Ci sono transumanze che avvengono ancora quasi esattamente come una volta, perchè in certi posti niente è cambiato. Soprattutto, certi alpeggi non hanno la strada che li raggiunge. E così bisogna faticare molto di più, vivere e lavorare in condizioni più difficili.
La sera prima gli animali erano già stati risalire per un tratto del percorso. L’anno precedente era stata “sperimentata” per la prima volta questa transumanza e il tragitto era risultato decisamente lungo, anche grazie al maltempo. Così quest’anno c’è un pezzo di strada in meno, ma non sarà comunque una passeggiata. Ci si alza molto presto al mattino, ma con tutto quello che c’è da fare, comunque quando si parte con gli animali c’è già il sole che arriva nella valle.
Mi trovo a guidare il gregge di capre, con qualche pecora. Il cammino è lento e lungo. Gli aiutanti sono distribuiti un po’ per ogni gruppo di animali, gregge davanti, poi gli asini, dietro i quali salgono i bovini. Un trattorino tira un carro su cui sono caricati gli animali che non riuscirebbero a sostenere tutta la transumanza. Il sole intanto pian piano avanza.
I suoi raggi ci raggiungono quando arriviamo ad affacciarci sul versante che dà sulla bassa valle. Le capre vengono mandate verso l’alto e si attende il resto della transumanza, compresi quelli che stanno arrivando da casa. L’aria è frizzante, la giornata è limpida, ma gli amici stanno raccontando come lo scorso anno, nel mese di luglio, quando era avvenuta questa transumanza, invece c’era una giornata di pioggia e nebbia.
E’ il momento per fare una pausa. Gli animali si riposano e brucano, anche le persone si riposano, poi arrivano da valle altre auto con quel che mancava dei viveri e si fa una colazione molto abbondante con pane, salumi, formaggio. Il cielo è limpido, il Monviso fa capolino dietro alle creste. Siamo in Val Pellice e l’alpeggio che andiamo a raggiungere è quello di cui avevo già parlato qui lo scorso anno.
Non ci si può però fermare troppo a lungo. Anche se si è già guadagnata quota, il tragitto da compiere non è nemmeno ancora a metà. I cani fanno ridiscendere il gregge e riprende il cammino, con gli animali nello stesso ordine di prima.
La pista che porta all’Alpe Caugis è molto ripida, i tratti a pendenza maggiore sono addirittura stati ricoperti in cemento per far sì che i mezzi abbiano più presa e riescano a salire. Anche su quest’alpeggio non c’è ancora nessuno, ma i margari non tarderanno a salire, ormai è tempo di occupare tutti gli alpeggi, erba ce n’è e il meteo sembra essere propizio.
Questa è sicuramente una bella giornata, per il momento non ci sono nemmeno le classiche nebbie tipiche di queste zone. Ormai si è in quota, addirittura più in alto della destinazione finale, ma toccherà salire ancora per poi ridiscendere. Purtroppo questo è rimasto l’unico percorso adatto per raggiungere il Gias Subiasco con gli animali, ma il più breve anche per chi deve portare materiale, viveri, qualunque cosa possa servire.
Infatti si può arrivare fin qui con l’auto, dopodiché occorre caricarsi tutto in spalla. La strada svolta e raggiunge l’alpe Caugis. Questa transumanza invece imbocca la vecchia pista che scendeva dalla cava di marmo, ormai ridotta a poco più di un sentiero. Anche nei prossimi mesi chi utilizza l’alpeggio seguirà questo percorso, piuttosto che il sentiero che sale direttamente da valle.
Alla vecchia cava abbandonata si fa una piccola sosta, in modo da lasciar passare davanti le vacche. Lentamente i bovini avanzano sullo stretto sentiero che si seguirà di qui in poi. Capre e pecore si sono sparpagliate a pascolare, sembrano non aver più tanta voglia di proseguire, mentre il resto della transumanza si allontana.
Come vi avevo già raccontato lo scorso anno, sono stati i pastori a ripulire e ripristinare questo sentiero, proprio per poter passare con una cerca sicurezza con gli animali. Anche nei giorni precedenti la transumanza sono stati fatti degli interventi e gli attrezzi sono ancora lì, lungo il cammino, per terminare qualche aggiustamento.
