sola, quando c’è proprio bisogno chiamo il veterinario.

 

Le difficoltà maggiori per Elena sono state burocratiche. “Dove ero prima non potevo sviluppare niente, non c’era spazio, pochi pascoli. Questo posto l’ho trovato su internet, ho guardato che fosse al sole e ci fossero i pascoli. Non ho potuto prendere finanziamenti e fare l’insediamento come giovane imprenditore perchè l’amministrazione mi ha ostacolata. Ci hanno messo un anno e mezzo a darmi i permessi, così sono scaduti i termini. Non sono di qui e questo da fastidio… Sai il film “Il vento fa il suo giro“? L’ho scoperto dopo che la storia che l’ha ispirato è successa poco lontano da qui. C’è gente che mi ha accolta bene, i vicini della borgata Ferrere che hanno bestie non mi hanno mai detto niente. Però altri invece… quando provi a far qualcosa, c’è invidia!

Elena da poco ha preso anche una vitella, per avere in futuro il latte per i capretti. Attualmente ha un’ottantina di capre. Nei progetti, c’è quello iniziale di vendere il latte, intanto ristrutturare le altre baite sia per l’abitazione, sia per i locali di lavorazione latte e carne. Recentemente ha fatto lavorare la carne di una delle sue capre presso l’Istituto di Moretta ed è rimasta molto soddisfatto. Il marito di Elena lavora già nel settore carne, quindi le basi per realizzare questi sogni ci sono.

Mi racconta dell’anno precedente, quando la stalla era rimasta isolata per via della neve. Quel giorno stesso, al pomeriggio, avrebbero dovuto portarle del fieno, così era poi tranquilla in vista della nevicata prevista (e arrivata in questi giorni). “Non mi hanno pulito la strada, venivo su da casa con l’asino e il basto. Vado sempre su e giù a piedi, dal sentiero sono 10 minuti, ma ovviamente serve anche avere la strada pulita! Solo che… Hai voluto venire qui? E allora arrangiati! Questa è l’accoglienza che ho avuto!” Ma Elena non è una che si scoraggia.

Momenti di sconforto ne ho avuti tanti, infiniti! Venir su con un metro e mezzo di neve e l’asino… Poi tutti i costi che devi sostenere per essere in regola, quando ricevi i preventivi… Un’altra volta sono caduta al pascolo, mi sono fatta male al ginocchio, ma il giorno dopo comunque ero qui. Se proprio devo andare via per qualcosa di importante, viene mia mamma, piace anche a lei e le capre al pascolo con lei stanno brave. Come quando sono dovuta andare a fare la prova dal parrucchiere per il matrimonio!

La stalla è pulitissima, non si sente nessun odore a parte quello del becco. Su di una parete, il manifesto del “Fronte di liberazione del contadino impazzito” (se lo volete leggere, lo trovate qui). Elena lavora e racconta, parla del tempo libero che non esiste, ma non è quella che si lascia andare perchè lavora in stalla in un posto fuori dal mondo, la sua femminilità è curata sia nell’abbigliamento, sia nell’aspetto. “Io sono ancora una che si emoziona, quindi piango per il bene e per il male. Tra i momenti più belli, quando nascono i capretti, quando le abbiamo messe qui nella stalla nuova.

Le capre sono frutto di incroci, selezionate per il latte, ma anche per la rusticità, visto che in primavera, estate e autunno si va al pascolo. Adesso c’è un grosso becco di razza verzasca, che dovrebbe garantire entrambe le caratteristiche. “I problemi sono quelli che hanno tutti: alimentarle bene costa e vendere rende poco. Ma dovessi rifare la mia scelta, lo rifarei. Magari da un’altra parte, perchè qui in Italia è proprio difficile… Anche essendo donna è tutto più difficile. Solo quando vengono qui e vedono le bestie tenute bene allora mi considerano. Altrimenti, donna e di Moncalieri, figuriamoci! C’è stato anche chi mi ha fatto dei brutti scherzi, mi hanno tagliato i guinzagli dei cani che erano appesi fuori, mi hanno aperto i rubinetti dell’acqua quando facevamo la stalla, sono arrivata su ed era tutto allagato, sono dovuta andare a far denuncia contro ignoti.

Fiere e un incontro

Qualche segnalazione di appuntamenti, come sempre non sono questi gli unici in calendario, ma sono quelli di cui sono a conoscenza o che mi sono stati segnalati. Sabato 26 a Barcellonette (Francia), Foire de la Saint Michel.

Fiera di San Michele anche a Sampeyre, Val Varaita. Se le condizioni meteo saranno adeguate, sarò presente con i miei libri, cercatemi tra le bancarelle! Ore 15, passaggio degli animali con i rudun per le vie del paese.

(foto M.Verona)

Adesso invece voglio raccontarvi la storia di un incontro. I miei genitori vanno spesso in montagna (ecco chi mi ha trasmesso la passione per quei territori… poi per gli animali ci ho messo del mio!) e, forse anche per colpa mia e dei miei interessi, non solo si fermano a fotografare animali al pascolo, ma anche a chiacchierare con i loro guardiani. Qui erano in Valle Po (CN) a Pian Croesio.

(foto M.Verona)

Vedete una mandria di vacche piemontesi di proprietà di un allevatore di Paesana.

(foto M.Verona)

Queste sono le meire, che nello scorso inverno vi avevo mostrato in versione innevata.

