La filiera ovicaprina: risorsa e opportunità per il territorio?

Ho aggiunto un punto interrogativo al titolo del convegno tenutosi sabato scorso (2 marzo) presso la sede GAL di Villa Olanda (Luserna San Giovanni, TO). Proprio in Val Pellice, ad Angrogna, c’era un modo di dire in patois che, tradotto, recita: “Quando ti senti perso, attaccati al lanuto“, cioè alla pecora. La pecora come pecus, pecunia, la pecora davvero come risorsa ed opportunità. Ma oggi?

La sala del convegno era gremita, anche se gli allevatori non erano molti. Anzi, dei pur numerosi pastori della Val Pellice e/o dei loro famigliari, non c’era praticamente nessuno. Questo non per mancanza di interesse, bensì per mancanza di tempo, una delle problematiche di questa attività, cosa che influirà forse anche nella buona riuscita dei progetti proposti. Ma andiamo con ordine. Cerco di raccontarvi tutto quello che è stato detto, anche perchè so che molti dei potenziali destinatari del futuro bando GAL leggono queste pagine.

La presidente del GAL Giachero ha infatti spiegato che per fortuna ci sono ancora delle risorse (anche se il futuro del GAL è in parte legato alle ahimè quasi decadute Comunità Montane) e si vorrebbe investire sul settore dell’allevamento ovicaprino, proprio cercando di creare una filiera attiva ed operativa, favorendo le forme di associazione tra allevatori ed altri attori del territorio. “Ci sono risorse, ma manca la comunicazione e queste non vengono allocate presso chi potrebbe usufruirne“. Questo convegno serviva anche per ultimare la stesura del bando, sentite le varie voci degli operatori. E’ anche intervenuto Righero della Provincia, in sostituzione dell’assessore Balagna: “Il mondo è cambiato, non ci sono più le fabbriche a sostituire il reddito agricolo. Ci sarà un ritorno. La provincia di Torino detiene il 40% del patrimonio ovicaprino regionale“. Hanno poi parlato Chiabrando (Camera di Commercio) e Coucourde (Presidente CM).

Claudio Goia della CM ha illustrato l’alpeggio in tutte le sue sfaccettature, parlando anche dei contributi di cui possono già usufruire gli allevatori. Nel territorio Gal Escartons e Valli Valdesi monticano circa 48.000 capi, di cui 3.825 caprini e 26.470 ovini. Molte strutture d’alpe sono state adeguate negli ultimi anni e sono raggiungibili attraverso piste, anche se non tutte hanno però queste caratteristiche.

Da parte mia, ho parlato delle difficoltà attuali nel definire sostenibile la pastorizia del XXI secolo. Burocrazia, vincoli, spese, necessità di avere un numero di capi maggiore rispetto ad un tempo per poter sopravvivere, difficoltà nel reperire pascoli… Tutte le cose che racconto qui quotidianamente. Inoltre, la grande difficoltà nel vendere il prodotto carne, legata non solo alla crisi generale, ma a molteplici fattori, tra cui la non conoscenza della carne ovicaprina che vada oltre il consumo stagionale di agnelli e capretti.

Della necessità di valorizzare ha parlato anche Tallone dell’Istituto Lattiero Caseario di Moretta, CN, che ha presentato i principali formaggi a latte ovino e caprino, ma ha anche illustrato il progetto di trasformare il salumificio didattico recentemente realizzato in un punto di lavorazione conto terzi, legato soprattutto alla carne ovicaprina. L’intervento di Tallone si è alternato con quello di D’Aveni (Consorzio Produttori Agricoli Torino, COPAT), che ha fornito interessanti numeri sulla produzione ovicaprina nazionale. Credo che tutti siano rimasti molto colpiti nel sapere che nel 2010 sono stati importati 1.628.985 capi (animali vivi) in ambito UE e circa 27.000 tonnellate di carne (Nuova Zelanda e altri paesi). Regno Unito, Spagna, Francia e Romania mandano agnelli in Italia a prezzi inferiori rispetto a quelli nazionali (specie per la Romania e la Nuova Zelanda, parlando di prezzo della carne già macellata). L’Italia è l’unico paese dove il prezzo medio è sceso, ma si è registrata anche una netta flessione nel consumo (meno di 1kg pro capite/anno, tenendo conto che certe regioni come la Sardegna invece consumano 11kg pro capite/anno).

