Ancora a Roccaverano. Dopo aver pranzato (ed assaggiato anche una robiola), quel giorno mi sono spostata in una seconda azienda, la Cooperativa La Masca, dove ho incontrato Beatrice, Fabrizio e Marco. Sarà Fabrizio a curare le pubbliche relazioni e raccontarmi un po’ la loro storia.
Salgo e scendo sulle colline per raggiungere La Masca. “Abbiamo iniziato nel 2001, con le produzioni nel 2002. Non dovevamo “cambiare vita”, perché eravamo ventenni che dovevano iniziare. All’inizio eravamo in quattro, una ragazza però si è tolta. Il nostro nasce come progetto di agricoltura collettiva sostenibile in territori che si prestassero a queste attività. Poi abbiamo iniziato a ragionare sull’allevamento e abbiamo scelto le capre. Mio papà era originario di Roccaverano, io sto a Monastero Bormida. C’era il prodotto da valorizzare, in quegli anni si tornava a parlare di prodotto artigianale, la Robiola di Roccaverano è uno dei primi Presidi SlowFood.
La cooperativa è un’attività collettiva di agricoltura sostenibile legata al territorio. Marco educa asini per la trazione animale, poi abbiamo messo alberi da frutta. Io faccio parte dell’ARI, Associazione Rurale Italiana. L’obiettivo è lavorare sul territorio, per il territorio e avere prodotti legati alla sostenibilità. Lo stipendio è magrissimo, questo è un problema. I costi sono sempre più elevati, abbiamo fatto investimenti, ma soprattutto i costi burocratici e amministrativi sono un peso.”
“Fino al 1996 per la Robiola non c’era un disciplinare stretto come oggi. Quando siamo partiti, erano 25-30 che facevano la DOP, ma all’epoca era diverso, i bollini te li regalava la Comunità Montana. Come consorzio abbiamo poi deciso di rifare il disciplinare. Abbiamo lasciato che potesse essere un formaggio a latte misto, perché tradizionalmente nelle aziende si faceva con latte di capra, pecora e anche vacca. Abbiamo differenziato il “pura capra” e il “misto” (dove però deve esserci almeno il 50% di capra). Abbiamo scritto che le razze possono essere camosciate e roccaverano. Avessimo messo solo la Roccaverano, facevamo la fine del Murazzano, che per essere stati rigidi sulla pecora delle Langhe, adesso rischia di scomparire come formaggio.”
“Oltre al pascolo diamo granaglie, un mix che ci facciamo noi, granaglie intere OGM free. Il disciplinare del Roccaverano è ogm free. Il fieno lo prendiamo da un allevatore di pecore qui vicino.
Siamo partiti da 20 caprette, abbiamo allevato, abbiamo comprato da un’azienda che smetteva. I becchi li cambiamo dopo 3 anni. Non destagionalizziamo e lasciamo il capretto sotto la madre, facciamo monta naturale e non fecondazione artificiale.”
“Ci alterniamo nei lavori, tutti sanno fare tutto, anche se poi ciascuno ha il suo compito principale: Beatrice è segretaria d’azienda, quindi la contabilità la segue soprattutto lei, ma si occupa anche del caseificio. Marco si occupa molto della stalla, io delle vendite e dei rapporti con le amministrazioni. Al pascolo ci alterniamo, andiamo tutti. Andiamo fin quando si può, da Pasqua a novembre in maniera continuativa, poi come adesso che non c’è neve le facciamo comunque uscire un po’. C’è stata tanta siccità… poi piantano noccioli ovunque e diventa difficile trovare dove pascolare.”
“A me piace occuparmi di politiche agricole, perché si sta avendo una “desertificazione contadina”: aumentano le grandi produzioni, ma si perde il buon contadino che fa i buoni prodotti. Va bene il “custode del paesaggio”, ma non voglio essere stipendiato per fare il giardiniere. Io devo produrre un prodotto che mi venga pagato al suo giusto prezzo, poi con quello ti garantisco di gestire il paesaggio grazie al mio lavoro e ai miei animali. Portiamo noi i formaggi ai negozi. Il problema è soprattutto la carne. Il capretto è una carne buona, magra, saporita. Cerchiamo di valorizzare il progetto Capretto della Langa Astigiana, allevato a latte materno. Questa è la garanzia di qualità e anche del benessere dell’animale.
Siamo clienti di un macello, andiamo là, ci macella l’animale e poi noi possiamo tagliare la carne e preparare i pacchi, il privato così viene e si prende la carne, oppure il ristorante. Adesso sono 3 anni che portiamo capre e qualche caprettone a far trasformare al salumificio di Moretta. Si ottengono prodotti ottimi, è una carne poco conosciuta. Li piazziamo con i gruppi di acquisto, perché se la gente non li assaggia prima, sono prodotti difficili da collocare.“
E’ vero che il problema è la carne. Diceva un allevatore che conosco che economicamente la scelta giusta quando nasce il capretto è portarlo dietro la stalla e dargli una botta in testa e fare formaggio subito. Il formaggio si vende ed è serbevole, per cui si riesce a organizzare le consegne. Ed è pagato discretamente. La carne è n massacro. Per portare il capretto al peso rimetto 200 euro di valore in latte trasformato che si beve lui. Il grossista te ne da 50, al dettaglio magari ne spunti 100 ma fai fatica a organizzare le macellazioni se non hai il tuo mattatoio interno. Il grossista viene e prende tutto. Per andare in pari coi grossisti puoi usare il latte in polvere che “se è di Buona qualità il 50% è latte” dice un amico che lo vende (e il resto cos’è?). Quasi tutti lo fanno, la qualità sulla carne non è retribuita e di conseguenza la danno pochissimi, per integrità morale e passione o perché non saprei. Io la do solo perché ho anche un altro lavoro, se dovessi campare con le capre mi rassegnerei anche io. La qualità la fa il mercato se te la paga almeno un po’. Ma tutti si riempiono la bocca con la parola qualità e poi nessuno vuole riconoscere il lavoro che si affronta ogni giorno per ottenerla.
Il discorso è lungo e pieno di sfaccettature però sarebbe bene affrontarlo con onestà intellettuale.
permettimi però che, se diciamo cose tipo “è meglio dare una botta in testa subito”, anche chi vegano non è, ha ben ragione di indignarsi. si dovrebbe valorizzare questa carne e far sì che venga maggiormente consumata. io nel libro inserirò un buon numero di ricette, ma ovviamente non basta!
…ci si riempie la bocca non solo di qualità… si propone l’allevamento della capra come meravigliosa attività che ti permette di vivere in montagna/collina, ma l’esperienza e la voce di tutti quelli che ho incontrato mi dice che… o hai grosse somme da investire (che magari non recupererai mai!), o farai la fame…
proprio vero, il discorso è molto lungo
Ciao, complimenti x il sito.
I panorami sono una boccata d’aria.
Siamo un gruppo di amici che vorrebbe aiutare qualche piccolo allevatore terremotato in centro Italia, portando giù materiali e comprando prodotti.
Al massimo due sui formaggi e due sui salumi. Hai qualche nominativo? Piccoli. Altrimenti no. Li contattiamo e chiediamo che prodotti hanno.
purtroppo non ho conoscenze dirette, ma se qualche altro lettore sapesse segnalarci delle realtà di questo tipo, ben venga!