(foto M.Verona)

(foto M.Verona)

Come guardiani, ecco una coppia di giovani albanesi, Lin e Margrita, aiutati nel loro lavoro dalla cagna Mia.

Fiere, fiere, fiere…

Ci sono le fiere “classiche”, quelle dove non si può mancare, che richiamano visitatori, addetti ai lavori, allevatori da tutta la regione e non solo. Poi ci sono le altre fiere, quelle più piccoline, che un tempo erano rinomate, ma via via hanno perso di importanza. C’è un certo numero di visitatori, soprattutto dalle zone limitrofe o dai paesi della valle, che vengono alla fiera per ritrovarsi o per fare qualche acquisto.

Si va per esempio ad una fiera per cercare i prodotti dell’alpeggio, come i formaggi. D’altra parte le fiere non a caso sono in questo periodo, quando man mano si mettevano da parte le provviste per la brutta stagione e, soprattutto, la produzione casearia era pronta per essere venduta.

Certo, oggi molte cose sono cambiate, troviamo di tutto tutto l’anno, ma per fortuna chi se ne intende sa ancora cosa cercare, dove cercarlo. I formaggi d’alpeggio come si deve esistono ancora, sono prodotti dal latte di animali allevati al pascolo in montagna nei mesi estivi, per alcuni ci sono marchi e certificazioni che ne garantiscono l’origine e il metodo di produzione.

Alle fiere si commerciava il bestiame, ma ormai lo si porta soprattutto per riempire la piazza. Senza animali la fiera non ha più il suo significato, ma effettivamente non è più qui che si comprano/vendono le vacche. Queste immagini si riferiscono alla fiera di Crissolo in Valle Po (CN), vallata di alpeggi, di bovini di razza piemontese.

Capre e pecore? Solo queste poche capre in un recinto di transenne. Mi raccontavano gli anziani che, una volta, invece… Ce n’erano eccome! Ormai però portare gli animali alla fiera è complicato, è un fastidio, inoltre non c’è più il tornaconto economico. Mi dicono anche che uno dei greggi che salivano in valle non è più presente, per motivi di salute del pastore.

Chi ha visto i “bei tempi andati” confronta queste fiere con quelle di una volta. La fiera comunque è il giorno in cui si esce e ci si trova in piazza a chiacchierare. Giovani e anziani, non c’è differenza, anche se i primi hanno più occasioni per andare in giro ed incontrarsi.

Tutti comunque vanno a vedere le bestie, portate dagli allevatori degli alpeggi sovrastanti. Rispetto alle altre vallate, specialmente del Torinese, dove si trovano un po’ tutte le razze bovine, nella maggior parte delle vallate cuneesi invece è la Piemontese a dominare, anche laddove si munge e si lavora il latte.

Non resta che fare un giro tra le bancarelle, privilegiando i veri artigiani, rispetto a chi vende quei prodotti che puoi ritrovare ovunque, oggetti e manufatti realizzati chissà dove, chissà come. Questo abile cestaio lo vedo spesso anche ad altre fiere, probabilmente non c’è uno dei suoi cavagnin uguale all’altro, ma è proprio questo il bello!

Fammi una foto!“, chiede questo signore che si aggira per la fiera con due scatole di barbisin, i funghi dei castagni. E’ la stagione giusta, quest’anno poi in quota si sono trovati tantissimi funghi di ogni tipo, grazie alle piogge di fine estate ed al terreno caldo. Questi funghi particolari sono molto ricercati e possono raggiungere grosse dimensioni.

Questa è stata la fiera di Crissolo. Prossimamente ce ne saranno altre, alcune addirittura hanno già avuto luogo. Qualcuna andrò a vederla, magari anche qualcuna dove non sono mai stata, così, per cambiare un po’ e vedere qualcosa di nuovo…

Prima dell’alpeggio

In questi giorni, poco per volta, il popolo dei pastori e dei margari si sta mettendo in movimento. E’ stagione. L’erba in montagna cresce, chi può inizia a raggiungere le quote intermedie. D’ora in avanti andare in montagna sarà diverso, sarà tutto più vivo, ci saranno i suoni delle campane nell’aria, i muggiti, i belati, l’abbaiare dei cani, le baite saranno aperte.

Nelle scorse settimane si facevano pochi incontri, alle quote maggiori invece non c’era ancora nessuno. Un giorno mi è successo di imbattermi in animali “atipici” per le nostre vallate. Questi bovini originari della Scozia iniziano ad essere diffusi qua e là in diverse vallate anche in Piemonte.

Sono animali rustici, adatti alla montagna e alla vita all’aperto. Non siamo ancora così abituati a vederli, per cui incontrare questi Highlander è comunque una sorpresa, specialmente per il loro aspetto. Allevati per la carne, spesso vengono impiegati anche per sfruttare pascoli marginali non interessanti per altre forme di allevamento o semi-abbandonati.