Lentamente anche il gregge si avvia. Le nebbie fanno capolino all’improvviso, ma non sono niente di preoccupante, nè quelle che salgono dalla Val Pellice, nè quelle che arrivano su dalla Val d’Angrogna, arrotolandosi su se stesse quando raggiungono la cresta. Il sentiero sale per un tratto, poi prosegue quasi in piano, quindi inizierà a scendere, dato che il Gias Subiasco è, per l’appunto, più in basso.
Ci sono alcuni animali che sono rimasti indietro, gli agnelli che erano sul trattore, mentre le capre vorrebbero andare avanti. Le vacche ormai non si vedono più, sono già molto più avanti. Tutti iniziano ad accusare un po’ la stanchezza, d’altra parte si è in movimento da ben prima dell’alba e gli animali, ormai nei pascoli, sembrano non avere fretta di arrivare alla meta finale.
Qualcuno è già andato avanti, altri aspettano insieme con la mandria. C’è da attraversare quello che, per i bovini, è il punto più difficile, quindi meglio controllare, sistemare le ultime pietre, mettere due paletti, un pezzo di filo. Quando arrivano anche capre e pecore, si fanno ripartire tutti gli animali, sempre con le vacche davanti.
Il sentiero scende nell’impluvio. Qui come altrove, ci sono tratti di pietre a vista, veri e propri scivoli, su cui l’acqua scorre facilmente, ma è un pericolo farvi passare sopra animali pesanti come delle vacche. La ragione per cui la transumanza è transitata qui e non è risalita direttamente da Barma d’Aut, così come si faceva un tempo, sono proprio altri impluvi come questo, con le loro rocce lisce messe a nudo dalle piogge, dalle alluvioni.
Per fortuna tutto va per il meglio e si raggiungono le baite del Subiasco. Gli animali possono finalmente fermarsi a pascolare e riposarsi, le persone invece o badano a loro o sistemano le “strutture”. Il tubo per l’acqua per alimentare la fontana, tirare fuori tutto dalla baita a prendere aria, mettere i materassi e le coperte al sole, pulire il tavolo, preparare un posto dove sedersi a mangiare tutti insieme.
E così ecco il pranzo di fine transumanza. Un po’ di relax e allegria, poi amici, parenti, famigliari se ne andranno e qui si resterà in solitudine a lavorare per qualche mese. Passerà forse qualche turista, non moltissimi, dipenderà anche dalle situazioni che presenterà il meteo. Le condizioni di vita e di lavoro quassù sono ancora quelle di un tempo, ma anche questa è una delle tante realtà d’alpeggio che si incontrano ancora in Piemonte.
Torno a valle scendendo per il sentiero quasi sepolto dalla vegetazione. Una traccia visibile fin quando l’erba non crescerà troppo. Per fortuna che gli animali presto la pascoleranno, riportandolo alla luce. Poi ci sono appunto i torrenti da attraversare e, alla fine, arrivo a Barma d’Aut, dove invece c’è un’altra mandria. Proseguendo per il sentiero (di qui in avanti perfettamente pulito e sistemato) incontrerò Ivano, il proprietario di queste bestie. Sono appena saliti anche loro, avevano rimandato di qualche giorno a causa delle piogge della domenica precedente.
“Tutti gli anni in primavera rimetto a posto il sentiero e le passerelle“, mi dice. Infatti la discesa è perfettamente agevole, non ci sono rischi, ma anche qui la salita degli animali, quando avviene, ha il sapore dei tempi passati. Sono angoli di montagna preziosi (non a caso questo, ai tempi delle lotte di religione, era diventato il Vallone degli Invincibili, nome con cui lo conosciamo ancora ora), sono luoghi dove salire con le bestie è quasi un atto di resistenza. Non sono alpeggi da centinaia di capi, pertanto chi sale qui gestirà il territorio ancora come un tempo. Sarebbe bello, quassù, potersi dimenticare di tutti i problemi che affliggono il XXI secolo anche nel settore dell’allevamento (di montagna e non)!