La pastorizia potrebbe diventare un punto di forza per le aree abbandonate“, ha affermato D’Aveni, spiegando anche come si potrebbe puntare sulla certificazione Halal (e Kosher), visto che la maggior parte del consumo di animali adulti non è rivolta al consumatore italiano. Vi sono però difficoltà normative e costi, quindi la strada immediata da seguire dovrebbe essere quella della valorizzazione locale della carne ovicaprina.

E’ poi stata la volta di Nigel Thompson di Biella The Wool Company, che ha illustrato le attività intraprese per il recupero e valorizzazione delle lane locali. Non solo il centro di raccolta della lana succida (lo scorso anno sono venuti a caricare la lana anche da queste parti… contattateli e ritireranno anche la vostra, cari amici pastori), ma anche gomitoli, fili e manufatti realizzati con lana biellese. Nigel ha proposto ai pastori una filiera che altrove funziona: far lavorare la lana e rivenderla presso il punto vendita aziendale: “C’è più gente di quella che pensate che ama sferruzzare…“. Forse sì, ma il problema è che la gran parte dei pastori locali non ha un punto vendita aziendale (figuriamoci poi i vaganti!) e chi ha grandi quantitativi di lana da smaltire annualmente difficilmente se la sentirebbe di osare un investimento del genere, senza certezze di riuscire poi a vendere i gomitoli.

A questo punto potremmo dire: “Bene, tante belle parole, ma adesso?“. Giachero sostiene che: “…bisogna aver voglia di fare!“, ma io mi permetto qui di fare un piccolo appunto. Alla maggior parte dei pastori di oggi non manca la voglia di fare, ma mancano due risorse fondamentali: il tempo e la manodopera. Il pastore di oggi è coinvolto dal gregge per 365 giorni all’anno, quasi 24 ore su 24, tant’è vero che spesso si trova a “trascurare” tutto ciò che non è strettamente connesso alla cura del gregge. Per occuparsi di progetti di valorizzazione occorrerebbe o una persona quasi appositamente dedicata all’interno dell’azienda, o avere un piccolo gregge per poter anche diversificare le produzioni. Ma chi ha oggi un piccolo gregge letteralmente boccheggia per sopravvivere, a meno che già lo affianchi ad altre attività lavorative.

Il bando GAL, di prossima pubblicazione, verterà su questi punti, enunciati da Giachero: “Creazione di una filiera, lavorare in gruppo, valorizzare tutto il settore ovicaprino, stipulare un accordo minimo tra due imprese, un allevatore e uno o più soggetti…“. Grazie alla presenza di Giaj del Museo del Gusto, si è parlato di coinvolgere concretamente anche i ristoratori, elemento fondamentale della filiera per quanto concerne i primi passi nella valorizzazione della carne, ed i media.

In rappresentanza della Regione Piemonte e dell’Assessore Ravello, ha parlato l’ex Assessore alla Montagna Vaglio, che ha lodato le iniziative di valorizzazione già intraprese in passato sul territorio regionale e che hanno portato a buoni riscontri, come l’esempio della pecora sambucana e della capra di Roccaverano, con le relative produzioni. “Ci sono state operazioni di sostegno che hanno dato dei risultati ed è stato fondamentale il ruolo delle Comunità Montane, quelle stesse CM che verranno liquidate entro fine mese. La politica, anche nella recente campagna elettorale, ha parlato di problemi della cultura urbana, metropolitana, non di quella rurale o montana. Anche il problema delle predazioni viene visto con quest’ottica. Uno dei primi handicap per le azienda agricole è la burocrazia, bisogna confrontarsi con la UE per ridurre la burocrazia.

E adesso? Presto sul sito del GAL uscirà il bando, vedremo quel che si riuscirà a fare. L’auspicio è che davvero la filiera ovicaprina torni ad essere risorsa ed opportunità per il territorio… Sul sito dovrebbero anche essere a breve disponibili gli atti del convegno, con le presentazioni presentate dai relatori.

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