Durante la stessa gita, ho incontrato anche un allevamento di capre, altro animale spesso scelto da chi vuole insediarsi in aree montane dedicandosi alla zootecnia. Ognuna di queste realtà sicuramente ha una sua storia, è frutto di decisioni, di pianificazioni o anche di “salti nel buio”. Di questi tempi è così difficile trovare la giusta attività per vivere, se poi aggiungiamo le difficoltà ulteriori del vivere in montagna, il vincolo rappresentato dagli animali, le pastoie burocratiche…

C’è anche chi, in montagna, ha pochi animali per hobby, o per passione, come probabilmente preferirà dire. Un piccolissimo gregge di pecore riposa nelle ore più calde della giornata. Con pochi animali così, basta una rete tirata nell’erba fresca, una batteria, li si sposta quando il pascolo non è più sufficiente. Non si vive di quello, è un passatempo che impegna e che costa pure.

Solo grazie a queste realtà possono però ancora mantenersi questi scorci, unendo la bellezza della natura e del territorio (le montagne), l’opera dell’uomo nel passato (l’edificio) e quella nel presente (il prato ancora utilizzato o per lo sfalcio o per il pascolo). L’abbandono significherebbe bosco e cespugli ad avvolgere tutto, privando il semplice passante anche del panorama.

Passano un paio di settimane e il verde sale in quota. Quella era una giornata calda, troppo calda per la stagione, la pianura era velata dalla calura. Anche se fa così caldo, non c’è ancora nessuno sulla montagna. E’ presto, le transumanze non erano ancora iniziate e l’erba era ancora bassa.

Infatti, più a monte, questo è ciò che si incontra, cioè l’aspetto dei pascoli appena successivo allo scioglimento della neve. E’ vero che, in montagna, le stagioni sono più concentrate, tutto deve avvenire in quei pochi mesi, ma è importante che gli allevatori non salgano troppo presto, quando non c’è ancora abbastanza erba. Non c’è una data che possa essere stabilita a tavolino (anche se, ahimè, a volte è proprio quello che succede) per salire in montagna. Il clima che cambia, le temperature, le precipitazioni, possono far sì che si verifichino situazioni molti diverse anno per anno.

Sulla via del ritorno, incontro questa situazione. Sappiamo bene come le vasche da bagno siano la forma di abbeveratoio più utilizzata (e non solo sulle nostre montagne) per la praticità e l’economicità, ma sicuramente questo non è un bel biglietto da visita. Non so se questo sia un alpeggio pubblico o privato, ma chi ne detiene la proprietà dovrebbe intervenire, migliorando anche le condizioni di lavoro dell’allevatore.

Più a valle, accanto alla strada, l’abbeveratoio è di tutt’altro tipo, tra l’altro anche usufruibile come fontana da tutti gli escursionisti di passaggio, anche fuori stagione d’alpeggio. Penso che, d’ora in avanti, ogni gita in montagna mi porterà a passare vicino a degli alpeggi utilizzati, con il loro bestiame, con i cani, con le persone. Mi permetto di ricordare a chi la montagna la “frequenta” come luogo di svago, che si tratta comunque di un ambiente di lavoro per alcuni, quindi… RISPETTO, sempre.

E’ una cosa che hai nel sangue

L’altro giorno sono andata a cercare un giovane pastore… Anche se ormai il libro è concluso e stampato (vi ricordo, tra l’altro, i due appuntamenti con le presentazioni di stasera a Pramollo e domani sera ad Angrogna), capita sempre di incontrare altri ragazzi e ragazze che portano avanti/hanno scelto questo mestiere.

Cristian (classe 1993) con il suo gregge praticamente è ancora in montagna. Risalgo lungo una tortuosa strada tra i boschi nel versante esposto a nord della bassa Valle Po. Si vedono chiaramente i segni della neve caduta ad ottobre: rami a terra, foglie ancora attaccate ai rami, ma piegate su sé stesse, erba schiacciata. Finalmente si esce in una radura e lì incontro le pecore.

Il giovanissimo pastore mi racconta la sua storia, mentre sorveglia che il piccolo gregge non si allontani troppo verso il bosco. “Pecore a casa ce ne sono sempre state, prima il nonno, poi il papà ed adesso io. Mio papà ora è in pensione, io per adesso faccio questo, anche perchè in giro non c’è tanto altro da fare.” La sua storia in fondo è simile a quella di tanti altri che condividono questa passione. “Ho fatto l’Agraria, ma solo l’obbligo, poi basta. Dopo, per due anni, sono andato a lavorare nella frutta… Quando non mi hanno più tenuto ho ripreso con le pecore e adesso vado avanti qui.

La borgata dove tiene le pecore è composta da una serie di case quasi abbandonate. “Qui non c’è nessuno, solo noi con le pecore. Ci fosse qualcuno sarebbe più un problema… Le capre mi piacerebbe tenerle, ma non posso perchè altrimenti si lamentano che fanno danni ai piantini e non mi danno più l’erba. Quando viene la neve le chiudo nelle stalle qui, a volte anche per due-tre mesi perchè ce ne mette ad andare via. Questa si è sciolta, ma era ancora presto!

Ci sono numerose pecore “colorate” nel gregge, compresa questa “bruciacchiata” di cui, mi dicono, un tempo c’era maggiore abbondanza. “Adesso basta, ne ho già abbastanza di quelle giaie, alleverò di più di quelle bianche.” Il gregge ha passato la stagione in alpeggio ad Oncino. “Valter, il pastore, non ne aveva su molte, non gli piace mischiare tanto, così alla fine è persino rimasta su dell’erba! Le carico sul camion, Valter d’inverno scende in pianura…“.

Ancora un po’ al pascolo, poi sarà ora di chiuderle perchè ormai la notte arriva presto. “Il futuro… è grave, è tutto da vedere! Mi piacerebbe averne di più, andare anch’io in montagna, adesso vado solo su qualche giorno così a dare una mano. Bisogna vedere come porta… Adesso d’estate faccio il fieno, qualche altro lavoro… Quella delle pecore è una cosa che hai nel sangue, una malattia che ti passi. La cosa che mi piace di più è come adesso, essere al pascolo.” Non è un caso isolato, nella valle. “Qualche altro giovane che fa questo c’è, anche con le capre, e siamo tutti amici.

Una transumanza da festeggiare

Non scrivo tanto qui perchè sono… in campo! Tra campanacci e pascoli, transumanze e giornate a sorvegliare animali, ma anche ore spese a cercare di semplificare, risolvere o anche solo capire difficili questioni che interessano pastori, margari, la montagna. Dal momento che le notizie apprese recentemente non sono buone, non volevo affliggermi con il mio stato d’animo negativo, quindi inizierò a narrarvi una transumanza particolare.

Era una mattina umida ed un po’ afosa in bassa Valle Po. L’appuntamento era per le sei, ma i margari, amici e parenti già da prima dell’alba erano in piedi per prepararsi alla partenza. Una transumanza particolare attendeva la mandria, la 50° salita a piedi da Revello, dove si trova la cascina della famiglia Mattio, alle Meire Dacant, nel Comune di Oncino (CN).

Ultimati tutti i preparativi, ci si mette in cammino. Ho l’incarico ufficiale da parte del Comune per immortalare e documentare l’evento. Sono settimane che il Sindaco in persona si adopera per far sì che questa transumanza sia una vera festa per celebrare la fedeltà alla montagna dei margari.

In una mattinata dal cielo velato e dall’abbondante umidità nell’aria si percorrono strade inizialmente deserte, andando a svegliare la gente dei paesi con il suono dei rudun. Poco per volta qualcuno si affaccia dai balconi, accorre lungo la strada, magari in pigiama. Poi ci sarà quello che già bagna il giardino o toglie l’erba nell’orto…

Si sfiorano i paesi della bassa valle, si incontrano auto che non accennano a rallentare nonostante la presenza della mandria sulla carreggiata, il più possibile a destra, ma… Occorre prudenza ed un minimo di pazienza!

Il cammino è lungo, non si rimpiange l’assenza del sole. Dicono che i chilometri complessivi saranno una trentina e l’andatura delle vacche si mantiene sostenuta. La stanchezza si fa sentire, nonostante l’eccitazione. La transumanza è sempre una giornata bella, ma impegnativa.

Per qualche breve tratto è possibile abbandonare l’asfalto, permettendo al traffico di defluire indisturbato ed agli animali di camminare sul fondo naturale. La strada è una tortura per tutti… Ma non è ancora il momento di pensare all’arrivo.

In uno squarcio lassù compare il Monviso e la speranza è quella di godere del suo panorama nell’ultimo tratto di cammino. Come dice l’antico detto, se il Monviso ha il cappello, o fa brutto, o fa bello… Ma da queste parti è facile che sia la nebbia e le nuvole ad averla vinta.

Si sfiorano i paesi, ormai è giorno fatto, l’arrivo è previsto per mezzogiorno. C’è stata solo una breve tappa per far riposare le bestie e bere un bicchier d’acqua, ma poi si prosegue verso la valle. Tra poco la strada inizierà a salire.

Il lungo rettilineo è l’occasione per vedere dall’alto tutta la mandria. Sono in tante anche le persone che la accompagnano e questo facilita le operazioni di sorpasso da parte degli automobilisti. Tra poco però la sede stradale si restringerà…

E infatti qui le cose si fanno più difficili, tra curve e strettoie. E’ un sabato mattina festivo e numerose auto, nonostante il meteo incerto, risalgono la Valle Po. Per loro qualche istante di attesa, ma nessuno sembra lamentarsene platealmente.

Raggiunto il ponte di Oncino, per tutti viene il momento di una sosta più lunga. Gli animali brucano e si riposano, anche se alcune vacche chiamano incessantemente i vitelli nella biga.

Una foto di gruppo per celebrare l’evento: si sono aggiunte anche persone incontrate per la via… Nonostante la pubblicità, quasi nessuno ha partecipato a questa transumanza “organizzata”. Solo nelle occasioni in cui c’è da mettere qualcosa sotto i denti si vede qualcuno in più…

E infatti nel cofano dell’auto del margaro sta già spuntando la colazione: pane, salame, toma e adesso anche il vino, mentre in precedenza s’era vista solo l’acqua. Si mangia e si chiacchiera, tutto procede secondo l’orario prestabilito e si arriverà ad Oncino in tempo.

Quando si riparte, le vacche imboccano decise il ponte. Qui non serve più tanta gente, l’ordinanza del Sindaco attribuisce la precedenza alla transumanza, le auto in entrambi i sensi di marcia dovranno aspettare la conclusione del cammino degli animali per passare.

In coda agli animali due persone la cui presenza mi sarà spiegata solo più tardi… Padre e figlia si muovono con naturalezza tra gli animali, lei è attenta a spronarli incessantemente e chiama i cani. Eppure non sono “gente del posto” e nemmeno famigliari degli allevatori. Sono venuti apposta da San Marino per la transumanza. “Li abbiamo conosciuti per caso qui lo scorso anno“, mi spiegherà Luigi a tavola. “Avevano le bestie, una bella cascina, tutto secondo le regole, ma poi la gente intorno si lamentava e alla fine li hanno fatti chiudere. Ma si vede, e lui lo dice, la passione è questa qui, lo vedi come gli piacciono le bestie.”

La salita ad Oncino è più lenta, anche se gli animali in testa comunque non mollano mai. Curva dopo curva si prende quota, ma si capisce che non ci sarà molto panorama, una volta che ci si avvierà definitivamente nella zona dei pascoli.

Ad Oncino l’accoglienza è calorosa. Il campanile scocca esattamente il mezzogiorno, le vacche si abbeverano nell’antico abbeveratoio che da ben più di 50 anni serve a questo scopo. E’ così che dovrebbe essere sempre, le mandrie accolte in piazza, salutate e festeggiate… Invece in quanti Comuni le ordinanze le confinano più lontano possibile dal centro, magari senza campane? Questa è la vita per i paesi di montagna, questa è la tradizione!

Iniziano i festeggiamenti e dal trattore vien fuori una fisarmonica: subito si intona un canto, in parte sommerso da campanacci e muggiti. Di gente in piazza ce n’è, appassionati e semplici curiosi, gente del posto, turisti, anziani e bambini.

C’è spazio anche per i discorsi, ma sono parole genuine e non retoriche, quelle del Sindaco, che poi passa a premiare Luigi. Una targa che rimarrà appesa alla parete in alpeggio, credo, ed una torta che poco dopo verrà divisa tra tutti. E’ bello vivere momenti come questi, è bello vedere un sincero legame tra amministrazione e “gente degli alpeggi”. Per un attimo posso non pensare ad altre valli, ad altri Comuni, che alla continuità invece hanno anteposto il denaro, dando i loro alpeggi in mano a speculatori che mai faranno del bene per la montagna.

E dire che il Comune di Oncino è piccolo, sicuramente non ricco… Invece che festeggiare i 50 anni di transumanza dello stesso margaro potrebbe forse fare come altri che festeggiano le decine di migliaia di euro incassate affittando a personaggi che niente hanno a che fare con la parola montagna, alpeggio, territorio.

Si riparte alla volta delle Meire Dacant, la strada è asfaltata fin quasi alla baita. “Fosse sterrata sarebbe quasi meglio, perchè gli animali tribolano a camminare sull’asfalto“, afferma uno dei partecipanti alla transumanza. Però qui è garantito un collegamento con il fondovalle più agevole che altrove…

E poi è la nebbia a farla da padrona, diventando così spessa da impedirmi di documentare gli ultimi chilometri, l’arrivo alla baita, l’ingresso nei pascoli. La stanchezza adesso è davvero tanta, ma si sa che ormai si è vicini alla meta, tutto è andato bene e ci si può avviare verso i festeggiamenti finali.

E’ stata preparata una lunga tavolata all’aperto, dove prenderanno posto tutti quelli arrivati fin qui. Dalla cucina arriverà cibo in abbondanza per sfamare e rinfrancare tutti, poi la fisarmonica riprenderà a suonare e ci saranno canzoni, brindisi, scherzi.

Ancora una torta per festeggiare Luigi, qui nuovamente in compagnia del Sindaco. Il giovane Vicesindaco invece è un margaro. Mi dice che bisogna fare anche questo, anche se porta via tempo ed è difficile per chi fa questo lavoro, ma bisogna farlo per evitare che succedano quelle cose di cui si parlava, le montagne in mano ai delinquenti ed i marghè obbligati a mendicare un posto dove portare le loro bestie. Il clima di festa non può infatti completamente dimenticare ciò che sta accadendo sulle montagne vicine, nelle vallate confinanti. La speranza è che si possa continuare a festeggiare anniversari e che altri sindaci seguano l’esempio di Piero Abburà.


Per rivivere l’atmosfera della transumanza, ecco alcuni suoi momenti durante il cammino in questo video.

Quando il pascolo vagante è un evento e…

Scusate il ritardo, avrei dovuto aggiornare prima questa pagina, ma la mole di impegni di questi giorni è davvero immensa e per di più si aggiungono imprevisti vari. Non so davvero se sia più stressante la via del libero professionista o quella del pastore, ma l’unione di entrambe è deleteria!!

Sono stata ad Aosta allo IAR, l’Institut  Agricole Règional, per due incontri, con i giovani dei corsi professionali e con un pubblico più ampio, anche esterno, la sera. Tra i due, un’interessante visita a parte dell’azienda dell’Institut, tra cui frutteti e vigneti. Purtroppo il tempo non era dei migliori, ma… La giornata mi ha comunque dato immense soddisfazioni. L’accoglienza è stata a dir poco entusiastica  (nessuno è profeta in patria?), con addirittura giornalisti e la RAI regionale che hanno filmato e/o intervistato la sottoscritta, a testimonianza di come in Valle sia davvero sentito l’interesse per questi temi.

Luca, la mia guida, mi ha anche accompagnato a fare un breve tour negli alpeggi più vicini raggiungibili comodamente in auto. E’ stato molto interessante chiacchierare con lui ed altri colleghi della scuola per saperne di più sulla realtà zootecnica locale. Siamo regioni confinanti, ma le diversità sono molte, grazie anche allo stato di regione autonoma della Val d’Aosta.

Liscia la strada e meraviglioso l’alpeggio dove siamo arrivati. Sia per le persone, sia per gli animali, la sistemazione è di gran lusso. Non è così ovunque, ma la gran parte degli alpeggi sono comunque stati risistemati, grazie anche all’ampia fetta di finanziamenti erogati a tale scopo, che incentivano i privati ad investire nella ristrutturazione dei fabbricati d’alpe. Ovviamente gli animali erano ancora a quote più basse, fortunatamente, visto che la quota della neve fresca appena caduta non era tanto lontana.

La mandria l’avevamo già incontrata salendo, ma ci fermiamo sulla via del ritorno per fare quattro chiacchiere con gli allevatori. Le vacche ovviamente sono di razza valdostana e prevalgono le castane, le famose reines che qui tengono vivo il settore dell’allevamento anche (soprattutto?) per il suo aspetto più coreografico, cioè le battaglie.

Il clima è decisamente rigido per la stagione, ma quest’anno ormai siamo abituati agli sbalzi di temperatura, al maltempo seguito da giornate di sole caldo e bruciante, vento e dopo ancora rovesci di pioggia e magari neve. Luca parla con gli allevatori, mischiano l’Italiano al patois, commentano gli animali, l’erba, la stagione, parlano della prossima salita, delle battaglie che ci sono state, delle nuove reines.

La figlia dell’allevatore (chiedo scusa, non ricordo più il suo nome, forse Alessia?) è una studentessa dell’Institut. Il padre scherza chiedendo quand’è che finalmente la la manderanno a casa, che c’è bisogno di lei. Qui il lavoro non manca, la strada è già tracciata, ma pare che comunque lei sia ben d’accordo di continuare il mestiere con passione.

Ogni tanto due degli animali si affrontano e danno il via alle battaglie per stabilire il predominio. E’ da queste selezioni naturali che l’allevatore capisce su quale reina puntare per gli incontri ufficiali. Si sta però facendo tardi e dobbiamo ridiscendere ad Aosta, dove la sera un folto ed interessato pubblico mi ascolterà parlare di pastorizia e pascolo vagante. Un argomento un po’ atipico per la valle, dove dare del feiàn (pastore) a qualcuno è un insulto, mi avevano detto.

Non sapendo come e quando potrò aggiornare il blog, unisco a questo post la comunicazione di un importante evento aperto a tutti coloro che vorranno partecipare. Sabato 2 giugno in Valle Po, più precisamente ad Oncino (CN) si terrà una meirando (transumanza) particolare. Il margaro Mattio Luigi compirà la sua 50° transumanza a piedi dalla cascina di Revello (Morra San Martino) fino alle Meire Dacant. In quell’occasione il Comune lo festeggerà e chiunque potrà accompagnare la transumanza. Partenza ore 6:00, arrivo previsto ad Oncino (rinfresco) ore 12:00, arrivo alle Meire ore 14:00. Io ci sarò…

Sparare al lupo

Volutamente non avevo ancora trattato qui l'argomento, però siete stati voi a richiedermelo. In più d'uno mi avete inviato e-mail con in allegato gli articoli recenti usciti sui giornali all'interno dei quali si commentava un indirizzo della Commissione Agricoltura alla Camera dove si parlava, appunto, della possibilità di contenere il numero dei lupi in Italia. O meglio, abbatterli qualora mettessero a repentaglio le attività agricole.
Di lupo se n'è parlato tanto, qui sul blog. Vi ho mostrato quel che ci si trova davanti dopo un attacco, vi ho raccontato le emozioni dei pastori, ho cercato di spiegare cosa significa subire una predazione e cosa comporta cercare di evitarla. Ma non è mai abbastanza per riuscire a far capire. Non dico convincere, ma almeno mostrare una realtà.
Solo che il lupo è un tema dai mille risvolti che va oltre la pastorizia, anche se poi i soggetti realmente colpiti sono loro, i pastori e le loro greggi. C'è il risvolto antropologico, quello sociale, quello politico, economico e pure mitologico, per la simbologia dell'animale in sè. Io non mi intendo molto di tutto il resto, posso solo leggere, documentarmi e stare male. Stare male a leggere articoli e commenti densi di odio e grondanti ignoranza. E gli ignoranti, quelli che appunto non conoscono, sono i più astiosi.

Sanno cosa vuol dire recuperare i resti dei propri animali? E' facile fare servizi in cui si mostrano animali maltrattati o mal tenuti, ma quando un allevatore fa il proprio mestiere con sconfinata passione, conosce una ad una le proprie bestie, si sacrifica per il loro benessere ed è legato a loro da un qualcosa che potremmo definire quasi amore… gli diciamo che dovrebbe ringraziare del fatto che questi animali, se muoiono in un attacco, glieli paghiamo al loro prezzo. E a dire questo sono le stesse persone che si scandalizzano guardando i servizi di cui sopra! E' coerenza, questa?
Ci sono articoli in cui si dice che non esiste affatto un "problema lupo" (qui) e scarica tutto sui cacciatori, come se la pastorizia non esistesse. E poi… ma cosa si lamenta il settore agricoltura, con tutti i contributi che sono ad esso destinati? E' facile semplificare, semplice fare di tutta l'erba un fascio e continuare a disinformare. Pubblichiamo numeri, numeri reali del numero di lupi presenti e di quanti sono i pastori, quanti sono gli ovicaprini nelle aree di presenza del predatore. Parliamo di quei pastori che hanno lasciato le loro montagne per cercarne altre addirittura in altre zone d'Italia (Mirko, l'ultimo pastore dell'Appennino modenese), parliamo di quelli che hanno smesso di tenere pecore e di quelli che stanno per arrendersi. Parliamo delle superfici che fanno sì parte dell'alpeggio, ma non vengono più pascolate perchè lì è impossibile riuscire ad evitare gli attacchi. Parliamo del numero complessivo di attacchi, ben sapendo che i dati ufficiali non sono quelli reali, perchè c'è chi non denuncia la perdita del singolo animale o chi in generale non denuncia l'attacco perchè è contrario ai rimborsi. Sono errori, perchè la sottostima del problema fa sì che possa, per l'appunto, non essere considerato un problema! Parliamo di quegli alpeggi dove è difficile trovare il luogo giusto per collocare il recinto, ed allora gli animali devono dormire per più e più notti sempre nel medesimo posto…

 

I numeri però sono asettici, dicono e non dicono. Se volete capire davvero perchè si chieda l'abbattimento del lupo, dobbiamo entrare nell'ambito emotivo. Ascoltare i pastori, le loro parole, guardare le loro facce. Ve lo dico da sempre e ve lo ripeto, un vero pastore questo mestiere prima di tutto lo fa per passione. Se abbiamo un cuore, se vogliamo andare a fondo del problema e non fermarci alla superficie, credo che una buona parte di chi si è indignato alla notizia della possibilità di sparare al lupo potrebbe arrivare a comprendere. Per lo meno a giustificare che i diretti interessati vogliano la scomparsa di un nemico che alcune generazioni di pastori erano riuscite ad evitare grazie all'abbattimento di tutti i lupi presenti sul territorio.

L'abbattimento del lupo non è la soluzione dei problemi della pastorizia? O è la soluzione più semplice? Forse è vero. Come ho detto e scritto più volte, il lupo è la goccia che ha fatto traboccare un vaso ormai troppo colmo. Bisognerebbe risolvere tutti gli altri problemi della pastorizia, della montagna, dell'alpeggio: infrastrutture adeguate al XXI secolo, strade, prezzi di affitto degli alpeggi controllati, contributi equi, contratti di affitto stabili e di lunga durata, valorizzazione dei prodotti, ecc… Servirebbero stanziamenti immensi. E dove il problema lupo è maggiore sono anche quelle aree dove più che in ogni altra bisognerebbe spendere. Certe aree, solitamente le più marginali, quelle dove sicuramente il pascolamento di un gregge giova all'ambiente, al territorio ed alla biodiversità più della presenza di un lupo, quelle sono le più a rischio.

Non posso negare un mio coinvolgimento personale, mi sono occupata prima di pascoli, poi di pastori e pastorizia dal punto di vista professionale e culturale, quindi sempre di più sono passata dall'altra parte, all'interno del mondo pastorale. Ho sempre cercato di dare una visione obiettiva delle cose, ma ciò nonostante sono stata ripetutamente fraintesa ed attaccata.
Vorrei poter dire: "Risolviamo tutti gli altri problemi della pastorizia, poi vediamo se il lupo è ancora il pericolo numero uno." Però sono realista e so che questa è utopia, nonostante i tentativi già fatti. Mancano i fondi e manca la volontà di certi soggetti, sono troppo pochi gli interessi economici che ruotano intorno al mondo pastorale (e parlo di greggi di ovicaprini). Siamo quasi al punto di scegliere o il lupo o i pastori? No, non ancora, non dappertutto, ma in qualche caso sì. A Bellino (Val Varaita) esistevano oltre 15 pastori, nel giro di pochissimi anni ne è rimasto uno, Alfredo, che in un recente attacco ha perso una pecora azzannata dal lupo e 59 morte in un burrone lì vicino, spaventate dall'attacco.
Nelle voci degli allevatori, più che rabbia, disperazione. Senso di abbandono, impotenza. Allevare con sacrifici i propri animali per vederli sbranati o agonizzanti. …e sapere che c'è gente che ride loro dietro, dicendo di cambiar mestiere se lavorare in queste condizioni non va loro a genio, non aiuta affatto a migliorare le cose.

 

Voi cosa proponete? Si dice che il costo dell'abbattimento di un lupo sarà ingente per le procedure che comporterà. Allora venga pagato effettivamente anche il costo della difesa dal lupo e non solo "elemosine"! Qui la rendicontazione 2010 di quello che è stato fatto in Piemonte. Qui i criteri per l'assegnazione del Premio di Pascolo Gestito ed i prezzi pagati per i capi predati. Non si dica che il risarcimento danni chiude la questione, perchè quello non è che uno dei punti, senza contare il fatto che il danno emotivo non sarà mai pagato a sufficienza.
Cani da guardiania: servono e sono efficaci. Devono essere correttamente imprintati ed addestrati, poi possono essere mandati al pascolo ad esempio con un gregge di capre senza che sia necessario un sorvegliante. Venga però totalmente pagata l'assicurazione, i vaccini, le eventuali cure sanitarie e la loro alimentazione. Si provveda ad informare adeguatamente gli altri fruitori della montagna e rispondano altri dei problemi connessi, non che i pastori debbano andare alle riunioni in Comune perchè i villeggianti hanno paura dei cani!
Reti: funzionano per il riposo notturno (di sicuro non per il pascolamento diurno, in montagna!), vengano fornite a tutti i pastori, tutti gli anni, insieme alla batteria per la loro elettrificazione.
Personale: a seconda della consistenza numerica del gregge, delle attività praticate e delle scelte aziendali, possono essere necessari aiutanti opportunamente formati in aggiunta al personale già presente nel periodo invernale. Venga pagato il loro stipendio e la loro regolarizzazione a norma di legge.
Materiale: laddove non vi sono strade o piste, venga pagato il trasporto con l'elicottero di tutto il necessario, dalle reti agli alimenti per i cani.
Infrastrutture: si realizzino o ristrutturino le abitazioni d'alpeggio in quota, dove necessario. Dovendo chiudere nei recinti il gregge ogni sera e sapendo che si sta al pascolo suppergiù fino alle 21:00, non si può pretendere che il pastore cammini ancora per un'ora o più per raggiungere la baita e si alzi poi all'alba il mattino successivo.
Mancati redditi: c'è chi non fa più partorire in alpe, chi ha smesso di caseificare e tutti lamentano un minore benessere degli animali legato alla nuova forma di conduzione. Quantifichiamo e rimborsiamo pure questo?
Questi sono i punti principali, tralasciando le piccolezze.

Tralasciando il fatto che un pastore non può più permettersi il "lusso" di trascorrere una giornata in famiglia, nemmeno d'estate quando teoricamente si potrebbe tirare il fiato dopo mesi e mesi di costante ed ininterrotto lavoro. Tralasciando il fatto che un pastore durante la stagione d'alpeggio non può permettersi di andare ad una visita medica o dal dentista se non quando proprio sta così male da non poterne fare a meno. Tralasciando che non puoi scendere nemmeno a rifornirti di viveri e devi aspettare che qualcuno te li porti, se sei da solo. Perchè la "convivenza" è possibile a questo prezzo. Voi riuscite a quantificarlo? "Mandate un carcerato al posto mio, e vedrete che chiederà di tornare in carcere!", diceva un pastore…

Nel post di ieri ci siamo lasciati con la nebbia che tornava a salire e con il temporale che incombeva. Le pecore si erano allargate qua e là per quella montagna difficile. Il gregge è composto da animali provenienti da diversi proprietari, questi pagano una guardia al pastore. Un piccolo reddito aggiuntivo per chi non ha un gregge immenso, aiuta a pagare la montagna, aiuta a tenere in piedi il magro bilancio di una piccola azienda. Ma un gregge così composito, in una montagna difficile, dove regna la nebbia, dove valloni e sbalzi di roccia si susseguono, è inevitabilmente preda del lupo. Lo scorso anno era stato un disastro. Quest'anno i cani da guardiania sono due, anche i pastori sono due, ma pure gli attacchi sono già stati due: uno in pieno giorno, con la nebbia, e l'altro a carico di animali che la sera erano rimasti fuori dalla rete, chissà dove, tra le brume. Lo stesso è successo ad altri pastori in alpeggi confinanti. "Non è più vita."
Non lo è, non lassù, non in quelle condizioni, senza nemmeno un posto dove accendere una stufa ed asciugare i vestiti. Per andare a recuperare quelle rimaste indietro, la sera, sull'erba scivolosa e bagnata, tra le rocce, c'è da rischiare la vita.
Soluzioni? Non prendere più altri animali in guardia, ma chi rimborsa il mancato reddito? Abbandonare quella montagna? Ma sì, c'è chi lo dice, con leggerezza. Non sa quel che vuol dire trovare una montagna, non conosce i vincoli che ti legano, quegli impegni presi per quei famigerati contributi che finiscono per essere un capestro, più che un reale aiuto. Non sa le spese che sono state affrontate magari per ristrutturare una baita a mezza quota, perchè quelle sono le terre dove sei nato, dove hai qualche proprietà alle quote più basse. Si fa in fretta a parlare, quando non si sa come stanno le cose. Facile teorizzare da lontano, seduti ad una scrivania.

 

E' inevitabile che i pastori vogliano che si spari al lupo. Quando sei all'esasperazione, vuoi risultati concreti, subito. Il lupo era scomparso, ora è tornato. Quelli che hanno gridato evviva sono stati in tanti, e sono sempre loro che adesso scrivono pagine piene di astio ed ignoranza di fronte alla proposta di sparare al lupo. Piuttosto documentatevi e fate proposte concrete, per favore. Studiate metodi efficaci di difesa, visto che il lupo è intelligente e potrebbe arrivare ad associare alla pecora una preda non grata, se riceve certi impulsi o si generano meccanismi di repulsione. Ma dovevate farlo prima, ormai è quasi tardi e non se ne può più. Pochi pastori contro i milioni di persone che guardano i documentari in TV. Ma allora fate passare in TV anche i documentari sulla vera vita dei pastori. Su "La Stampa" c'era un articolo dove si pubblicizzavano i campi in alpeggio per vedere e studiare il lupo. Almeno abbiate la decenza di scrivere "in montagna" e non in alpeggio, perchè in alpeggio il lupo non si studia, si teme.